Cranberries

Cranberries

Zombie e ballate dal cuore d'Irlanda

Capaci di toccare le corde più emotive del rock celtico, con un inno dei 90 come "Zombie", i Cranberries di Dolores O'Riordan hanno successivamente ripiegato su un pop agrodolce, con risultati alterni. Poi, nel 2017, l'epilogo più tragico e inaspettato

di Claudio Fabretti

I Cranberries sono la formazione irlandese che per un certo periodo, all'inizio degli anni Novanta, ha saputo raccogliere al meglio l'eredità del rock "celtico" e popolare degli U2, grazie a un pugno di vibranti invettive e di eteree ninnananne, intrise di quel fascino "magico" che ha fatto la fortuna dell'Isola Verde (e di molte sue band). Il seguito della loro carriera, però, è stato contraddistinto da un rapido e inesorabile declino artistico, seppur sempre accompagnato da buoni riscontri sul piano commerciale.

Esplosi nel 1992 con un originale folk-rock esaltato dai virtuosismi vocali della cantante Dolores O'Riordan, sfondano prima ancora negli Stati Uniti che in patria, con l'album d'esordio Everybody Is Doing It Why Can't We?, un milione e mezzo di copie vendute, grazie a un sound fresco e intrigante, ma anche all'appoggio televisivo di Mtv, che intravede nella bionda leader un volto telegenico e affascinante.
Musicalmente, l'album propone un ibrido tra il folk celtico, le melodie pop e i ritmi frenetici del rock. O'Riordan fa il resto, con una voce estremamente duttile, capace di passare da tenere ninnananne a tesi psicodrammi. Brani come "Sunday" o "Waltzing Back" mettono in luce anche una particolare cura negli arrangiamenti, nel riuscire a tenere insieme suoni sbarazzini di marca pop e atmosfere orchestrali quasi classicheggianti. Ballate doc come "Linger", "Pretty" o "Dreams" sono interpretate da O'Riordan con spleen depresso e fatalista, e rivelano un peculiare talento melodico. Il resto del gruppo resta sempre sullo sfondo, assecondando il canto della sua musa soprattutto con lievi arpeggi di chitarra e frasi di violino.

Ma non è niente in confronto ai fasti di No Need To Argue, il disco successivo, che raggiunge la vetta di tredici milioni di copie vendute e frutta ai Cranberries una popolarità universale. Merito soprattutto di "Zombie", veemente denuncia contro la violenza sui bambini in Irlanda del Nord e capolavoro assoluto della O'Riordan, i cui vocalizzi acrobatici si inerpicano su un muro di chitarre dissonanti. Ma l'album propone anche una manciata di ballate tenere e intense, come l'intimista "Ode To My Family", impreziosita da una struggente sezione d'archi, la dolcissima "Dreaming My Dreams", appena sussurrata dalla O'Riordan sui lievi ricami del violino, e la toccante "Yeats' Grave", dedicata al grande poeta irlandese.
Le radici "celtiche" del gruppo vengono invece esaltate nella lunga "Daffodil Lament", che segna forse il momento più epico del disco. Il rock dei Cranberries affonda le radici nella mitologia d'Irlanda, nel folk e nel melodramma pop alla Sinéad O'Connor(al cui stile vocale si ispira la O'Riordan), ma non disdegna incursioni in atmosfere sinfoniche di stampo classico. Una formula certamente originale, ma che la band non saprà più capace di riproporre agli stessi livelli negli album successivi.

Un exploit, quello di No Need To Argue, che frutta grande prestigio in particolare alla O'Riordan, chiamata a cantare insieme a Luciano Pavarotti ('95), e a partecipare con la band al "remake" di Woodstock ('94) e al concerto in onore dei Premi Nobel a Oslo, Norvegia. Alla crescente fama del gruppo, però, si abbinerà un precipitoso crollo della vena compositiva.

