Electro/club estate 2020

Dieci Ep/12'' a raccontare l'estate club

Se la crisi dovuta alla pandemia da COVID ha indubbiamente impattato, con le conseguenze che ben abbiamo visto, su tutti i piani delle nostre esigenze, è evidente come il settore della musica dal vivo sia stato tra quelli maggiormente colpiti. Per un circuito come quello dei club, che nella dimensione live esprimono il loro vero potenziale, l'effetto è stato se possibile ancor più devastante, di fatto azzerando totalmente l'ambito di elezione di musica che in contesti dalla natura gregaria  fiorisce e si amplifica, svelando tutto il suo potere comunicativo. È tutto sommato normale che questi ultimi mesi, anche più rispetto alle pubblicazioni di altro genere, abbiano visto un forte ridimensionamento nelle uscite di ambito club/electro, tanto che effettuare una selezione di titoli si è rivelato ben più difficile del previsto. Anche per questo motivo, la decina di titoli qui proposta si rivela più che mai legata ad un'idea di clubbing che si spinge oltre i limiti fisici del dancefloor e abita le piste della mente, donandosi all'ascolto con analoga energia. In attesa di tempi migliori, in cui sarà finalmente possibile sudare di nuovo sui floor di mezzo mondo, dance, dance, dance till you drop, comodamente a casa!

Anz – Loos In Twos (NRG) (Hessle Audio)
 
alitL'unica cosa che ci si può aspettare da Anz è che ogni nuova uscita costituisce un'assoluta sorpresa, nei meriti del contenuto e delle commistioni che essa apporterà. Per quanto situata sul trafficato crocevia che unisce jungle, techno, electro e quant'altro, l'approccio scelto dalla producer mancuniana trova terreno fertile nell'annullare le reciproche differenze e scovare i possibili terreni in comune, giocando su un senso della confluenza e della compenetrazione che trasformano i punti di partenza in materiale del tutto difforme. Primo progetto per la Hessle Audio, “Loos In Twos (NRG)” chiarisce perfettamente gli assunti alla base della ricerca di Anz, il suo eccellente dosaggio di nostalgia e attualità, che l'avvio quasi grimey della title track lasciano esplodere in stab acidissimi e modulazioni breakbeat. Se “Gary Mission” stempera la frenesia giocando di maggiore sottrazione (preservando però le caratteristiche acide della prima traccia), un cut di assoluto livello come “Stepper” sa come trarre vantaggio dai segmentatissimi campionamenti vocali per architettare una costruzione tra il gqom più sinuoso e certe variazioni hardcore dell'UK-funky. Andare di replay è davvero questione di un attimo. 
 
Azu Tiwaline – Magnetic Service (Livity Sound)
 
atmsÈ un sortilegio prezioso, quello che Azu Tiwaline ha offerto alla Livity Sound di Peverelist, di quelli il cui effetto perdura nel tempo, lasciando forti impressioni di sé. Ponendosi al crocevia della musica tradizionale berbera, dei narcotici pattern dub e della techno più soffusa e distante, la producer tunisina (già artefice di un dittico di album durante la prima metà dell'anno) concepisce un sound secco, misterioso, in cui i tratteggi percussivi della cultura amazigh si diffondono nella vastità del deserto, provando a decifrarne i codici. Voci sparse nel vento si combinano con le affascinanti nuance di un tratteggio ritmico che si perde nell'immensità (la conclusiva “Tessiture”), ghiaccio e fuoco diventano un corpo unico tra le sapienti mani dell'artista, che sa come accordare tale contrasto in un gioco di chiaroscuri ritmici (“Terremer”). E se il tono si fa più sperso e suggestivo (le discrete aperture dub di “Magnetic Service”), non basta poi molto perché l'arcano disveli la sua eterna potenza (le manipolazioni sinestetiche di “Tight Wind”). In una piena immedesimazione tra soggetto e sua traduzione sonora, la musica di Tiwaline è diretta espressione del Sahara e dei suoi spazi sterminati. 
 
DJ JM – Nasty, But Attractive (self-released)
 
djjmnbaPicchiano duro i beat di DJ JM, durissimo. Se cercate insomma le nuance melodiche, i singalong e le cornici di velluto, questo non è proprio il prodotto che fa per voi. Benvenuti invece coloro che vorranno perdersi all'interno di tracce nelle quali è soltanto il ritmo a contare: martellante, ipnotico, pervasivo, il fulcro espressivo dell'ultimo Ep del producer lituano poggia sulla ricerca del banger perfetto, di quelli con cui riempire la pista e scatenare la platea. Nessuna complicazione, nessun stratagemma: per quanto il linguaggio del DJ sia tutt'altro che monolitico (si passa dai fraseggi bass di “Breaked” ai tratti acidi di una “Pacemaker”, pieno rimando all'epoca d'oro della rave culture) le linee poggiano su elementi semplici utilizzati con il dovuto gusto, variazioni minimali che enfatizzano, non senza un pizzico di sporcizia e cattiveria, il taglio narcotico del parco ritmi. Tra cadenze tribali (la title track), picchiatutto hard-techno (“OCDrum”), bizzarre aperture psichedeliche (“Scard”) il codice del producer centra il bersaglio con assoluta precisione, senza disdegnare pure qualche schiaffo ben assestato. Nasty, but attractive, per l'appunto.
 
