La foto scelta da Dennis Wilson per la copertina di “Pacific Ocean Blue” è un suo primo piano scattato da Karen Lamm, la donna che sposerà e dalla quale divorzierà ben due volte. Barba rude e folta, capelli lunghi, con sullo sfondo un cielo sereno, colorato con il pastello. Un look che gli dona molto di più rispetto a quell'aria da bravo ragazzo, che poco gli si addiceva, seduto dietro la batteria dei Beach Boys con quel sorriso di circostanza stampato sul viso.
Nel 1977, l’anno di pubblicazione di “Pacific Ocean Blue”, Dennis Wilson è un ragazzo che ha da poco superato i trent’anni. E’ il primo album in assoluto pubblicato da un membro dei Beach Boys fuori dalla band. Sembrerebbe un azzardo, per alcuni addirittura una follia.
Osservando l’evocativo scatto di copertina, non si fa fatica a scorgere lo sguardo intenso, l'espressione severa di un uomo che avrebbe tanto da raccontare, su se stesso e sugli altri, quasi a voler comunicare: “Non ci credeva nessuno, eppure guardate cosa sono stato in grado di fare, proprio io, tutto da solo”. E per quanto il nostro articolo sia naturalmente incentrato su una dimensione d’analisi prettamente musicale, va detto che le numerose e complesse vicende private di cui è stato protagonista Dennis Wilson hanno prodotto serie e significative ripercussioni sulla sua parabola artistica. Gli eccessi, l’abuso di alcol e droghe, le frequentazioni (i famigerati The Golden Penetrators) hanno penalizzato enormemente il suo apporto al gruppo, nonché le sue doti ancora in parte recondite. Nonostante abbia tramandato ai posteri alcuni meravigliosi manifesti artistici e composto splendidi brani sia con i Beach Boys che in solitaria, Wilson sarà infatti troppo spesso ricordato più per la vicinanza a vicende controverse e per uno stile di vita troppo fuori dalle righe. Per molti rimane principalmente “il musicista amico di Charles Manson”. Ma questo approfondimento ha come unico obiettivo quello di analizzare il cantautore di Inglewood come il magnifico creatore di “Pacific Ocean Blue”, uno dei dischi più iconici, non solo di quel periodo storico.
Facciamo un rapido ma doveroso excursus sulla storia di Dennis Wilson all’interno dei Beach Boys e su quella del periodo immediatamente precedente all’agognato esordio solista. A differenza dei suoi compagni di band, Dennis è l'unico a cimentarsi davvero con il surf. Il dettaglio potrebbe sembrare trascurabile, ma trattandosi di un membro dei Beach Boys, la cui prima parte di carriera è pressoché fondata su tematiche quali mare, ragazze, macchine e surf, la questione assume una rilevanza particolarmente significativa. Dennis fa di tutto perché il gruppo fondato dai fratelli Carl e Brian (che lo difenderà sempre, anche nei momenti più sofferti), dal cugino Mike Love e Al Jardine, affronti e si occupi di tali argomentazioni, quelle che in quel preciso momento storico erano un target particolarmente in voga e quindi un canale sul quale entrare in gioco con grande decisione tra i giovani. Durante gli anni '60, i Beach Boys scrivono alcune pagine entrate di diritto nella storia della musica pop, a colpi di hit al fulmicotone, ma anche di album leggendari, andati ben oltre la classica ricerca di singoli da classifica. In molte performance, Dennis, nella classica postazione riservata al batterista nelle retrovie, si muove concitatamente, si alza, attira l'attenzione, con il chiaro intento di colpire l’interesse del pubblico, più facilmente attratto dai colleghi schierati in prima linea.
Ogni tanto anche il microfono è suo. Nella raccolta di cover “Beach Boys' Party!” (1965), i brani sono “sporcati” dal chiacchiericcio e dalle urla dei presenti alla festa. Dennis, chissà per quale coincidenza, sceglie di interpretare un brano dei “rivali” Beatles, lo splendido “You've Got To Hide Your Love Away”. In seguito, e lo vedremo, il suo apporto all’interno della band californiana diverrà altalenante, e non solo per sua volontà. Peccato che nell’epico “Pet Sounds” l'unica canzone in cui Dennis scrive le parti di batteria sia “That's Not Me”. E’ lo storico batterista Hal Blaine (altro personaggio sul quale si potrebbero versare fiumi d’inchiostro: “Hal Blaine Strikes Again…”) a suonare al posto suo.
