Olivia Rodrigo è una delle più grandi new sensation pop dei primi anni 20. Ex-star Disney, ha presto iniziato a vestire i panni di voce generazionale post-adolescenziale, interpretando l’interesse rinnovato della Gen Z per il rock anni 90 nostalgico e re-inventando il cantautorato femminile da classifica nell’era post-#MeToo. Il suo fenomeno cresce a dismisura e milioni di adolescenti la seguono fedelmente, affascinati dalla sua proposta pop/non-pop.
Attrice e bambina prodigio
Negli ultimi anni sono numerose le attrici e cantanti assurte ai vertici delle classifiche partendo dalla più importante industria dell’intrattenimento americano. Anche star maschili hanno iniziato la loro carriera nella factory Disney, ma in misura molto minore e con un impatto ben meno eclatante. Dal lato femminile, invece, specialmente a partire dagli anni 90, cantanti o attrici che hanno iniziato la loro carriera come bambine prodigio hanno effettuato poi il passaggio graduale a carriere da “adulte”, incontrando il successo internazionale e spesso finendo col rappresentare valori estetici e artistici molto distanti, se non opposti, rispetto a quelli degli show da esse interpretati da bambine. Si potrebbero fare innumerevoli esempi: Miley Cyrus, Demi Lovato, Selena Gomez, Zendaya Coleman, Bella Thorne e così via.
Quello di Olivia Rodrigo, tuttavia, è (o perlomeno, per ora appare) un caso a parte, per molteplici ragioni. La prima potrebbe portare a separarla dalle colleghe per via una certa impostazione “rock” (mettiamolo tra virgolette) nella sua musica, ma sarebbe scorretto dire che per esempio anche la Cyrus o la Lovato non abbiano mai fatto filtrare nelle loro produzioni influenze da questo genere, specie per quanto riguarda la fase “punk” di quest’ultima. La seconda ragione colloca la Rodrigo e il suo successo nel momento di massimo apice dell’influenza dei social network, ai quali, a differenza delle cantanti succitate, deve praticamente il 100% della sua fama. Ma c’è altro ancora da dire, un insieme di cose che rende la giovane Olivia più interessante di molte altre colleghe nel panorama “pop” odierno (anche questo termine va tra virgolette, e tra poco spiegheremo perché).
Olivia Rodrigo, nata nel 2003 in California, figlia di una insegnante e di un terapista (non una “nepo baby”, quindi) con discendenza filippina, è cresciuta sorda per metà nel suo orecchio sinistro (tutto vero) ma ascoltando comunque i White Stripes (ha detto che Jack White è il suo “eroe degli eroi”) e gruppi come Pearl Jam e Green Day. Metà della sua formazione è quindi rock, mentre l’altra metà, quella pop, fa capo all’immancabile (per una ragazza della sua generazione) Taylor Swift, a Lorde e a Lana Del Rey; una “terza metà”, definiamola così in quanto più via di mezzo che nella sua musica deve ancora trovare modo di emergere compiutamente, la collega invece a cantautrici quali Annie Clarke (St. Vincent), Alanis Morissette, Kacey Musgraves e Fiona Apple. Chiosa finale: Olivia Rodrigo ha dichiarato di non voler essere “la più grande popstar mai vissuta”, ma una semplice cantautrice.
La formula: pop/non-pop
Un passo deciso per discostarsi dal percorso di altre passate star Disney e per non finire come “una Sarah Lynn”. Come la collega e quasi-coetanea Billie Eilish, anzi, vive la sua improvvisa e inaspettata fama proponendo una formula pop/non-pop, che giochi con le aspettative e l’hype degli eserciti di fan sui social, ma trovando modo e spazio di esprimere il proprio disagio adolescenziale con un’introspezione inedita per il mainstream, nel frattempo non facendosi mancare quell’amaro sarcasmo tipico della Gen Z. Le scelte compiute nella sua acerba carriera, iniziata a livello discografico nel 2021, sono andate tutte in questo senso: dal reclutamento del semi-sconosciuto produttore Dan Nigro, ex-leader della band As Tall As Lions, come partner di scrittura e composizione, alla selezione della Geffen, una casa discografica dal passato nobile e attenta ai risultati artistici, per la distribuzione della sua musica.
