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When the world is falling
Just listen to them calling
Goldstar
I newyorkesi Imperial Triumphant proseguono una carriera che dal black-death-metal di “Abyssal Gods” (2015) li ha condotti a forme di contaminazione anche estreme e avant in album eccellenti come “Vile Luxury” (2018) e “Alphaville” (2020) e che ultimamente li ha invece visti ritornare verso una scrittura leggermente più lineare con “Spirit Of Ecstasy” (2022) e ora con questo “Goldstar”.
Le nuove composizioni suoneranno come una continuazione della loro traiettoria assai creativa nel metal estremo contemporaneo a chi già li conoscesse. Gli ottoni che impreziosiscono gli arrangiamenti, i prestiti dal jazz e dalla classica, nonché l’immaginario retrò sono tutti elementi che rinforzano l’identità di una band che ha pochi paragoni nella scena contemporanea.
Nella pratica, i nove brani qua raccolti si configurano come altrettante esplorazioni, come al solito abbastanza libere e imprevedibili, di una materia death-metal assai tecnica, psichedelica e contaminata. La spaventosa “Eye Of Mars” strapazza l’ascoltatore e lo immerge in una distopia urbana a base di death-metal ornato da rintocchi funebri, squarci atmosferici ed esplosioni d’intensità sinfonica. La danza tribale che apre “Gomorrah Nouveaux” è il pretesto per un altro death-metal tecnico e asfissiante, in continua mutazione, prima che la più pacata “Lexington Delirium” stravolga l’atmosfera: con il batterista Thomas Haake dei Meshuggah, che però funge solo da narratore, il trio di New York opta per un lugubre crescendo, con pausa di tensione dove domina il basso. Il loro avant-death-metal è in piena forma in “Hotel Sphinx”, tra allucinazioni psichedeliche, rimandi djent e una citazione di Hendel, ma il gioco della band rimane spiazzare l’ascoltatore e così seguono 47 secondi di grindcore di “NEWYORKCITY” Yoshiko Ohara dei Bloody Panda.
Il trittico finale è devastante: “Rot Moderne” bombarda con ritmi ossessivi e labirintici, registrando anche una prova vocale bestiale; “Pleasuredome”, con Haake e persino Dave Lombardo, regala in un intermezzo latin-fusion-metal pazzoide che spicca persino nella loro discografia multiforme; “Industry Of Misery” attacca ancora una volta le storture del sistema capitalistico (“Kleptocratic regimes manufacture crisis”) in un rituale che unisce Lovecraft a Ligotti (“At the banks, thou shall kneel”), portato avanti anche con spettrali rintocchi di chitarra, un assolo blues (!) e un ultimo climax infernale costruito sul riff di “I Want You (She’s So Heavy)” dei Beatles.
Il sesto album degli Imperial Trimphant conserva la loro unicità senza spaventare i meno avvezzi, come potrebbe fare “Alphaville” (che, per chi vi scrive, rimane il loro capolavoro). Certamente, questa giostra che unisce Voivod, Gorguts, Frank Zappa e John Zorn è comunque da consigliare solo a chi è in cerca di emozioni forti, brani altamente suggestivi e visioni angoscianti tragicamente ispirate alla nostra realtà. Ideale da ascoltare mentre si fuma.
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The epitome of mid century
Smokes Goldstar cigarettes
22/04/2025