Dopo l'eccellente album di Cameron Winter, ingiustamente ignorato e in parte poi recuperato da pubblico e critica, era lecito fantasticare sul nuovo lavoro dei Geese, ma la realtà supera ogni immaginazione e risponde al nome di "Getting Killed". Riecheggiano le parole di Nick Cave, che ha definito il debutto solista di Cameron come "una cosa straziante e meravigliosa". Per molti versi Cameron è l'erede spirituale del cantautore australiano e a questo punto possiamo considerare i Geese come i nuovi Birthday Party.
"Getting Killed" è in verità già l'album più acclamato e venerato dal popolo di Rateyourmusic, e non mancano commenti esaltanti sui social da parte di boomer annoiati, come il sottoscritto. Ma i Geese sono riusciti nella difficile impresa di confondere le acque, al punto da rendere inutile qualsiasi disquisizione critica.
Dissonanze ed esaltazione sono le uniche frontiere di un disco impossibile, eppure meno ostico di quanto alcuni possano immaginare. Dopotutto la band ha chiamato al banco di produzione il luminare dell'hip-hop Kenny Beats (o Kenneth Blume) per ottenere un tappeto di groove stridenti che rimodellano e reinventano il passato.
Certamente lo slow-burning mode di free-jazz, caos e noise della prima traccia "Trinidad" è sia affascinante che ripugnante, un brano che resta in sospeso creando una tensione fatale, che si tinge di surrealismo nel tribal-groove di "Husbands" (che non sfigurerebbe in "Fear Of Music" dei Talking Heads), fino a evolvere verso un'epica "Taxes" che esalta la percezione puramente sonora con un mix di ritmo e melodia che lascia il segno e apre le porte al dubbio e all'incertezza.
In "Getting Killed" c'è in verità più di quanto possiamo immaginare: le dolci sinuosità pagan-folk di "Cobra", l'irriverenza dei Rolling Stones di "Exile On Main Streets" in "100 Horses", i cori ucraini nella title track, un brano che si candida come il miglior urlo rock dell'anno, non per potenza ma per intensità e lancinante bellezza.
Il nuovo album dei Geese è un cuore pulsante, come la linea di basso che costantemente segue le evoluzioni di "Island Of Men", un selvaggio crescendo boogie-blues-rock che svela come la natura di Cameron e soci sia più affine agli Strokes e ai Pavement che ai Radiohead, con buona pace dei tanti che continuano a evocare Thom Yorke ogni volta che Winter apre bocca.
Quel che rende unico "Getting Killed" è il continuo incastro tra sacro e profano: il graffio folk alla Pogues della spirituale e iconoclasta "Half Real" e l'ingannevole e seducente melodia di "Au Pays Du Cocaine" sono due facce della stessa medaglia. Per i Geese non esiste alcuna possibilità di compromesso, l'anarchia è l'unica fonte di certezze. Forse il vero fascino di "Getting Killed" è racchiuso proprio nell'abilità del gruppo nel mettere in scena la frammentarietà della società moderna, le discrepanze sociali e politiche, nonché l'abisso nel quale stiamo tutti sprofondando. È una musica che si nutre del caos e di irrequieta e frenetica supponenza culturale e politica.
"Non ho idea di dove sto andando... Eccomi qui". Cameron Winter non cede il passo, e nella lunga e aspra "Long Island City Here I Come" gli impulsi ritmici e il surrealismo del suono delle tastiere suonano come un monito rivolto a un'umanità che si culla nelle proprie certezze annullando la ragione. Non angosciatevi se questo disco vi risulterà ostico e perfino inutile, non è necessario appartenere al branco: i Geese non vogliono piacere a tutti ed è questa la loro forza. "Getting Killed" non è necessariamente il disco più bello dell'anno, nella bellezza non si nasconde sempre la verità, bisogna solo essere pronti ad accettarla.
08/10/2025