Dopo aver esordito a 13 anni nella sit-com Disney dal titolo “Bizaardvark” – nella quale suona e canta producendo video virali per una finta piattaforma online, “Vuuugle”, assieme all’amica e collega Madison Hu – e aver trovato ulteriore fama nel mockumentary “High School Musical: The Musical: The Series”, la Rodrigo si ritrova investita da una popolarità incredibile praticamente dall’oggi al domani, quando l’8 gennaio 2021 il suo primo singolo, “Drivers License”, devasta Spotify (alla fine del 2023 ha raggiunto ormai i due miliardi di ascolti) e nel giro di poco tempo arriva alla posizione numero uno delle classifiche di 25 paesi (in Italia al numero 8). Il brano è una ballad pop pianistica nella quale Olivia Rodrigo esprime la sua insoddisfazione per una relazione finita male (tema presente in tre quarti dei suoi brani), lamentandosi di come paradossalmente proprio l’esigenza di vedere il ragazzo di cui era innamorata l’avesse spinta a prendere la patente, per poter guidare fino a casa di lui.
Niente di rivoluzionario, certo, ma non dimentichiamo che siamo in un’era nuova: milioni di giovanissimi scoprono la cantante con TikTok, su YouTube e su altre piattaforme ignote ai “grandi”, e rimangono colpiti dalla sensibilità dei toni del brano e dalla malinconia con cui l’argomento viene trattato. “Drivers License” tocca corde universali tra gli adolescenti, e aggiungiamo che negli Stati Uniti la patente si può prendere, in alcune zone, già a 14 anni. Più in generale, la Rodrigo propone una nuova forma di pop che convince e coinvolge tutta una nuova nidiata di ascoltatori troppo giovani per aver conosciuto e apprezzato altre star dallo stile magari simile ma diventate famose prima e su altri media. E c’è poi la componente musicale: come altre artiste della Gen Z, la Rodrigo mostra una grande predilezione per l’adozione di sonorità nostalgiche anni 90 o in generale molto più acustiche e distorte, in grande contrasto con le produzioni artificiose e digitali della musica pop negli anni 10 e da parte dei “fratelli e sorelle maggiori” millennial. In questo, è praticamente la prima a re-inventare il genere pop rock per gli anni 20, incorporando una volontà di distinzione che è innanzitutto stilistica.
Prendere la patente e sfondare nella musica
C’è poi tutta una questione di atteggiamento, che da attrice bambina spensierata e allegra la vede in breve tempo e nel giro di pochi anni (complice, ovviamente, il periodo critico della pandemia) mutare in una post-adolescente inquieta, mesta e ansiosa. Nel documentario “Driving Home 2 U”, parlando della composizione della canzone “Enough For You”, rivela: “Essere un’attrice da bambina, quando ti viene costantemente detto che tutto quello che fai è pazzesco… tu hai fatto il minimo indispensabile e loro dicono tipo: ‘Oh, sei una stella!’. Sono sempre stata molto disillusa da questo, fin da quando ero piccola. Ero tipo: ‘Mi direbbero qualunque cosa [per farmi contenta]’, per cui mi sono spostata dall’altra parte dello spettro e ho cominciato a pensare che tutto quello che facevo era davvero pessimo. Ho cominciato a essere la critica di me stessa e a dirmi: ‘No, puoi sempre fare meglio, sempre fare meglio’, non lo accettavo mai quando qualcuno mi diceva di aver fatto un bel lavoro”. Lo stesso documentario la segue in studio assieme al produttore Dan Nigro, in occasioni nelle quali si dice ripetutamente insoddisfatta delle sue idee, delle sue performance e delle sue sensazioni nel fare musica.
