Chappell Roan - Good Luck, Babe! (singolo, 2024)
Lo abbiamo già scritto molte volte, d'altronde sono i fatti a dimostrarlo: il processo di costruzione di una popstar è materia ardua, impegnativa, il più delle volte si rivela un investimento a fondo perso. Fortuna che a volte un discorso del genere va semplicemente a farsi benedire, e dalle falle del meccanismo emergono personalità magnetiche, artisti talmente irresistibili da reclamare a sé tutta l'attenzione. In tempi frenetici e distratti come quelli attuali, un'emersione che si consolidi in qualcosa di duraturo sta diventando un fenomeno sempre più raro; talvolta succede però che il materiale sia talmente innegabile che non solo produce un'onda inarrestabile, ma spinge a guardare indietro, a recuperare quanto la precedente fascia d'ombra non aveva ancora rischiarato.
Chappell Roan, il brillante personaggio drag dietro cui si nasconde Kayleigh Rose Amstutz, è la protagonista di questa impressionante ascesa ai piani alti delle classifiche, l'oggetto di una crescente ammirazione che pare allargarsi di settimana in settimana. Galeotta è stata l'esibizione al Coachella dello scorso aprile, un set atto a presentare i pezzi forti del suo primo album “The Rise And Fall Of A Midwest Princess”, ma che ha soprattutto trovato la vera sponda in “Good Luck, Babe!”, nella forza espressiva di un capitolo atto a introdurre una nuova stagione creativa. Ed è qui che la storia prende una piega diversa.
Poteva andare tutto storto, risolversi in un nulla di fatto come per tanti musicisti dalle grandi aspirazioni: non è d'altronde il migliore periodo per essere una drag-queen negli Stati Uniti, a maggior ragione se i tuoi testi affrontano argomenti espressamente lesbici, dall'alto di una prospettiva che alterna serio e faceto. Certo, il potenziale era già stato intravisto da mamma Atlantic anni addietro, ma dopo un ingenuo Ep di debutto, l'etichetta ha fatto presto a tagliare i ponti con Amstutz descrivendola come poco appetibile al grande pubblico. Il supporto, insomma, non è stato dei più forti, ma la perseveranza ha pagato: tra un impiego presso un drive-through e un lavoro di assistente alla produzione, si rivelerà decisiva la collaborazione con Dan Nigro, impegnato parallelamente anche col debutto di una certa Olivia Rodrigo. È un lavoro a fuoco lento, una carburazione che passa da singoli distribuiti con calma, ma che lasciano già intendere un gusto tutto particolare per il camp, per i coup de theatre, per un immaginario che ai soliti synth di stampo anni 80 contrappone una maggiore varietà sonora, giocata su brucianti derive electroclash e un tocco da punkette modellato su classici anni Novanta. Il tutto senza mai prescindere dalla natura ironica dei testi, dall'approccio fieramente queer, mai sacrificato per la comodità di chicchessia.
Certo, le melodie ancora non si smarcano da un certo tocco swiftiano, ma quanto offerto da Chappell Roan fa sì che piano piano il seguito si faccia sempre più marcato, che arrivino i live da headliner, che infine compaia il contratto per la Amusement (sub-label della Island fondata da Nigro) e quindi il primo album, “The Rise And Fall Of A Midwest Princess”. Più una compilation che una vera raccolta di inediti, racchiude in sé tutto l'estro e il brio di un'autrice che si è fatta le ossa con pazienza e carattere, frenata da una voce creativa ancora troppo incostante, da una mancanza di focalizzazione. Il fuoco però brucia, arde attorno a sé ogni dubbio, il desiderio di esprimersi prevale su ogni aspetto.
Dopo una nuova tournée che la porta in giro per gli States in promozione dell'album, è tempo di voltare pagina, di tenere premuto il pedale dell'interpretazione, dell'intensità emotiva, oltre ogni maschera e pantomima. Detto fatto: sempre col supporto di Dan Nigro in regia, “Good Luck, Babe!” viene condivisa lo scorso 5 aprile e segna il primo passo di una nuova era, di una trasformazione talmente evidente da segnare una cesura nettissima col passato. Che l'affermazione arrivasse così non era forse preventivabile, di certo lo ha fatto al momento giusto.