To The Faithful Departed (1996) è un apocalittico pastiche dedicato ai grandi drammi contemporanei, dalla Bosnia alle tragedie dell'infanzia, alle piccole guerre disseminate per il mondo. Non supportato da un'adeguata ispirazione sul piano dei testi, il disco scivola talvolta sul fronte delle musiche, incespicando su un pop banale e retrivo ("Free To Decide", "Forever Yellow Skies") o lanciandosi in invettive rock un po' monocordi ("Salvation", "I Just Shot John Lennon").
Fanno eccezione, però, un tris di numeri d'alta classe: il vibrante singolo "Hollywood", in cui O'Riordan tenta di riproporre il vocalismo audace di "Zombie", la soffice "Will You Remember", con una delicata melodia appoggiata su un ritmo altalenato e contrappunti di sintetizzatore, e l'immancabile ninnananna incantata, "When You're Gone", che stavolta però pesca in atmosfere languide dal sapore anni Cinquanta.
I tentativi di rimpolpare il suono con arrangiamenti orchestrali e armonie chitarristiche riescono solo in parte a mascherare qualche passo falso nella scrittura. Nel complesso, comunque, la band irlandese resta ancora a galla, nelle chart e nella considerazione generale.

Ma il rischio in agguato, per i Cranberries, è quello di ripetere la parabola maledetta di innumerevoli rock band di successo: fama, stress, crisi di nervi auto-distruttiva. Così per alcuni mesi scompaiono dalle scene musicali per restare solo sui tabloid. Motivo: la misteriosa malattia della vocalist, che aveva costretto il gruppo a interrompere una tournée. Esaurimento nervoso, anoressia o solo un trauma a un ginocchio? Poi, il mistero si è dissolto tra le note di un nuovo album. "Il titolo 'Bury The Hatchet' ("sotterra l'ascia", ndr) - è il nostro modo per dire che ci siamo lasciati tutto alle spalle - dice il chitarrista Noel Hogan -. Ci sono state cose che ci hanno fatto male. Ma adesso è ora di seppellire il passato e andare avanti con quello che facciamo meglio".

Nei tredici brani di Bury The Hatchet i Cranberries rinnovano l'alternanza tra melodia e ritmo, emozioni ed energia, a cominciare dal fortunato singolo "Promises".
Il disco, però, è complessivamente mediocre: troppe le canzoni insipide e commerciali, troppi i passaggi a vuoto. Nel frattempo, la bionda ed esile vocalist sembra aver superato la fase psicologica più difficile: si è sposata con l'ex-manager dei Duran Duran, il canadese Don Burton, ed è diventata madre di due bambine. "C'era troppo lavoro, troppa frenesia: eravamo arrivati tutti al limite - racconta - Ora ho ritrovato l'entusiasmo. Non credo di essere un'altra persona, mi sento solo felice e questo non mi fa più preoccupare di ciò che la gente pensa di me".

Un clima di serenità ritrovata che pervade anche il successivo Wake Up And Smell The Coffee, esordio con la loro nuova etichetta, la Mca Records. Per l'occasione, Dolores O'Riordan e soci hanno voluto di nuovo accanto a sé Stephen Street (The Smiths, Morrissey, Blur), il produttore dei primi loro due album. Ma le atmosfere magiche degli esordi sembrano solo un lontano ricordo. L'impressione, infatti, è che il "fuoco sacro" dei Cranberries si sia affievolito in una serie di nenie elettriche tanto orecchiabili quanto banali. Al posto del folk-rock degli esordi, è rimasto un vuoto involucro pop, capace ancora di qualche tenera ballata (la romantica "The Concept", il lento in tre quarti di "Carry On") e ninnananne accattivanti, come la conclusiva "Chocolate Brown". Ma troppi ritornelli sono scontati e lontani parenti di quelli che hanno reso celebre la band di Limerick. E, fatta eccezione per l'invettiva ecologista di "Time is Ticking Out", si è spenta anche quella furia politica che aveva segnato un vero inno generazionale qual è stato "Zombie". Un caffè iper-zuccherato, insomma, quello dei nuovi Cranberries, che frutta altri milioni di copie da vendere, ma delude i fan della prim'ora.

Il quartetto di Limerick fa il punto della situazione e dà alle stampe la prima antologia ufficiale, Stars, che contiene tutti i singoli internazionali, un'album track selezionata dai fan tramite un sondaggio sul sito ufficiale e un paio di inediti, "New New York" e "Stars". Purtroppo per questa raccolta sono stati fatti alcuni nuovi edit al fine di far stare venti tracce in un solo compact disc. Andrà meglio con la seconda, doppia antologia Gold, che appartiene a una serie della Universal Music che per qualche anno si è rivelata una buona risposta all'ancor più fortunata linea "Essential" della Sony. "Gold" contiene tutti i brani di "Stars" in versione originale (compresi i due inediti) e molti altri, persino qualche b-side, e resta oggi il compendio ideale per chi non vuole un semplice "greatest hits"ma non è interessato neppure all'intera discografia della band irlandese.

