Lou Reed

Perfect Day

Lou Reed - Perfect Day
(Inclusa nell'album "Transformer", RCA Records, 1972)



“Perfect Day” è un’immagine.
Ecco che si figura davanti ai vostri occhi.
Quel “giorno perfetto” al parco. Lo stare insieme. Gli animali allo zoo. Il sole tiepido che lambisce la pelle e la serenità che si espande pigramente in tutto il corpo.
Quel giorno in cui si riesce a trovare un po’ di pace, un po’ di equilibrio, tra lusinghe di speranza e bagliori di luce. Il giorno in cui le violenze e le angosce quotidiane non riescono a trovare posto. Le ansie rimangono segregate, almeno per un po’. Una passeggiata, un po’ di sangria e poi un film a casa.
È così bello, così semplice…
Eppure ci sono dei passaggi all’interno di “Perfect Day” che vanno a rompere quello che sembrerebbe un apparente idillio tra due persone. Il primo è "you just keep me hanging me on", che letteralmente vorrebbe dire "Tu mi fai andare avanti", ma è anche una frase gergale utilizzata per indicare l'astinenza fino alla prossima dose. D'altro canto, anche la strofa finale, ripetuta quattro volte mentre la musica va a spegnersi con lo stesso passo lieve con cui è iniziata, conferma quell'aria di sottile decadenza e oscurità, come se ci fosse qualcosa che ci stia sfuggendo, adombrato dalla genuina semplicità delle immagini che la canzone porta alla mente. "You're going to reap just what you sow": "Raccoglierai ciò che hai seminato". Il riferimento potrebbe essere alla sua relazione con Shelley Albin, il grande amore di gioventù di Reed e al rimpianto derivante da quel rapporto, oppure a quella con Bettye Kronstadt, sua futura prima moglie, o ancora, ai suoi conflitti interiori con la sessualità, l'uso di droghe per l'appunto, e il confronto con il proprio ego.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che: "Lou Reed fu anche l'uomo che ha conferito dignità, liricità e rock all'eroina, alle anfetamine, all'omosessualità, al sadomasochismo, all'omicidio, alla misoginia, alla passività dei reietti e al suicidio, e poi si è messo a sbugiardare tutti i risultati ottenuti e a rimettersi nei pasticci trasformando tutto in un monumentale scherzo di cattivo gusto".
A suggerire un'interpretazione più complessa e devota alla droga ci sarebbero anche altri passaggi, come quando Reed, con la stessa voce cadenzata e aritmica di sempre, si rivolge all'oggetto di questa giornata perfetta dicendogli che riesce a fargli dimenticare di se stesso e a fargli credere di essere qualcun altro, qualcuno migliore, qualcuno più buono. Come un distaccamento da sé, un alienarsi da ciò che si è realmente, verso un lido di beatitudine, che però è solo temporaneo. Dura poco. Il tempo di una giornata perfetta. Il tempo di una dose.
O forse, direbbero i più romantici, il tempo di un bacio.

L’arrangiamento in crescendo è stato realizzato dal mai troppo compianto Mick Ronson, che fu produttore dell'album "Transformer" - insieme a David Bowie - e che qui suona pure il piano; non gonfia forse il petto di malinconia? "Perfect Day" non riesce a essere una canzone gioiosa, anche se veste i panni di un romanticismo puro e quasi convenzionale. Tra le righe si legge qualcosa di inquieto e dolceamaro, perché dietro a quella giornata perfetta il protagonista sembra impensierito da qualcosa. Non tanto nel momento in cui ci racconta la sua giornata, quanto in tutte le altre giornate, quelle che non sono perfette, quelle in cui non c'è accenno di serenità e di redenzione. Quelle che non ci ha raccontato. O forse quelle che il musicista statunitense ci ha raccontato in altre canzoni, in altre storie, con altri personaggi.