Appare poco anche su “Smiley Smile” e “Wild Honey”, entrambi del 1967. In “Friends” (1968) è coautore della traccia omonima, oltre che dei brani “Be Here In The Mornin’ ” e “When A Man Needs a Woman”. Sulla seconda facciata dell'Lp si alza la posta in palio: concepisce insieme a Steve Kalinich “Little Bird”, in cui canta insieme al fratello Brian e sempre con Kalinich compone e interpreta “Be Still”.
I 60's sono stati un trionfo per i Beach Boys e si chiudono più che dignitosamente con ”20/20” (1969). In quest’album la figura cardine di Brian Wilson è pressoché assente, non appare nemmeno nella foto di copertina, soltanto in un'immagine all'interno, con il volto semicoperto da una tavola optometrica. Dennis firma “Be With Me” e gli scatenati due minuti di “All I Want To Do”, con tanto di… gemiti di piacere conclusivi. Nel disco c'è anche “Never Learn Not To Love”, brano famigerato per eccellenza, visto il legame con Charles Manson.
La figura di Dennis Wilson come autore sta mostrando vistosi segni di crescita. "Forever", tratta dal successivo “Sunflower” (1970), è considerata da molti come una delle migliori composizioni dell’intero repertorio Beach Boys, osannata pubblicamente anche dal fratello Brian. Nell’album sono presenti altri tre episodi firmati da Dennis: “Slip On Through”, “Got To Know The Woman” e “It's About Time”. Nel 1970, Wilson pubblica quello che può essere considerato a tutti gli effetti il suo primo progetto da solista. Con il moniker Dennis Wilson & Rumbo, assieme al tastierista Daryl Dragon, realizza l’ottimo singolo “Sounds Of Free/ Lady”. Le canzoni sono contraddistinte da uno spiccato senso di sentimento, fortemente ispirato dalla relazione di Denny con la seconda moglie Barbara Charren, sua preziosa cassa di risonanza e musa ispiratrice di quel periodo. Quel singolo doveva fungere (ma così non è mai stato) da viatico per la produzione di un album, fortemente voluto e cercato dall’artista americano, soprattutto per fuggire dal rapporto pesantemente disfunzionale che si era consolidato all’interno dei Beach Boys.
Arriva il 1971 e l’ormai scatenato batterista si concede un altro esordio, quello nel mondo del cinema, in una pellicola a dir poco cult quale “Strada a doppia corsia”.
Intanto le dinamiche all’interno della band, come detto, iniziano a oscillare e anche per Dennis la situazione non sembra volgere al meglio. I dissidi interni aumentano e le canzoni che compone vengono sorprendentemente lasciate fuori da “Surf's Up” del 1971. Nel corso dello stesso anno arriva anche un grave infortunio alla mano, che lo costringe a stoppare l’attività come batterista. Prosegue quindi come frontman e tastierista aggiunto fino al 1974. Il dissennato stile di vita di questo periodo lo sta devastando, tra l’altro intaccandone irrimediabilmente il timbro vocale. Dennis sembra ormai una presenza sempre più lontana dalla sua band, dalla sua famiglia. Siamo agli albori di “Pacific Ocean Blue”.
Per quanto si stia ancora indagando sull’effettivo apporto di Dennis, sembra che il suo contributo alla genesi dell’evergreen “You're So Beautiful”, di Billy Preston (1974) sia stato molto più che un piccolo accenno, un brano che ha riscosso un enorme successo, diventando quasi un intercalare e i cui stralci vengono usati spesso nella quotidianità, magari anche in maniera involontaria, per una dedica o per un momento di dolcezza. Sì, proprio quel Billy Preston che accompagnò i Beatles nelle registrazioni di “Let It Be” e soprattutto nel leggendario “Rooftop Concert” del 30 gennaio 1969. La canzone ebbe subito un grande riscontro anche grazie alle innumerevoli cover da subito interpretate da molti artisti di rango, primo tra tutti Joe Cocker, che con la sua versione scalò le classifiche sia in America che nel Regno Unito. L’unica certezza è quella che tra il 1975 e il 1983 (anno della sua morte), Dennis ha talvolta eseguito questo brano dal vivo, con esiti spesso sconcertanti, come documentato, ad esempio, nel live dei Beach Boys “Good Timin’ – Live At Knebworth 1980”.