Si respira un'aria classica, nei tre minuti e trentanove del brano. Classica non tanto nel modo in cui si inserisce all'interno di filoni più o meno consolidati e storicizzati, piuttosto classica nel respiro, nella struttura, capace di risultare attuale pur facendo a meno dei trend contemporanei. In un'epoca di vibrazioni, di soundbite buoni per TikTok, di linee semplificate adatte a qualsiasi playlist generalista, un brano dalla composizione così “canonica” risulta un'anomalia, il ritorno a un modus operandi che in classifica si è finito pressoché col perdere. Strofe, ritornello, bridge: i fondamentali della forma-canzone ci sono tutti, modellati attorno a un sound che è pura delizia. Solo apparentemente legato al synth-pop dell'album d'esordio, l'arrangiamento vira piuttosto verso lidi più barocchi, decadenti, pieni di archi e stacchi da camera, a ritrovare quel tipo di aura romantica propria degli ultimi Roxy Music o dei Japan. Kate Bush? Se è vero che la teatralità di Roan la potrebbe accomunare a una delle artiste più influenti di sempre, nondimeno l'atteggiamento espressivo è più morbido, si sposta verso la riscoperta wave perpetrata da Gwen Stefani nel suo primo album solista (la mente viaggia alla sensualità di “Cool”) e il pathos dei Fleetwood Mac di “Tango In The Night”, in un gioco di fraseggi e contrassegni timbrici che supporta pienamente l'intensità del canto.
Già: il canto. Roan non è di certo nuova alle interpretazioni di carattere, in sé possiede il carisma e la comprensione emotiva di grandi figure del passato. Mai come in “Good Luck, Babe!” ogni piccola variazione di tono, ogni scelta di passo dà piena dimostrazione di una voce che si fa tutt'uno con i testi, vive pienamente il contenuto di ciò di cui racconta. Impossibile sapere a chi si rivolga, quale sia questa fantomatica donna incapace di scendere a patti con la propria omosessualità, ma il tema della “comphet” (o eterosessualità obbligatoria che dir si voglia), dei danni e del dolore che causa a chi la vive e soprattutto a chi la deve subire, raramente ha trovato sponde in musica, men che meno in canzoni pop dal taglio anthemico.
Già da subito Roan mette in chiaro qual è l'andamento umorale, il tono di rinuncia e sconfitta, legato a un atteggiamento conflittuale nei confronti di una persona che ritiene di pensare che in fondo questo non è un rapporto reale, che non vi sia alcuno scambio emotivo dal suo lato. L'illusione di chi non vuole osservare la verità con i propri occhi, poco importa che dall'altro lato vi sia una sciocca, una donna innamorata con le braccia come d'angelo, pronta a stringerle ancora una volta. Eppure non è la fine, dal lato di Roan ci sarebbe tutto l'interesse a proseguire, tutta la forza di un amore che aspetta faticosamente di essere definito tale, di non nascondersi più dietro ad assurdi dinieghi.
È un dolore che il pre-ritornello trattiene a stento, in cui ingiustizia, senso di abbandono, il sottile e opprimente gioco delle ipocrisie e del moralismo giunge all'orlo, prima di esplodere nel ritornello, di far sì che la realtà dei fatti si presenti in tutto il suo straziante impeto. Affiora comunque con eleganza, nel canto dell'autrice appare un senso di accettazione nei confronti di una situazione destinata a chiudersi non per sua volontà. E quindi, sì, buona fortuna, che ci provi a percepire con gli uomini quello che una sola donna è stata capace di farle sentire. Che arrivi a ignorare un sentimento innegabile, a inventarsi mille scuse: il mondo va avanti, non si ferma per nessuno, tanto varrebbe evitare di negare sé stessi per chissà quale terrore.