Tutte ragioni per le quali il suo primo album, che esce il 21 maggio 2021, non può intitolarsi che Sour (“acida”). Una tracklist di dieci brani che mostra principalmente l’impronta del bedroom pop anni 10 (genere di formazione della Gen Z) ma con vari spasmi nostalgici, come quello del pop-punk di “Good 4 U” (che cita direttamente “Misery Business” e conta Hayley Williams e Josh Farro nei credits). Ma per chi dalla Rodrigo non sa ancora cosa aspettarsi e per chi ancora non la conosce, è il brano d’apertura (nato da un riff di Nigro) a parlare per lei: un rock'n'roll dal sapore (neo-?) grunge sul quale la voce della giovane cantante sputa paranoie, insicurezze e rancori a perdifiato, e che di pop non ha proprio nulla. Non a caso si intitola “Brutal”. Canta Olivia: “Sono così stufa di avere 17 anni/ Dov’è il mio cazzo di sogno da teenager?/ Se qualcuno mi dice ancora una volta/ ‘Goditi la tua giovinezza’, mi metto a piangere/ E non mi faccio valere/ Sono ansiosa e niente mi aiuta/ E vorrei aver fatto questa cosa prima/ E vorrei piacere di più alla gente”. Espressioni ingenue e che a chi ha vissuto un po’ di più potrebbero apparire anche vittimistiche, ma è sempre un errore giudicare il sentire di una generazione quando non se ne fa parte.
In ogni caso, Olivia Rodrigo è nell’album meno “brutale” di quanto promette in apertura. Molte canzoni si soffermano su delusioni sentimentali e assumono la forma di ballad struggenti che esplorano, dal suo punto di vista adolescenziale, tutte le sfumature della sofferenza d’amore; Olivia lo fa più con toni dolci e malinconici che con rabbia e frustrazione. “Drivers License” è un buon esempio del suono dominante nell’album. È simile a quel che sentiamo in “Deja Vu” (sic), brano che riflette sui pattern disfunzionali che si ritrovano da una relazione all’altra; in “1 Step Forward, 3 Steps Back”, canzone sulla difficoltà nel raggiungere un obiettivo o un miglioramento e la percezione negativa di un percorso, in questo, che pare non proseguire mai; e in “Hope Ur Ok”, il pezzo di chiusura, nel quale per una volta la cantante non parla di sé ma si improvvisa storyteller e narra di alcune persone conosciute in precedenza nella sua vita e poi perse di vista, augurandosi che siano “ok”. Questi sono più o meno i brani più interessanti dell’album, includendo anche “Drivers License” e ovviamente “Brutal”.
Caso a parte però, e va segnalato, è “Jealousy, Jealousy”, una delle migliori canzoni del 2021. Dai toni profondamente distinti rispetto al resto dell’album, si fa notare per via dei suoi accenti “acidi” (in linea con il titolo dell’album) e una certa intonazione sarcastica nell’espressione delle liriche. Che, in questo caso, riescono particolarmente intelligenti e acute per una artista di 17 anni. Come intuibile, la canzone parla di invidia e gelosia, e Olivia riflette, confrontandosi con altre ragazze e donne della sua età: “So che la loro bellezza non è una mia mancanza/ Ma sembra che quel peso sia sulla mia schiena”, e “La loro vittoria non è una mia sconfitta/ So che è vero ma non riesco a non farmici invischiare”. I meccanismi mentali che conducono alla negatività, attivati autonomamente e non richiesti, vengono esplorati nella loro ampiezza nel refrain: “La comparazione mi sta uccidendo lentamente/ Penso che penso troppo, a ragazze che non mi conoscono/ Sono così stanca di me stessa, preferirei essere/ Chiunque altro, la gelosia ha iniziato a seguirmi”. La parte musicale nel brano è pregevole, con una componente acustica considerevole, parti di basso da disco autoriale, armonie ragguardevoli e inclinazioni poi verso alcuni accenti jazz durante la variazione, sulla quale Olivia canta, sempre confrontandosi con altre ragazze: “Vorrei così tanto essere te, e nemmeno ti conosco/ Tutto quello che vedo è quello che vorrei essere, più felice, più bella”. Versi che, di nuovo, possono apparire ingenui ma ben rendono l’idea dei sentimenti paranoici di una intera generazione.