Ma eccoci finalmente arrivati a “Pacific Ocean Blue”.
Wilson registrò la maggior parte di "Pacific Ocean Blue" nei mesi che vanno dall'autunno del 1976 alla primavera successiva. Al momento della registrazione, le dure condizioni di vita che si stava autoinfliggendo avevano iniziato a influenzare non solo il suo aspetto ma anche la sua voce, che aveva assunto connotati ruvidi e granulosi, seppur ancora profondamente pieni di sentimento. Ricordando il periodo della lavorazione dell'album, il coproduttore Gregg Jakobson ha raccontato come questo siano stato l'unico in cui Dennis Wilson sia stato completamente accettato come artista. Il fratello Brian gli aveva mostrato negli anni precedenti gli accordi al pianoforte e lui era stato molto abile nell’approfondire e affinare il proprio studio per affiancarlo alle idee autorali che stavano sempre più germogliando in lui. Certo, avere a disposizione lo studio di registrazione dei Beach Boys è stato di grande supporto per la realizzazione e la definizione delle idee dell’artista statunitense. Con tutti questi ingredienti, Dennis è riuscito finalmente a decollare. Ed è piacevole e sorprendente vedere quante anime ispirate si celino tra le tracce.
Il pianoforte è lo strumento cardine sul quale si edifica l’intero lavoro, a partire dall'opener “River Song”, come tutti i momenti più emozionanti seminati lungo il percorso. A livello vocale Wilson è toccante, diretto, come poche volte lo si è sentito, soprattutto negli ultimi periodi. Traspaiono l’incontenibile vitalità (dagli esiti, invero, non sempre fortunati), la fragilità, la spiritualità e scorci di una semplice quiete che non è mai stato in grado di portare avanti con costanza. L'inizio celestiale/gospel di “River Song” è composto insieme al fratello Carl. Dennis si sposta dal mare al fiume per un nuovo battesimo. Intreccia il suo timbro possente insieme al coro che gli volteggia attorno, dichiarando apertamente quanto sia stanco della caotica e inquinata vita cittadina, esprimendo il desiderio di rinascere fuori da Los Angeles e per la precisione nelle High Sierras in Sierra Nevada, all'interno di un arrangiamento musicale in cui ogni strumento viene incasellato perfettamente, regalando pathos alle atmosfere pennellate dal cantautore californiano:
You can only see about a block or two
In L. A. that's the truth
I'm lookin' for some country life
Some kickin' room no more city life
I want the river
Si cambia diametralmente scenario nella successiva “What's Wrong. L’arrangiamento, supportato dai fiati, è impeccabile, ma il ritmo e l'atmosfera appaiono sbarazzine e festose, quasi una reminiscenza dell’aplomb tipico dei Beach Boys. Accompagnato dal suo tipico stile rock'n'roll, Dennis sembra presentarsi al cospetto di una ragazza, in una situazione che non appare del tutto idilliaca, con velati riferimenti autobiografici:
It ain't very funny
How you spend all my money
I'm gone, I'm gone
Do what you want to but baby don't you do it on me
L’enigmatica “Moonshine” parte con atteggiamento febbrile, ma l'ingresso di tutta la strumentazione vola a riempire gli spazi lasciati vuoti con atteggiamento solenne, laddove Wilson, in un’atmosfera notturna e solitaria, ripete i versi: “Gone”, “Gone Away”, arricchendo l’ampiezza di un pezzo scritto sulle ceneri di una relazione che sembra sbriciolarsi. “Friday Night” ha una intro strumentale molto cinematografica che cede, nella storia sciorinata dal secondogenito della famiglia Wilson, allo show dei White Punks. Qui fa ritorno in Dennis quella convivenza tra la figura di Gesù - con Manson rimesso fortemente in gioco - e il sacro fuoco della musica, senza tralasciare qualche ammiccamento:
I believe my Jesus is in my soul
Come on my brother, let's a-rock and roll
Con "Dreamer", uno dei momenti migliori in scaletta, il cambio di direzione è notevole. L’inizio in stile funk grazie al piano elettrico, onnipresente in quegli anni, un po' di armonica per creare atmosfera e l’aggiunta di alcuni fiati jazzati alla fine di ogni ritornello vanno a corredare una degli migliori stesure, anche a livello lirico. Anche l’utilizzo dei sintetizzatori appare centrato, facendo addirittura presagire alcune fragranze che diventeranno il clou delle sonorità degli ormai imminenti anni 80.
