Prince
Palalottomatica
Roma
2 novembre 2010
La silhouette appare nel buio, fasci in controluce e sottofondo elettronico. Poi, di colpo, tutto esplode. "Let's go crazy!" davvero, lo schermo elettronico come un fulmine si illumina gigantesco, come un flipper psichedelico, e il boato dalla platea si unisce a quel suono, quel funky futuribile che solo lui ha. Il piccolo Principe comincia a solcare il palco, dove ognuno si muove, e suona, e impazza a comando. Le tre coriste taglia forte partono dai fianchi ma poi si gettano nel palco aperto, impressionanti per forza e aggressività. Che è comunque poco in confronto alla montagna di suono che l'ultima incarnazione della New Power Generation sa riversare sulla platea, dove siamo così stretti che anche ballare, o battere le mani, diventa difficile. Tre tastiere e una ritmica, e quella chitarra, sembrano cinque volte più numerosi. "Delirious", perfetto, il titolo sembra scritto apposta. Party like it's ..."1999", la data è vecchia ma il party è in pieno svolgimento. "Sssh", e poi un po' di old school, come annuncia, con "Controversy" e una versione estatica di "Le Freak", più cattiva e ammiccante e riempipista degli Chic stessi. Tutte attaccate, una nell'altra, senza neanche tirare non dico il fiato ma neanche il pensiero. Ma come è possibile suonare con questo ritmo, e cattiveria, e divertimento, e ammiccamenti, e potenza? Che apertura! Forse l'avevamo dimenticato? Dal vivo, quando è in forma e ne ha voglia, il Principe è un serissimo contender per il migliore show dal vivo del pianeta. E stanotte, come si capirà, Prince è in forma smagliante e voglia ne ha, e tanta.
Fortunatamente, a ruota arriva "Angel", lenta e ondulante, Prince se ne va per il primo cambio d'abito, lascia spazio alle tre vocalist, dove Shelby J, una sorta versione a sedici, o anche venti-noni di Skin prende il centro, impone la posizione dominante sulle altre e travolge tutto l'esistente con una voce da spaccare le volte del vecchio Palasport. Chissà cos'ha pensato di fronte alle volte di Nervi e Piacentini, il Principe, quando prima del concerto è uscito, ha fatto una foto, ha mandato un bacio e un inchino da folletto, e sorridente come un bimbo è tornato dietro il velo di led. Chissà se il colpo d'occhio, un po' freddo e geometrico, gli ha fatto venire in mente che sotto quella volta maestosa, l'incubo di centinaia di esperti del suono, ora ricoperta di velluti rossi, hanno suonato tutti, ma proprio tutti, i suoi colleghi, e discepoli, e maestri.
Perché - come Springsteen per il rock'n'roll- Prince porta in scena la storia, la tradizione, i maestri della black music che sono venuti prima e dopo di lui. Prince sa bene che senza James Brown, e Jimi Hendrix, e George Clinton con i suoi Parliament/Funkadelic, Sly Stone e famiglia, e persino gli Chic, cardini della vituperata (ma non da lui) disco music, lui non sarebbe quello che è. La sua genialità - perché Prince è un genio della black, come Miles e StevieMeraviglia, e SugarRay e Padresoul James e SuperJimi - è fatta di combinazioni e ricombinazioni di passato e futuro. Ha riscritto la storia dagli anni 80, e pur non essendo stato in grado (anche per le sue lotte contro l'Industria) di continuare a quel ritmo (impossibile), dal vivo ha un repertorio sublime e sconfinato, e un'energia sovrumana. Ha ben presente la lezione delle Soul Revues - fatte per intrattenere, e ballare, e divertirsi a sommi livelli - e il dono istrionico del vero entertainer. Come capo compagnia detta tempi, cambi e improvvisazioni con una naturalezza che lascia a bocca aperta. Nei ritagli di tempo, danza con la leggerezza di un Fred Astaire da discoteca nero con zatteroni e passi da brevettare. Suona la ritmica come una treno ad alta velocità, svisa e inventa e gioca come se la chitarra non fosse uno strumento, ma un'estensione della mente. Quando decide di fare un assolo, è un Hendrix che danza fra soul e rock con una classe da brividi. Quando chiude lo show (curiosa maniera di fare, un'ora di spettacolo e una, in quattro blocchi, di bis) con "Purple Rain", si meriterebbe la targa-ricordo all'ingresso del Palalottomatica, come nei grandi stadi: "Qui il Signor Prince Rogers Nelson, il 2 novembre 2010, suonò uno dei migliori assolo della storia". "Purple Rain" è il suo brano, il suo colore, il suo contatto diretto con l'anima.