Djoser – Secret Greeting (3024)
 
dsgI beat sono davvero potenti, in quest'ultimo Ep di Djoser, talmente tanto che quasi finiscono per adombrare le finezze che si nascondono tra le pieghe dei quattro brani. Continuando sulla scia di un hard-drum imponente e dalle venature altre (“Alumen” viaggia verso la Idm psichedelica dei Lakker), il producer di Washington picchia durissimo, anche se i bpm non esagerano mai troppo, lasciando che sia il sound a mostrare quale sia la sua vera forza. Ancor più lenta, quasi sulla scia di un dub insistito, “Kidulum” esplora un lato atmosferico, più rilassato, mostrando però di saper tirare fuori gli artigli quando si tratta di operare sui bassi. Ben più allucinata, con le sue spiritate manipolazioni sintetiche, è la title track, modulata su un ostinato ritmico irregolare e dal sottile tocco industriale; “Goose” appronta ulteriori manipolazioni sugli alti, mantenendo comunque l'impianto vigoroso dei volumi e dei timbri. Se la hard-drum voleva sperimentare, qui chiaramente le è stato dato il modo: un rilancio di peso per Djoser, che segna un buon passo in avanti.
 
Elkka – I. Miss. Raving. / Bleep+ (Local Action)
 
eimrbCo-fondatrice di femme couture, serie di party dedicati alla celebrazione e alla promozione dell'attività di Dj donne e non binari (poi evolutasi in un'etichetta che porta lo stesso nome), Elkka è talento puro, abile nel manovrare i fili della house e distillarne l'essenza più pura, in banger dall'assoluto tocco anthemico. Con un titolo che è tutto un programma, “I. Miss. Raving.” trasporta dritta nel mezzo della pista: poco importa che sia immaginata, il sentimento è reale, il sudore e l'energia che emana, con i suoi bassi sinuosi e i luminosi campionamenti vocali, trasportano in un momento di piena euforia, trasudano una passione per il dancefloor di cui la producer è decisamente provvista. Parte con un'impostazione più electro “Bleep+”, ma ci vuole poco perché il brano subisca una netta trasformazione, dirigendosi dalle parti di una cut che sintetizza echi acidi, motivi bleep-techno (per l'appunto) e riferimenti micro-melodici in una miscela curiosa e accattivante. La nostalgia per eventi del genere aumenta, ma il peso si smorza leggermente con pezzi del genere. 
 
FAUZIA – Fragments (self-released)
 
ffDalla proficua attività di mixer alla produzione (solo quest'anno sono già tre gli Ep a suo nome) uno è il comune denominatore che lega l'output discografico di Fauzia Habib: la profonda conoscenza della club-culture, e un approccio curioso ai generi, sfruttati con particolare cura per il loro potenziale evocativo e per le inattese combinazioni che ne scaturiscono. I due brani che compongono “Fragments” sotto questo punto di vista mettono immediatamente in risalto l'approccio singolare della londinese, che innesca contrasti dalle fonti più disparate, individuando nuove sintesi e potenti slanci melodici. Su morbide tessiture dreamy “Insurrection” instaura pattern hardcore e cavernosi bassi di stampo dubstep, in quella che pare una traduzione contemporanea della future-garage. Ben più composita (e allo stesso tempo più melodica) risulta “Berceuse” in cui la jungle si erge ad assoluta protagonista della sezione ritmica, accelerando e diffrangendosi a metà del brano, senza però rinnegare la delicatezza di pad atmosferici che complimentano la visione del pezzo, apportandogli un tocco fresco, rilassato. Grazie al terzetto di Ep offerto in questo 2020, la carriera come produttrice di FAUZIA pare già avviarsi con i migliori auspici.
 
