Trent'anni senza Freddie Mercury

Un ricordo della Regina bianca

Inside my heart is breaking,
my makeup may be flaking,
but my smile still stays on
The March Of The Black Queen

freddiemercuryofqueenperformsSono passati ormai trent’anni da quel 24 novembre 1991 quando tutti i canali tv diedero la notizia della scomparsa di Freddie Mercury. Un fulmine a ciel sereno per chi come me (allora sedicenne) aveva amato quella voce e aveva iniziato ad avventurarsi nel mondo della musica giovanile anche per merito dei Queen. Un finale inatteso di una carriera in perenne equilibrio tra successi e tragedie, tra un'esuberante carica vitale - tipica dell'edonismo sfrenato degli anni 80 - e una fragilità interiore, manifesto di un animo sensibile che trova rifugio nelle dipendenze. Un finale inatteso, anche se a ben guardare strani fantasmi aleggiavano nelle immagini dell’album "Innuendo" e in particolare nel video di “These Are The Days Of Our Lives”. Quella magrezza mai vista, quel viso stanco molto diverso dall’immagine di sé che Freddie aveva sempre voluto mostrare, anticipavano già l'imminente tragedia.

Fragilità e solitudine convivono con l'amore smisurato di milioni di fan, incapaci di riempire quel vuoto interiore e quel mal di vivere che colpisce tanti artisti baciati dal successo. In questo la parabola di Freddie Mercury può essere simile a quella di tante star vittime dell'eccessiva notorietà, in particolare a quella di Elvis Presley. La morte di Freddie Mercury ha contribuito a urlare al mondo quello che nel 1991 era ancora un argomento tabù. L’Aids faceva stragi in Africa e in tutto il mondo e parlarne era molto più difficile di quanto oggi possa essere discutere del Covid (che oggi è invece un argomento mainstream da tuttologi). Nel 1985 la morte di Rock Hudson aveva avvisato il mondo intero che qualcosa di grave stava accadendo e che nessuno poteva sentirsi al sicuro. Ma l’Aids era un argomento tabù anche perché era stato subito visto come un marchio d’infamia. Una patologia che si trasmette per via sessuale e che colpisce con maggiore frequenza gli omosessuali - una delle comunità più colpevolmente discriminate di sempre - non poteva che essere relegata in una parte nascosta della nostra mente dove si nascondono pensieri indicibili. Il 24 novembre 1991 da una parte porta disperazione, dall'altra conduce a una nuova percezione del pericolo. Freddie Mercury muore nella sua casa di Londra, comunicando il suo stato di salute solo poche ore prima della sua morte, donando al mondo il suo ultimo regalo, una nuova consapevolezza.

These Are The Days Of Our Lives

freddie_mercuryMa cosa vuol dire essere stato Freddie Mercury? Amato e odiato, tendenzialmente bistrattato dalla critica più snob, Mercury ha vissuto la sua vita in modo estremo, raggiungendo la fama mondiale, conoscendo alla perfezione sia l’adrenalina dei live degli stadi stracolmi sia la depressione e la solitudine più profonda. Mercury ha in certo senso immolato la sua vita al successo, allo star system, riuscendo sempre a mantenere la sua forte personalità e le sue peculiarietà. Versatile come pochi, è riuscito a risultare credibile in una quantità davvero sorprendente di generi. Questo in particolare nel periodo d’oro dei Queen - il triennio che va dal 1974 al 1976 - con la quadrilogia art-rock che comprende “Queen II” (1974), “Sheer Heart Attack” (1974), “A Night At The Opera” (1975) e “A Day At The Races” (1976).

Sono davvero anni d’oro - dove si passa rapidamente dall'underground degli esordi al successo internazionale - anni dove la band coniuga il rock classico (in particolare gli Who) con l'hard-rock (i Led Zeppelin) e il glam-rock (Marc Bolan e David Bowie). Generi che in quegli anni sono pronti per invadere le radio e che i Queen abbracciano senza remore, arricchendoli proprio grazie alla voce unica di Mercury e sfruttando al massimo anche le voci di Taylor e May, producendo dei cori che diventeranno il loro marchio di fabbrica inconfondibile.
Dopo un primo Lp ancora immaturo, nel 1974 pubblicano due album in cui Mercury spazia sempre più, cercando di portare all'estremo le proprie qualità. In “Queen II” passa dal canto diafano affondato in una chitarra decisamente hard (“Father To Son”) al proto-metal (“Ogre Battle”) sino alle bizzarrie barocche con clavicembalo e cori di “The Fairy Feller's Master-Stroke”, che si perde nel canto romantico di “Nevermore”. L’anima progressive della band, quella più articolata e complessa che porterà ai loro capolavori si ritrova nella accoppiata bianco/nero di “The March Of The Black Queen” e “White Queen”, due brani elaborati in cui la voce è un pilastro assolutamente fondamentale.



