Autore: Amanda Petrusich
Titolo: It Still Moves - Vecchi dischi, autostrade perdute e la ricerca della prossima musica americana
Editore: Arcana
Pagine: 271
Prezzo: Euro 17,50
Uova fritte, polenta alla besciamella, biscotti con burro e marmellata, stufato e bacon. La "Old Timer's Breakfast" è servita: basta accomodarsi al proprio tavolo, tra le pareti di un locale ingombro di vecchie cianfrusaglie.
Per cercare di capire che cos'è l'Americana, ci si può accontentare di una definizione di Wikipedia ("una collezione di manufatti riguardanti la storia, la geografia, il folklore e l'eredità culturale degli Stati Uniti"). Oppure, si può andare a fare colazione in qualche ristorante old style nel cuore dell'America e guardarsi semplicemente intorno: perché la realtà è sempre più eloquente di ogni etichetta.
Amanda Petrusich, bionda collaboratrice di testate come Pitchfork e Paste Magazine, ha deciso di fare proprio così, nel suo viaggio alla ricerca dell'essenza dell'Americana. E tra le tovaglie rustiche di un ristorante "Cracker Barrel" le si è fatta incontro una semplice rivelazione: "l'iconografia rustica e casalinga di queste pareti è ciò che la maggior parte della gente immagina quando pensa alla nozione di Americana". L'idea di America nella sicurezza degli oggetti. "Ma applicare queste idee nostalgiche all'arte è più complicato che applicarle ai ristoranti. Perché l'arte che non è in grado di adattarsi a nuovi paesaggi è arte che non si muove, e che non emoziona".
"It Still Moves. Vecchi dischi, autostrade perdute e la ricerca della prossima musica americana": così si intitola il diario on the road con cui Amanda Petrusich ha deciso di raccontare la sua personale avventura a bordo di una scassata Honda Civic attraverso le terre in cui affondano le radici della musica americana. La sua missione? "Imparare qualcosa di più sui luoghi da cui provengono le canzoni che amo e, se sarò davvero fortunata, sul perché sono nate proprio lì".
A metà strada tra travelogue e saggio musicale, "It Still Moves" si dipana tra itinerari insoliti, menu di campagna e incontri ricchi di fascino, facendosi perdonare qualche eccesso didascalico grazie alla capacità di coinvolgere in un viaggio ad occhi spalancati attraverso la tradizione americana. Non una tradizione cristallizzata nell'immobilità storica, ma una tradizione viva e pulsante, in cui si rispecchia l'America degli Anni Zero.
La prima tappa non può che essere nel profondo Sud: "nella ricerca delle radici della musica americana, tutte le strade portano a Memphis". Ma attraversare la storica Beale Street, culla del blues alla fine dell'Ottocento, è un'esperienza straniante: una via "enorme e stupida", costellata di negozi di souvenir e locali per turisti, alla cui spalle la città di Memphis appare squallida e desolata. "Il blues, per la maggior parte, è passato oltre". A Clarksdale, Mississippi, il crocicchio dove la leggenda vuole che Robert Johnson abbia siglato il suo patto con il Diavolo è inondato dalle luci dei riflettori e pieno di gigantesche insegne a forma di chitarra. "La città sembra intrappolata nel tempo, come il set abbandonato di un film". Poco lontano, si può trascorrere la notte nella vecchia baracca di Muddy Waters, all'interno di una piantagione di cotone. L'ennesima trovata per turisti, certo; eppure, ci si può sorprendere a provare un misterioso senso di comunione con tutti coloro che sono passati da quel luogo.
Se l'America del blues sembra ridursi ad una finzione mitica, l'industria del country appare tanto florida quanto priva di anima: il centro di Nashville, con i suoi negozi di stivali da cowboy e i suoi locali in stile saloon, "è un tributo funzionale e coerente al country, immediatamente distinguibile dal fallimentare omaggio di plastica al blues di Beale Street". Amanda Petrusich traccia con dedizione la genealogia della musica di Nashville, dai fasti radiofonici e televisivi del "Grand Ole Opry" al contrasto solo apparente con l'atteggiamento ribelle degli "Outlaw" come Waylon Jennings e Willie Nelson, fino ad arrivare al pop-country da stadio di Garth Brooks. "Come i book fotografici a Hollywood, qui ogni allegra cameriera e barista con le fossette, a quanto pare, ha una chitarra acustica e un tamburello che viaggia nel portabagagli della sua Honda".
Lungo la strada, non è difficile immedesimarsi nelle emozioni raccontate dall'autrice, come quando negli studi della Sun Records accosta le labbra per un istante al microfono che raccolse i primi vagiti del rock 'n' roll. Anche di fronte alle immagini più scontate dell'iconografia musicale americana, però, le sue riflessioni riescono ad evitare la trappola della banalità. È il caso dell'inevitabile pellegrinaggio al tempio di Elvis a Graceland, dove la bizzarra quotidianità domestica degli arredi ("è la prima volta che Elvis Presley mi sembra comprensibile: gli piacevano le scimmie e guardare la televisione in cucina"), diventa metafora di qualcosa di più profondo: "anche se inavvertitamente, questa casa promette di dare risposta a grandi domande americane sul talento, la ricchezza, la fama, il declino, il fallimento, la morte".