Quando sulle prime note il pubblico lo accompagna con quel "Oh-o-o-o" sorride, si capisce che succederà qualcosa. Gocce viola di memoria si aprono e scivolano giù lungo il sipario elettronico, e già sembra magia. Un lungo assolo, di quelli che prima ti entran dentro e poi scavano in cerca del centro, riempie l'aria, e le vene, e il terzo orecchio. Bocche spalancate, occhi sbarrati, o chiusi, o in estasi, nei volti rapiti. Presi tutti per mano e portati lontano, dove volano gli angeli, e le colombe non piangono più, e anche il tempo ha deciso di prendersi una vacanza. Un faro viola addosso, e gioia sul volto, prima chiede un coro finale - una valanga che gli torna addosso - e poi un altro. E un altro, "Cantate ancora per me?", incrociando le mani sul cuore "Thank you. So beautiful", e alla fine anche a lui la magia nell'aria deve sembrare troppa, e la scarica: si sfila la Fender, mostrandola alle folle come fosse la spada nella roccia, e la regala alle prime file - mai visto- con un gesto che lascia a bocca aperta per l'emozione. Che momento!Il resto è meraviglia continua, un juke-box spaziale senza neanche inserire i gettoni. Un'ammucchiata funky per l'All Star classic "Kiss", con decine di spettatori invitati sul palco a far caciara come fossimo a Fame, quello originale intendo, non Amici. Una "Nothing Compares 2 You" piena di soul, e gospel, e languori, con quella montagna di Shelby J che duetta carnalmente, esattamente all'opposto della fragile e mistica Sinead di tanti anni fa. "Little Red Corvette", uno dei suoi primi ever-red, la macchina sogno dei giovani americani, stesso colore della Ferrari, come metafora per quella ragazza che "goes too fast": chiede al pubblico di destra di cantarla, a quello di sinistra di fare il contrappunto - oh.oh - con doppio battito di mani, e scivola via.
Per almeno cinque minuti la sala continua, canto e controcanto e clap-clap, finché non ri escono, e parte la disco-dance di un altro piccolo eroe del black pride, il Sylvester dolce e sfrenato e una delle prime vittime dell'Aids. E discoteca sia, come fosse lo Studio 54 e non l'Eur, il dionisiaco 1979 e non questo preoccupato, e preoccupante, 2010. "Baby", è una star sul serio. E quando le luci al neon bianco si accendono, e capiamo che il sogno è finito, e ci stiamo per risvegliare alla pioggia del ritorno a casa...dopo dieci minuti il piccolo Principe fa di nuovo capolino: tre minuti di rock'n'roll e flashosità senza colori, i fondali spenti, la gente incredula che fa marcia indietro e si riversa di nuovo sulle gradinate. E' un attimo, tre minuti e goodnight davvero. E allora grazie gigantesco Prince, che sai anche fare una sorpresa, quando la tua amata già girata cerca nella borsa le chiavi di casa, e torni indietro per un ultimo bacio. So sweet. Non ti dimenticheremo.
Foto di Carlo Massarini
Delirious
1999
Sssh
Controversy
Le freak
Angel
Nothing compares to you
Uptown
Raspberry Beret
Cream
Cool
Let's work!
U Got the look
Purple Rain
If I was your girlfriend
Kiss
Why you wanna treat me so bad
Take me with you
Guitar
Little red corvette
Dance (Disco Heat)
Baby, I'm a star
PeachScheda di Prince |