Galcher Lustwerk – Proof (Ghostly)
 
glpTra i nomi che hanno tenuto alto il profilo della house a stelle e strisce, quello di Galcher Lustwerk è tra i più importanti: tutto merito di una visione di straordinaria coerenza e di un lavoro di cesello su tessiture, transizioni e beat, tanto da rendere i suoi mix veri e propri capisaldi della deep anni Dieci. Prosecuzione e completamento di “Information”, che ha visto il raffinato producer approdare sui lidi della Ghostly International, “Proof” è lavoro che ne cementa la visione e ne amplifica il portato emotivo, spingendo su un intimismo e un abbandono inconsueti nel ricco output del musicista. Se rispetto al suo compagno “maggiore” questo è un Ep decisamente più improntato al clubbing e alla pista, nondimeno mantiene intatta la natura espansa dell'album, nel modo in cui le spesse propulsioni ritmiche e gli avvolgenti pad sintetici fungono da supporto ad una dimensione narrativa mai così ricercata. La frustrazione di essere un producer nero e di vivere una condizione di svantaggio e razzismo in un genere che ha radici black diviene il fulcro lirico di riflessioni che Lustwerk affronta con brillante facilità rap, iniettando nuovo dinamismo in pezzi che consegnano un artista in splendida forma (il rimaneggiamento più slanciato e vigoroso di “Another Story”, in cui non esita ad affermare che “I'm in New York and I'm black/I can make beats, I can rap” sta lì a chiarirlo). Nel suo momento più introspettivo (quando non amaro, come le parole di commiato affidate alla suadente “Leave” attestano) Galcher Lustwerk scrive un nuovo potente capitolo della sua entusiasmante epopea house. 
 
Hagan – Waves (Gobstopper)
 
hwCresciuto nel Regno Unito, ma con chiarissime origini ghanesi, Brendan Hagan Opoku Ware trae spunto dalla sua identità biculturale per sviluppare un sound tanto debitore del ricco patrimonio della sua terra d'origine quanto degli sviluppi della dance e dalla club-culture britannica. Funky e garage made in UK si uniscono alla ricerca timbrica e poliritmica della musica del Ghana sviluppando combinazioni dalla natura difforme, tanto sofisticata (le stratificazioni produttive di “On Sight”, che depongono sul versante più evocativo della ricerca estetica del producer) quanto più diretta e lineare, in un esercizio club di grande valore (le strutture acide di “Ultra”, il cui pattern percussivo appena si spruzza di aromi caraibici). Ad apertura dell'Ep, “Waves” collega il presente di Hagan al suo passato più recente (trascorso in quel di Accra a registrare percussionisti tradizionali) in una traccia dalle fattezze più morbide, che approfondisce con la dovuta cura i retaggi ancestrali delle sue origini. Da tenere assolutamente d'occhio.
 
Jun Kamoda – Escape The Night (Jun)
 
jketnAbbiamo già imparato ad apprezzare Jun Kamoda, tra i più spigliati e agili fantasisti della house giapponese. Le sue colorate progressioni disco-funk, unite ad un utilizzo del loop che rimanda ai momenti migliori del french-touch, hanno condito alcune delle pagine più stuzzicanti della dance degli ultimi anni, e raccolto un affiatato manipolo di menti affini con cui tenere viva la fiamma dell'ispirazione. Il binomio presentato in “Escape The Night” è un altro eccitante assaggio che mette in rilievo tanto la maestria tecnica del producer (l'arte del campionamento, per uno che ha avuto un passato come musicista hip-hop, non ha chiaramente segreti) quanto l'assoluto divertimento emanato dalle sue composizioni. Con riferimenti vocali che pescano tanto dal nuovo fermento city-pop quanto dal funk, i due brani esaltano nuovamente l'amore per groove slanciati e calibrati al minimo dettaglio, in cui la vivacità degli elementi melodici risalta con assoluta facilità. Tra linee di basso assassine, battiti trascinanti e progressioni disarmanti, anche stavolta annoiarsi è impossibile.
 
Parris – Polychrome Swim (Trilogy Tapes)
 
ppsLa discografia di Dwayne Parris-Robinson ha già diversi bei momenti (qualche suggerimento? “2 Vultures” e “Puro Rosaceaes”, tra i diversi Ep del producer), ma “Polychrome Swim” è sicuramente un episodio di spicco per il londinese, che non smette di trovare nuovi percorsi per aggiornare e approfondire il suo intricato lessico dub. Facendo in modo che i suoi brani siano dotati del respiro necessario, le tre tracce posseggono una rilassatezza di fondo che il trattamento produttivo amplifica ed esalta, fornendo loro giusto le coordinate necessarie a mantenere la propria personalità specifica. Niente da dire, missione compiuta: dalle sospensioni in zona deep-reggaeton di “Yurei”, in cui aleggia la singolare visione dembow di DJ Python, al fluttuare sintetico in scia future-garage di “Harajuku Girls”, per finire sui canali ipnotici di “Aqua Surge”, che con le sue modulazioni breakcore richiama alla memoria la maestria del primo Peverelist, ogni momento dell'Ep è un piccolo saggio di versatilità e possibilità, che gioca con le basi del dub per costruire nuovi mondi. Ammaliante. 

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