Prince

Sign "☮" The Times

Prince
Sign O' The Times
(Paisley Park, 1987)

Prince - Sign O' The TimesIl muso di un'automobile, una chitarra sul pavimento, una batteria, fiori appassiti, insegne lampeggianti di locali notturni, un volto sfocato in un angolo, in primo piano: la confusione di queste immagini è un segno dei tempi. Prince e la sua musica sono un segno dei tempi.
Quel volto appartiene al simbolo sessuale più forte della musica nera da James Brown e Marvin Gaye in poi, a una star e, non dimentichiamolo, a un innovatore. Come tutti i protagonisti dei cambiamenti, come tutti coloro che interpretano il feeling dei tempi e finiscono per trovarsi un metro più avanti degli altri, Prince ha fatto sua fino in fondo una storia, una tradizione musicale, per poi costruire qualcosa di radicalmente nuovo e sorprendentemente inedito.
Come Charlie Parker, che imparò a memoria ogni respiro degli assoli di Lester Young, dimenticò volutamente la lezione e cominciò a soffiare il suo blues. Come i Beatles e il rock'n'roll, Bob Dylan e Woody Guthrie. Come i veri artisti è continuamente in movimento. È un viaggiatore che, dopo essersi spinto in ogni direzione, ha trovato il suo posto in un luogo imprecisato e lontano. Le sue antenne sono sempre pronte a recepire segnali, suggestioni e ispirazioni per rimodellarle e trasformarle con sensibilità.

E quanta fantasia! In "The Ballad of Dorothy Parker", uno dei momenti più strani e intensi di tutto l'album, immagina un'avventura con una cameriera in un bar (sarà uno scherzo o si tratta veramente della scrittrice?): i due accendono la radio, Joni Mitchell canta "Help Me", la canzone preferita da lei, squilla il telefono a spezzare la tensione e la magia di quell'incontro, la prossima volta lui agirà più in fretta. La prossima volta è appena girato il disco, "It": "Ci penso continuamente, baby. È tanto bello che deve essere un delitto. A letto, sulle scale, da qualsiasi parte va bene". Una drum-machine ossessiva e martellante, una chitarra convulsa, lo stesso dei blues di Muddy Waters, delle pagine più appassionate di James Baldwin, se ne percepisce quasi l'odore - quello che James Brown chiamava "funky smell".
Ed è un altro segno dei tempi, talmente presente in "Sign O' The Times" che il titolo potrebbe diventare "Beat Of The Times": da "Housequake" a "Hot Thing", da "U Got The Look" a ""It's Gonna Be A Beautiful Night" (un coro gioioso che unisce Prince & The Revolution e seimila "wonderful parisian").

Gli altri episodi, più intimi e rilassati, svelano, se mai ce ne fosse bisogno, il talento compositivo dell'"uomo" e l'ingenuità quasi infantile di un musicista che si diverte ancora a giocare con le note, ad accostarle una all'altra quasi per caso, come se i colori si incontrassero da soli sulla tela. Ancora una volta Prince si nasconde dietro un personaggio indefinibile (vi ricordate Christopher, l'autore di "Manic Monday"?); ora è la volta di Camille in "If I Was Your Girlfriend": "Se io fossi la tua ragazza, ti ricorderesti di dirmi tutte le cose che hai dimenticato di dirmi quando io ero il tuo uomo?".

Queste sedici canzoni sono affascinanti e misteriose. E la cosa più bella è tentare di scoprirne il segreto.

(Rockstar, 1987)