Sempre nello stesso anno, Mercury aumenta la sua versatilità in “Sheer Heart Attack” dove i registri canori si ampliano ulteriormente. Si passa dal rock al vaudeville col loro primo grande successo “Killer Queen”, a “In The Lap Of The Gods”, probabilmente il primo brano dove Mercury cerca di andare oltre, di sfruttare al massimo le sue qualità e di creare qualcosa che pesca nel passato per diventare qualcosa che nessun cantante coevo immaginerebbe di proporre. Ne nasce una canzone bizzarra e anomala, che nel suo genere rappresenta l'inizio di quello che nei prossimi due anni diventerà il lascito più significativo della band (coniugare hard-rock, teatro, glam e opera).



I tempi sono pronti per l’accoppiata storica della band. “A Night Of The Opera”, universalmente considerato il loro capolavoro, è un calderone formidabile di idee tra rock progressivo e opera, che trova il suo vertice definitivo in “Bohemian Rhapsody" (titolo anche del film del 2018 che regalerà ulteriore fama postuma ai Queen e un Oscar a Rami Malek per la sua interpretazione di Mercury).
Ma oltre a questo c’è molto altro. Dalle atmosfere vintage di “Lazing On A Sunday Afternoon” e “Seaside Rendezvous”, che esasperano le sonorità vaudeville con uno stile unico nel mondo della musica giovanile, all'hard-rock di “Death On Two Legs”, al prog di “The Prophet's Song” sino al canto melodico di “Love Of My Life”, Mercury raggiunge probabilmente il suo momento più alto che lo rende immortale.



“A Day At The Races” continua su questa strada ed è in un certo senso un'appendice che conferma le qualità già descritte, con la nuova accoppiata teatrale “The Millionaire Waltz” che passa con disinvoltura dal valzer all'hard-rock, e “Good Old-Fashioned Lover Boy”, sino ai cori giapponesi di "Teo Toriatte" e a “Somebody To Love”, brano dove i cori raggiungono livelli davvero maniacali (forse fin troppo). Perla misconosciuta è senz'altro “You Take My Breath Away”, brano di piano e voce anomalo dove il canto di Mercury si pone davvero a un livello inavvicinabile.



We Are The Champions

Che cosa rimarrà dopo tutto questo? Di certo il grande successo e il passaggio alla definitiva consacrazione mainstream. Dagli inni da stadio di “News Of The World" in poi, il successo inonderà la vita del quartetto. Mercury, ormai star internazionale, si getta nella vita dello star system con passione assoluta, probabilmente inconsapevole di quanti prima di lui ne siano rimasti schiacciati. Purtroppo sarà così anche per lui. Dopo un serie di album fallimentari (fra tutti l’orribile “Hot Space”), dopo vari tentativi di seguire nuove mode, Freddie abbandona temporaneamente la band, cercando la strada solista (probabilmente spinto da consiglieri malevoli) senza produrre alcunché di valido, o tentando la strada della lirica nel duetto con Montserrat Caballé, coronando uno dei sogni della sua vita.

Who Wants To Live Forever

Permane in Mercury l’idea di musica come prodotto di consumo, da fruire velocemente per poi passare a nuova merce. Passare da una hit all'altra prima di finire nell'oblio, riuscendo a scrivere hit con clamorosa facilità senza rendersi conto che molte delle sue creazioni ambivano a divenire immortali. Il riavvicinamento coi Queen porta a nuovi successi commerciali (“Radio Ga Ga”, “A Kind Of Magic”), al ritorno in grande stile nel mainstream con la colonna sonora del blockbuster “Highlander”, ma anche a brani improponibili (il primo che viene in mente è il terribile “Pain Is So Close To Pleasure”).
Tutto appare privo sia della poesia che dello stile inconfondibile degli anni d’oro, almeno sino all’inatteso colpo di coda. "Innuendo" è il testamento definitivo e requiem finale dell’uomo Freddie Mercury, ormai spogliatosi definitivamente dello status di rockstar per vestire quello di un semplice uomo ormai giunto al tramonto della sua vita. “Innuendo” - che oggi potremmo definire come il “Blackstar” degli anni Novanta - contiene brani come “The Show Must Go On”, “These Are The Days Of Our Lives”, la title track fino alla bizzarra "I'm Going Slightly Mad” che suonano come le ultime volontà di uomo che vede la morte di fronte a sé, che si mette a nudo senza filtri e che - senza dirlo esplicitamente - saluta per un'ultima volta i suoi fan e i suoi cari.

The Show Must Go On

Una carriera segnata da forza e fragilità. Una forza apparentemente illimitata che invece nascondeva un uomo fragile, segnato da una solitudine e da un mal di vivere nascosto da una facciata di lustrini e vestiti colorati, che nonostante tutto deve sempre sorridere perché lo spettacolo vada avanti. E questo spettacolo, ancora dopo trent'anni, non conosce fine.



Discografia

Pietra miliare
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