Le variazioni non mancano e diventano uno dei punti di forza dell'album. Nella ballata “Thoughts Of You”, l’aria del mare, il viavai di sentimenti sono sostenuti dalle dolenti note di pianoforte, perfette per sostenere i pensieri di un Dennis in preda allo struggimento, alle pene sanguinanti che solo l'amore può provocare, il tutto all'interno di una scena dipinta ai limiti della perfezione:
All things that live one day must die, you know
Even love and the things we hold close
Look at love, look at love, look at love
Look what we've done
Loneliness is a very special place
To forget is something that I've never done
Silently, silently you touch my face
L’intensità assume invece i connotati della vera e propria confessione in “Time”:
I'm the kind of guy
Who loves to mess around
Know a lot of women
But they don't feel my heart
With love, completely free
Ooh, I love you, I really do
Una sequenza di versi anticipata da una scena che manifesta perfettamente l'eterno oscillare tra opposti inconciliabili, in un arrangiamento tra fiati, archi e pianoforte sui quali s’innesta con grande intuito anche la chitarra elettrica.
Sui ritmi funky di “You And I”, invece, si fanno i conti con le mancanze:
I've never seen the light that people talk about
You open up my wallet and dust falls out
That's alright with me
Because the songs that I'll sing won't be blue
Brian Wilson definì "You And I" la miglior canzone mai composta dal fratello.
Semplice ma efficace: è adorabile il modo con il quale la sua voce sale nel ritornello. Screziata dai tocchi di chitarra e divertenti cori in sottofondo, la title track è una chiara e accorata dichiarazione d'amore che Dennis compie nei confronti del suo amato mare. Descrizione e lieve sottotraccia naturalistica composta da Mike Love. L'amico al quale Dennis dice addio in “Farewell My Friend” è Otto Hinsche. La canzone è stata scritta come tributo a questo personaggio, padre del musicista statunitense Billy Hinsche (anche tastierista dei Beach Boys) e suocero del fratello Carl, sposato proprio con la figlia Annie Hinsche. Dennis ha scritto questo radioso omaggio poiché Otto gli si era spento proprio tra le braccia. L’artista californiano ha sempre descritto questa canzone come una sorta di sereno addio, un saluto, o meglio, un arrivederci.
I mandolini posti agli esterni della scena musicale di “Rainbow” sono piuttosto efficaci nell’assecondare una splendida melodia corredata da cori e da un arrangiamento tra i più accurati dell’intera sezione. Un dolce pianoforte accompagna alla chiusura, affidata a "End Of The Show". Il testo di Dennis, a differenza della maggior parte dei brani presenti, non sembra voler comunicare qualcosa di specifico, mantenendo comunque molto alto il carico emotivo, strutturato sulla voce roca e sui saliscendi armonici che verso il termine sembrano svanire dolcemente sulle consonanze vocali così affini alle inimitabili trame dei suoi Beach Boys.
Dopo “Pacific Ocean Blue”, Dennis Wilson tornerà ancora con i Beach Boys e proverà a realizzare un altro album solista, ma le cose non andranno, purtroppo, come da programma. Nel 1978 infatti, il musicista americano aveva iniziato i lavori che avrebbero portato alla realizzazione del sophomore intitolato “Bambu”, disco che ovviamente non è mai stato ultimato, non solo per vicissitudini personali del suo autore, ma anche per problemi burocratici e finanziari. Solo nel 2008, i brani sono stati distribuiti per la prima volta come aggiunta alla prima stampa in cd di “Pacific Ocean Blue”.