La seconda strofa ricalca la follia di un amore impossibile, l'essere un cliché senza speranza, la prospettiva viene ribaltata, l'analisi passa al sé, alle proprie necessità, costantemente disattese. La rabbia monta, gli archi si fanno più puntuali e insistenti, la decisione è ormai stata presa, l'addio è ormai definitivo; col secondo ritornello la foga dell'arrangiamento si fa più marcata, la levità dell'inizio è ormai soltanto un vago ricordo ridotto in frantumi.
È nel bridge che però la canzone si risolve veramente nel gioiello che è, nel diamante nero carico di angoscia: più una sorta di profezia che un attacco rancoroso, con pochi versi Roan delinea il futuro della propria amante, sposa infelice di un uomo con cui non condivide niente, protagonista di una finzione a cui non può più sottrarsi. La tensione monta, cavalca l'onda di ogni singola parola, prima che arrivi, armata di insistenti “I told you so”, la verità. Intelligente l'uso delle sospensioni, il nervosismo della linea sonora si appiana fino a diventare un sibilo, prima che l'ultima ripetizione esploda in un trionfo di amara ineluttabilità. Si arriva in fondo al brano che si fatica quasi a respirare, e la stessa decelerazione del nastro non fa altro che accartocciare su di sé una storia senza reali vincitori, senz'altro portatrice di una cocente sconfitta.
Sorprende che nell'epoca dell'assoluta immedesimazione, della parcellizzazione degli ascolti, un brano così legato a un'esperienza specifica alla comunità LGBTQ abbia centrato una simile attenzione, si sia fatto strada con la forza di un messaggio atipico, arrivando a centrare la top ten americana e britannica, e da qui piano piano il mondo intero. In fondo, però, è in questi possibili momenti di rottura, in queste mine vaganti, che si evidenziano nuove strade. Se la contestuale riscoperta e presenza in classifica di vecchi singoli, nonché il successo a posteriori dell'album, stanno a indicare qualcosa, è che il mondo sembra pronto ad accogliere Chappell Roan, con la sua versatilità camp e il suo smagliante gusto scenico. “Good Luck, Babe!” ha introdotto una nuova via, si spera che sappia coglierla in tutto il suo potenziale.
It's fine, it's cool
You can say that we are nothing, but you know the truth
And guess I'm the fool
With her arms out like an angel through the car sunroofI don't wanna call it off
But you don't wanna call it love
You only wanna be the one that I call "baby"You can kiss a hundred boys in bars
Shoot another shot, try to stop the feeling
You can say it's just the way you are
Make a new excuse, another stupid reason
Good luck, babe (well, good luck), well, good luck, babe (well, good luck)
You'd have to stop the world just to stop the feeling
Good luck, babe (well, good luck), well, good luck, babe (well, good luck)
You'd have to stop the world just to stop the feelingI'm cliché, who cares?
It's a sexually explicit kind of love affair
And I cry, it's not fair
I just need a little lovin', I just need a little airThink I'm gonna call it off
Even if you call it love
I just wanna love someone who calls me "baby"You can kiss a hundred boys in bars
Shoot another shot, try to stop the feeling
You can say it's just the way you are
Make a new excuse, another stupid reason
Good luck, babe (well, good luck), well, good luck, babe (well, good luck)
You'd have to stop the world just to stop the feeling
Good luck, babe (well, good luck), well, good luck, babe (well, good luck)
You'd have to stop the world just to stop the feelingWhen you wake up next to him in the middle of the night
With your head in your hands, you're nothing more than his wife
And when you think about me, all of those years ago
You're standing face to face with "I told you so"
You know I hate to say, "I told you so"
You know I hate to say, but, I told you soYou can kiss a hundred boys in bars
Shoot another shot, try to stop the feeling (well, I told you so)
You can say it's just the way you are
Make a new excuse, another stupid reason
Good luck, babe (well, good luck), well, good luck, babe (well, good luck)
You'd have to stop the world just to stop the feeling
Good luck, babe (well, good luck), well, good luck, babe (well, good luck)
You'd have to stop the world just to stop the feeling
You'd have to stop the world just to stop the feeling
You'd have to stop the world just to stop the feeling
You'd have to stop the world just to stop the feeling