Questi Mc fanno le marche per comprarsi borse e scarpe,
Questa non è Ibiza, la passi nella bocca e ti anestetizza
Ma tutta questa bianca sappiate che non mi incanta
Ho fatto il coca rap prima dei rapper ad Atlanta
Jake La Furia torna al nome degli esordi, quello dei
tag da
writer, per intitolare questo “Fame”, prodotto interamente da
Night Skinny e suo quarto album da solista se includiamo anche il collaborativo “17” (2020; con Emis Killa), peraltro (forse) il migliore. La sua carriera fuori dai
Club Dogo è stata quella di un rapper da sempre capace di azzannare il
beat, sicuro di una sua estetica stradaiola, incapace però di costruire un album efficace: ammaliato dalle possibilità di successi
mainstream dei più corrivi, vedi alla voce “Bandita” (brrr) o “El Party” (doppio brrr), ha diluito il proprio potere al microfono dietro a questa o quella hit. Con Night Skinny, però, il
feeling è assai buono, come dimostrano le collaborazioni pregresse.
L’intento sembra proseguire sullo stile classico rievocato con il ritorno dei Club Dogo, e in modo non troppo dissimile dal compare
Guè: uno
street-rap con molta elettronica e
beat pieni di rimandi al passato, soprattutto al periodo tra i due millenni ma, occasionalmente, anche più indietro. Nessun momento reggaton o latin-trap, ma un
mood scuro e la voglia di raccontare di nuovo una vita dura e cruda, guidata da una fame per il successo e il riscatto, come si può ascoltare in “Back Like Cooked Crack”, nella più nostalgica “Diego Armando”, comunque infarcita di versi
explicit, o nell’ibrido
synthwave-rap “Ambition”.
“64 no brand” è il brano che sembra centrare meglio il bersaglio: un torrente di rime con due
beat diversi, con solo Jake La Furia alla voce, supportato da un Night Skinny che manipola i
sample senza rubare mai la scena.
Altrove, abbondano le collaborazioni, e se
Kid Yugi si affaccia per un brano che è quasi un
freestyle, “Milano Bloody Money” con
Ernia rievoca i Novanta della East Coast. Alcuni brani sono forse troppo affollati, nonostante sia intrattenente vedersi i vari rapper alternarsi al microfono, ma almeno “L’ultimo giorno del mondo” con il sodale Guè e uno
Rkomi che passa a tributare dei maestri, con un campionamento di “Rhytm Is A Dancer” degli Snap! rievoca un edonismo perduto pienamente in linea con l’estetica dei Club Dogo.
C’è poco di nuovo, per Jake La Furia, da raccontare: è stato già fatto da lui stesso, dai Club Dogo d’epoca e più recenti e da tante collaborazioni. “Fame” ha il vantaggio di produzioni coerenti, che conferiscono all’ascolto continuità, e rinuncia a tentazioni da hit, ma purtroppo non riesce a fare a meno delle troppe, e spesso superflue, ospitate (tipo
Bresh, che sembra imitare
Capo Plaza…). In definitiva, alcuni brani meritano di essere ricordati ma non l’album nel complesso. Avevamo fame di un nuovo classico del rap italiano contemporaneo e siamo rimasti, come la vecchia pubblicità, con un
leggero languorino…
02/02/2025