Recentemente sono stata ad Atene per lavoro. Ci sarebbero parole da spendere sul lavoro in questione (registrare il suono dei violenti fuochi d'artificio che incorniciano la pasqua ortodossa) ma servirebbe un articolo a parte. Mi preme piuttosto sottolineare un aspetto su cui, nelle mie precedenti incursioni, non mi ero soffermata abbastanza: quella città è davvero orrenda! In realtà non c'è da stupirsene troppo: offuscata sotto secoli di dominio ottomano, promossa frettolosamente capitale dopo l'indipendenza e rimodulata negli anni 50 per fronteggiare il boom demografico, Atene è stata il prodotto spesso improvvisato di cambiamenti repentini, che l'hanno travolta prima che potesse avvedersene. Non sorprende che molti residenti (tra cui il mio contatto in loco) soffrano questa assenza di personalità, ben lontana dall'eleganza di una capitale europea ma anche dal fascino decadente di molte metropoli mediterranee.
Quello che sottovalutavo, semmai, è che questo malessere si fosse incanalato in una nuova scena musicale al vetriolo. Anche qua, nulla di nuovo: a suo tempo la Grecia ha vantato una stagione new wave di tutto rispetto, forte di band (Metro Decay, Clown, Yell-O-Yell, Art Of Parties, tra le altre) agglomerate attorno alla gloriosa Creep Records. Uno spirito in qualche modo tramandato e che adesso trova asilo, si parva licet, in un'altra volenterosa scuderia: la Inner Ear. E se l'anno scorso il portavoce è stato Eddie Dark con il suo sprezzante "DISKO-TERRORISTA", a questo giro la torcia passa a "DETROIT" di Π.Ι.Ε.Β. (P.I.E.V., per chi è a digiuno di versioni di greco). Eccentrico beatnik multimediale, anima del collettivo The Bad Poetry Social Club, l'autore si destreggia tra spoken word, libri, video, mostre e performance di varia natura, con cui dar voce a un'Atene ben lontana da fregi e capitelli.
Passeggiando per Exarcheia, non è stato difficile imbattermi nelle sue tracce: il faccione à-la Moroder della copertina faceva baffuta mostra di sé su innumerevoli manifesti. Altrettando difficile non prenderlo in simpatia e correre di filato ad ascoltare il disco. Declamata con concitata impassibilità, contrappuntata dalle basi synth-gotiche di Viktoras e dagli inserti canori di un nutrito parterre di ospiti, la recitazione di Π.Ι.Ε.Β. fa coesistere grime e synthwave ("SAEIO"), rivende paccottiglia mediorientale ("Φασαίοι"), inciampa in ammiccamenti electroclash ("Cheeseburger"), scimmiotta il distacco morboso di Aidan Moffat ("Μουντή Κυριακή"), ingrana a fondo la marcia industriale ("Τι Νύχτα Και Αυτή") e bussa alla porta di un'enfatica drum'n'bass ("Το Πιο Σκληρό Κορίτσι Στην Πόλη"), sposando infine la morbida oscurità di "Ευαισθησία".
E la Motor City del titolo? Forse più un orizzonte di senso che musicale, come se la metropoli su cui più si è specchiato il declino del capitalismo si facesse metafora di tutte le città uccise dalla stupidità umana.
"TOURISTS ENJOY YOUR STAY IN THE CIMETERY (sic) OF EUROPE", recita uno dei tanti muri parlanti di Exarcheia: qualora il messaggio non fosse arrivato a destinazione, a rincarare la dose provvede lesto Π.Ι.Ε.Β., anti-aedo dell'arcigna suburbia ateniese.
10/05/2025