Accolto dalla critica in modo abbastanza positivo, pur non scalando come previsto le classifiche di vendita, “Pacific Ocean Blue” ha comunque avuto il pregio di crescere col passare del tempo, diventando un classico e finendo spesso inserito nelle classifiche dei migliori album del settore. Nella versione deluxe pubblicata da Caribou Records e Sony Music nel 2008, presa come stretto riferimento per la quest’analisi/ascolto sono presenti quattro bonus track: “Tug Of Love”, l’ennesima perla pianistica “Only With You”, la strumentale “Mexico”, dotata di una melodia cristallina capace di entrare subito nella testa dell’ascoltatore, e “Holy Man”. Tragico e amaramente ironico constatare come in una recente rielaborazione di quest’ultimo brano, ideato nel 1974 e ripreso in mano nel 1976 da Wilson ma escluso dalla scaletta ufficiale di “Pacific Ocean Blue” perché incompleto, ci sia lo zampino di un altro batterista che ci ha lasciati troppo presto, Taylor Hawkins, il drummer dei Foo Fighters, che insieme ai suoi compagni di band e a membri dei Queen, ha portato a termine il lavoro lasciato incompiuto. Il batterista dei Beach Boys infatti era morto annegato in mare il 28 dicembre 1983 a Marina del Rey.
“Pacific Ocean Blue” resta dunque uno dei dischi più genuini, ispirati, dolorosi e folli, ma soprattutto più importanti e riusciti di quel periodo. Il rovescio della medaglia è costituito dall'amarezza che lo ha sempre accompagnato, fin dall’epoca della sua uscita. Ostacolato dalla maggior parte dei compagni/fratelli Beach Boys, “Pacific Ocean Blue” poteva e doveva essere il trampolino di lancio per Dennis Wilson e nessuno potrà toglierci il pensiero che un maggior seguito di quello ottenuto all'epoca avrebbe potuto aiutare Wilson a ottenere più sicurezze e a vincere quelle numerose fragilità che ne hanno sempre minato l'esistenza.
DENNIS WILSON | |
Pacific Ocean Blue (Caribou, 1977) | |
BEACH BOYS | |
Surfin' Safari(Capitol, 1962) | |
Surfin' USA(Capitol, 1963) | |
Surfer Girl(Capitol, 1963) | |
Little Deuce Coupe(Capitol, 1963) | |
Shut Down Volume 2(Capitol, 1964) | |
All Summer Long(Capitol, 1964) | |
The Beach Boys Christmas Album(Capitol, 1964) | |
Beach Boys Concert(live, Capitol, 1964) | |
The Beach Boys Today!(Capitol, 1965) | |
Summer Days (And Summer Nights!)(Capitol, 1965) | |
Beach Boys' Party!(Capitol, 1965) | |
Pet Sounds(Capitol, 1966) | |
Smiley Smile(Capitol, 1967) | |
Wild Honey(Capitol, 1967) | |
Friends(Capitol, 1968) | |
20/20(Capitol, 1969) | |
Sunflower(Reprise, 1970) | |
Live In London(Capitol, 1970) | |
Surf's Up(Reprise, 1971) | |
So Tough (Carl & the Passions)(Reprise, 1972) | |
Holland(Reprise, 1973) | |
In Concert(live, Warner Bros, 1973) | |
15 Big Ones(Reprise, 1976) | |
The Beach Boys Love You(Reprise, 1977) | |
M.I.U. Album(Reprise, 1978) | |
L.A. (Light Album)(Caribou, 1979) | |
Keepin' The Summer Alive(Caribou, 1980) | |
Rarities(Capitol, 1983) | |
The Beach Boys(Caribou, 1985) | |
Still Cruisin'(Capitol, 1989) | |
Summer In Paradise(Brother/EMI, 1992) | |
Good Vibrations - 30 Years Of The Beach Boys(cofanetto, Capitol, 1993) | |
Stars And Stripes(River North, 1996) | |
Endless Harmony(soundtrack, Capitol, 1998) | |
Hawthorne CA(doppio cd, antologia, Capitol, 2001) | |
The Smile Sessions(cofanetto, Capitol, 2011) | |
That's Why God Made The Radio(Capitol, 2012) |