Il suo sguardo è quello dell'irrecuperabile appassionata di musica, della maniacale collezionista di dischi, capace di entusiasmarsi per una raccolta di canzoni dei medicine show ("Good For What Ails You") e di tenere sul sedile posteriore dell'auto un cofanetto della Carter Family del peso di 3 chili ("The Carter Family: In The Shadow Of Clinch Mountain"), o ancora di rimanere a bocca aperta di fronte agli archivi della Smithsonian Folkways a Washington e di introdursi in un anonimo palazzo di uffici a qualche isolato di distanza da Central Park in cerca dei Woody Guthrie Archives.
"It Still Moves", insomma, non è semplicemente una sorta di "Lonely Planet" della tradizione musicale americana: i personaggi raccontati da Amanda Petrusich prendono vita attraverso le pagine del libro con una fisionomia intensa e reale. A.P. Carter che attraversa le montagne con il vestito della festa insieme alla moglie e alla cognata, dopo aver letto sul giornale che a Bristol hanno portato una macchina per le registrazioni e pagano 50 dollari a canzone. Woody Guthrie che viene interrogato dalla polizia per l'omicidio della Dalia Nera a causa delle lettere sconce che aveva scritto in preda alla Corea di Huntington. Chet Atkins che spiega in che cosa consiste il "Nashville sound" giocherellando in tasca con le monete: "Eccolo. È il suono dei soldi".
Il momento più denso di suggestione, però, è quello in cui all'orizzonte si profila la sagoma scura degli Appalachi: "quando vedi gli Appalachi, ti fermi. E, se sei furbo, ti volti dall'altra parte". Ci vogliono gli occhi di un americano per descrivere lo strano senso di timore mistico che quelle montagne incutono: "sono dense, indissolubili ed eccessive fin quasi a sfiorare il grottesco, talmente ricoperte da strati di vegetazione che è difficile immaginare che qualcuno abbia mai pensato che fosse una buona idea costruire un'autostrada qui". Strade costeggiate di centri commerciali abbandonati, roulotte utilizzate come laboratori per la droga, bar dove ti puoi fermare a comprare palline di crema di granturco fritte nella pastella ("sono croccanti e bollenti, al tempo stesso la cosa più buona e più disgustosa che abbia mai assaggiato"). Di fronte alla lapide di A.P. Carter immersa nell'erba, gli Appalachi si stagliano come "il più grande poema vivente d'America".
"Non è americano - non è folk - lasciarsi sorprendere dal cambiamento". L'Americana, per Amanda Petrusich, non è solo l'"Anthology Of American Folk Music" di Harry Smith. È una realtà presente e in continuo mutamento. Per questo, "It Still Moves" non si limita a scavare in cerca dei segni del passato, ma si spinge anche ad indagare la scena musicale contemporanea, interrogandosi sul futuro dell'Americana.
I nomi, a dire il vero, non brillano particolarmente per originalità e sembrano ruotare tutti intorno a una visione piuttosto pitchforkiana del folk americano attuale: Will Oldham, Iron & Wine, Califone, Devendra Banhart, Joanna Newsom... La severità dimostrata verso l'alt-country (fatta eccezione per Wilco e Freakwater) suona addirittura eccessiva, pur con lo scopo dichiarato di mettere in guardia rispetto ai rischi di un'esaltazione dell'autenticità fine a sé stessa. A mancare, insomma, è l'approfondimento sul campo della realtà folk e cantautorale dell'America del nuovo millennio, in tutta la molteplicità delle sue sfaccettature. Più efficaci risultano invece le pennellate con cui l'autrice tratteggia il milieu indie-folk di Brooklyn, tra ventenni in magliette American Apparel e Puma che suonano il Moog e l'arpa, cantautori "approvati da Starbucks" che trascinano la loro chitarra acustica e i loro taccuini pieni di liriche, hipster con occhiali da sole oversize, braccialetti di gomma e "borse di tela con toppe di animali della foresta (scoiattoli, cerbiatti e fringuelli, soprattutto)"...
Anche questa è moderna Americana. Ed è Americana la possibilità di mantenere in vita una tradizione riconquistandola fino a farla propria: "prendere quelle cose e farle passare attraverso il proprio filtro", come sintetizza Tim Rutili dei Califone in una delle interviste più interessanti del libro. Ma più di tutto, Americana è qualcosa che ha a che vedere con le proprie radici: è l'appartenenza ad un luogo. "Abbiamo autostrade al posto delle arterie e nuvole al posto del cervello e bastoni al posto delle ossa. I suoni che emettiamo sono Americana".
(08/06/2010)
VV.AA. - Anthology Of American Folk Music (Folkways, 1952) | |
The Carter Family - In The Shadow Of Clinch Mountain (Bear Family, 2000) | |
VV. AA. - Goodbye, Babylon (Dust-To-Digital, 2003) | |
VV. AA. - Good For What Ails You: Music of the Medicine Shows 1926-1937 (Old Hat, 2005) | |
VV. AA. - Sun Spots Vol. 2: Oddities And Obscurities (Sun Records, 2005) |