Successo, sorrisi storti e cinismo
Comunque venga capita, Olivia ottiene subito un enorme successo. L’album Sour viene nominato il migliore del 2021 da Rolling Stone e da Billboard, mentre persino Robert Christgau lo piazza alla posizione numero 4 della sua lista personale, che è tutto dire. Il disco arriva al numero 1 in molteplici paesi (al 10 in Italia), vincendo una enormità di dischi di platino. Ai Grammy Awards del 2022 Olivia Rodrigo vince tre premi: Best New Artist, Best Pop Solo Performance per “Drivers License” e Best Pop Vocal Album per Sour. Dopo la cerimonia, uno dei premi le cade a terra e si spacca in due. L’immagine della cantante trova sempre più popolarità grazie al film-concerto “Sour: Prom”, ambientato durante un classico ballo di fine anno liceale, e ai numerosi video provocatori, buona parte dei quali diretti dalla regista Petra Collins. La cantante si presenta sempre tra l’ironico e il malinconico, in veste sensuale (ormai adulta) ma anche fragile, esponendo la sua femminilità in ogni sfumatura, ma esprimendo anche una certa tendenza aggressiva e auto-distruttiva.
Una componente della sua personalità (e perciò della sua musica) ben più evidente in Guts, il secondo album, che esce nel 2023 ed è realizzato sempre a quattro mani con Dan Nigro. Nel nuovo disco i suoni sono decisamente più rock, con accenti che riportano alla prima Avril Lavigne, a un certo pop-punk scanzonato di inizio millennio e, nella ruvidità dei tratti chitarristici, a una certa estetica grunge che tradisce forse l’influenza delle contemporanee Wet Leg. C’è ancora tanto e sempre più sarcasmo, espresso con un cantato che spesso evita melodie e melismi, affidandosi a una specie di recitazione nella quale le parole inciampano una nell’altra, come se Olivia avesse fretta di sputare fuori tutto quanto.
I temi affrontati si colorano qui di una maggiore combattività, in una visione dell’amore più cinica e scettica, meno idealizzata. Accade in “Vampire”, per esempio, brano in cui senza troppi giri di parole paragona l’ex a un succhiasangue, asserendo: “Credevo di essere furba/ Ma tu mi fai sembrare così ingenua”; in “Get Him Back!” lo rivuole, ma non si sa se per vendicarsi di lui, se perché le manca o entrambe le cose: “Voglio farlo tornare, voglio ingelosirlo, voglio farlo stare male/ Voglio farlo tornare, perché di nuovo mi manca davvero e mi rende molto triste/ Voglio la mia dolce vendetta, voglio di nuovo lui”; e in “Bad Idea Right?”, infine, è lei a tornare da lui: “Sì lo so che è il mio ex/ Ma due persone non possono riconnettersi?/ Lo vedo solo come un amico/ La più grande bugia che ho mai detto/ Sono inciampata e caduta nel suo letto”. Al cinismo, quindi, la cantante non esita ad accompagnare la constatazione di una propria ipocrisia nelle faccende d’amore, sempre però in maniera ironica e scanzonata.
Sarebbe però un errore pensare che il secondo album di Olivia Rodrigo si occupi solo di relazioni e sentimenti. Tra i brani, infatti, filtrano anche qualche tema meno adolescenziale e ingenuo e qualche riflessione più matura e personale. In “Ballad Of A Homeschooled Girl” (la Rodrigo, come altre della sua generazione – Billie Eilish per esempio – è stata educata a casa dai genitori) riflette sulla sua incapacità di essere a suo agio in un ambiente sociale, non avendo frequentato la scuola come tutti: “Ho rotto un bicchiere, sono scivolata e caduta/ Ho detto segreti che non dovrei dire/ Sono inciampata su tutte le mie parole/ L’ho reso strano, l’ho reso peggio/ Ogni volta che esco fuori è un suicidio sociale/ Vorrei rannicchiarmi e morire”.
Più interessante ancora “Pretty Isn’t Pretty”, la migliore canzone dell’album, in cui Olivia riflette sul concetto di bellezza nell’era moderna e sulla percezione di sé: “Quando bella non è bella abbastanza, che cosa fai?/ Tutte stanno al passo, quindi pensi di essere tu [il problema]/ Potrei cambiare il mio corpo e cambiare la mia faccia/ Provare ogni rossetto in ogni sfumatura/ Ma mi sentirei sempre la stessa, perché bella non è bella abbastanza in ogni caso”. Questa è la Olivia sincera, diretta, che sorvola sui tormenti astratti dell’amore adolescenziale e riflette su ciò su cui si può davvero agire concretamente: sé stessi.