Non ci è dato sapere se e quanto di Lou Reed ci fosse nelle sue canzoni. Ma chiunque abbia seguito la sua carriera artistica giurerebbe che in ogni storia, che sia quella decadente e ampollosa dell'album "Berlin" (1973) o quella glam eppure attualissima di "Transformer" (1972), da cui la canzone è tratta, o qualsiasi altro suo lavoro, ci sia sempre qualcosa di suo. Forse tutto. Ogni album sembra essere un capitolo della stessa storia: la sua vita. E al tempo stesso, "è come recitare": scrivere quelle canzoni e poi declamarle davanti a un pubblico: né più né meno che essere un attore di teatro. Reed non ha mai voluto spiegare le proprie canzoni, soprattutto nei presunti riferimenti autobiografici, quasi a volerle proteggere. Forse, se fossero state spiegate, avrebbero perso parte del loro fascino e della loro enigmaticità. Come le note di regia, che sottopongono un film alla visione totalizzante del regista, smorzando la fantasia e la libera interpretazione dell'osservatore. Non è un caso che Lou Reed abbia sempre affermato che sia necessario trovare una chiave di lettura personale: "Devi credere a quello che vuoi credere e non a quello che senti dire". Una visione semplice ma inappuntabile, che deve molto alla letteratura; Reed studiò scrittura creativa e regia, e il suo sogno era quello di riuscire a coniugare l'arte della scrittura con quella del rock.

Diceva: "Ho sempre avuto la segreta speranza che l'intelligenza che un tempo risiedeva nei romanzi e nei film, potesse essere assimilata dal rock".
E non si può non pensare che non ci sia riuscito.



Ma, tornando a “Perfect Day”, un brano storico che si rispetti non può essere esente da cover. La più celebre è senza dubbio quella dei Duran Duran del 1995, presente nell’album “Thank You”. Reed si sbilanciò definendola potenzialmente la migliore reinterpretazione di una sua canzone. Le Bon e soci, rispettosi dell’originale, danno effettivamente nuova vita al brano, infondendogli una nota di estatica eleganza.

Nel 1997 Lou Reed registrò insieme ad alcuni suoi colleghi come David Bowie, Elton John, Tom Jones e Bono, una nuova versione di “Perfect Day” a scopo umanitario per la Bbc. Il singolo raccolse più di due milioni di sterline devolute alla Children in Need e fu un grande successo, soprattutto nel Regno Unito, dove rimase in cima alla classifica per tre settimane, e in Irlanda, dove vi si piazzò addirittura per sette.

Indimenticabile anche l’esibizione di Reed con il nostro Luciano Pavarotti in una serata del “Pavarotti & Friends” del 2002. Sarà il sorriso gioviale del tenore mentre accompagna Reed sul palco o ancora lo sguardo teneramente compiaciuto di Reed quando Pavarotti canta a piena voce il ritornello, ma quell’incontro balzano tra due mondi così lontani e antitetici fa battere il cuore anche e soprattutto oggi che entrambi i protagonisti non ci sono più.

Potremmo parlare di "Perfect Day" ancora a lungo. Potremmo cercare di decodificare ogni singola parola, saggiandone l'intonazione, alla ricerca di qualche ambiguità, di qualche scorcio più ampio, più cupo o semplicemente più vicino al nostro sentire.
Potremmo parlarne seguendo un'interpretazione narcotica simil "Trainspotting", oppure potremmo farci semplicemente cullare dal romanticismo delle piccole cose che la canzone ci espone. Un refolo di magia sbieca e imperfetta che porta in grembo un seme evocatore.
In qualsiasi modo vogliate vederla, "Perfect Day" è e sarà sempre un capolavoro.

Just a perfect day
Drink sangria in the park
And then later, when it gets dark
We go home
Just a perfect day
Feed animals in the zoo
Then later a movie, too
And then home
Oh, it's such a perfect day
I'm glad I spent it with you
Oh, such a perfect day
You just keep me hanging on
You just keep me hanging on
Just a perfect day
Problems all left alone
Weekenders on our own
It's such funJust a perfect day
You made me forget myself
I thought I was someone else
Someone good
Oh, it's such a perfect day
I'm glad I spent it with you
Oh, such a perfect day
You just keep me hanging on
You just keep me hanging on
You're going to reap just what you sow
You're going to reap just what you sow
You're going to reap just what you sow
You're going to reap just what you sow

Bibliografia e fonti:
"Classic Albums: Lou Reed: Transformer", 2001
Bockris, Victor "Transformer. The Lou Reed Story", 1997
Lester Bangs Lou Reed Interview in Creem, 1975
Lou Reed Interview in Jam! Magazine, 1996
"La Repubblica XL", 2013