Abbandonati al loro destino i Cranberries, Dolores O'Riordan tenta l'inevitabile carta solista con Are You Listening (2007). Il problema è che, a differenza di quanto ci si poteva aspettare, non ci sono produttori di chiara fama o maghi da studio ad affiancarla, e il risultato è facilmente prevedibile: un flop. Non bastano i rintocchi di piano e le schitarrate di "In The Garden" e "Black Widow" a riscattare una minestra insipida che fa solo rimpiangere i Cranberries ("Ordinary Day" e "Accept Things" sono le pallide imitazioni di quello stile). "Stay With Me" regala qualche scossa, ma si fa presto a dimenticarla. Un buon singolo come "The Journey" fa da preludio all'uscita del secondo disco solista, No Baggage, pubblicato da Cooking Vinyl nel 2009 e che contiene anche "Switch Off The Moment". Negli anni della lunga pausa della band, Dolores si concede anche alcune collaborazioni con altri artisti, come i Jam And Spoon (sarà ospite infatti nel brano "Mirror Lover", dall'album "Tripomatic Fairytales 3003" del duo dance che contiene anche brani registrati con Midge Ure, Tricky e Jim Kerr dei Simple Minds) e Zucchero, con cui canta una nuova versione di "Puro amore" in "Zu & Co.".

Quando ormai sembrava che Dolores O'Riordan, una delle voci/performer più promettenti degli anni 90, si fosse persa in un vicolo cieco, nel 2009 arriva uno scambio di e-mail tra lei e il chitarrista dei Cranberries. Di lì a breve sarebbe nato un tour, che a sorpresa fu un buon successo (molti i giovani tra il pubblico), e un disco nuovo di zecca prodotto, ancora una volta, da Stephen Street. Anticipato dal frizzante singolo "Tomorrow", sempre in bilico tra i Sundays e gli Smiths, Roses arriva nei negozi nel primo trimestre del 2012 in varie edizioni - alcune contengono due bonus tracks in studio, mentre quella italiana (distribuita da Edel) allega un secondo Cd con una carrellata di successi registrati dal vivo nel 2010 a Madrid. Nel corso di una trasmissione, "Taratata", eseguono dal vivo anche una cover di un brano dei Cure, "Inbetween Days", tratto dall'album "The Head On The Door".

Dopo la sbornia delle indie-disco e del ritorno della new wave anni 80, i Cranberries sono tornati a fare quello che hanno sempre saputo fare meglio: scrivere ballate malinconiche ma genuine alternate a episodi più energici, stavolta senza colpi di scena "costi quel che costi" (la voce di Dolores è più disciplinata e tenue rispetto al passato). Più di un passaggio funziona molto bene: "Tomorrow", nonostante le rime alquanto scontate ("Tomorrow will be too late/ I wish I could change the date"), si conferma un frizzante e riuscito ritorno nelle radio internazionali con un arrangiamento che ricorda tanto "Just My Imagination" quanto alcuni classici dell'accoppiata Morrissey/Johnny Marr; "Raining In My Heart" riporta alla mente le prime canzoni di David Gray, anche se il tappeto sonoro è impreziosito dall'intervento di una fisarmonica che conferisce al tutto un inaspettato french touch. L'energica "Schizophrenic Playboys" mette in guardia le ragazze affinché non cedano alle facili lusinghe dell'altro sesso, il tutto in una base alla "Bigmouth Strikes Again" e un arrangiamento denso con tanto di quintetto d'archi. "Show Me" è il brano che ha anticipato alla fine del 2011 la promozione del disco, e "Astral Projections" è un altro dei momenti più riusciti di Roses. C'è posto persino per richiami alla scena di Bristol degli anni 90 (esclusi i campionamenti e gli scratch, si intende) mescolati al Morrissey solista di "Life Is a Pigsty" in "Waiting In Walthamstow".
C'è molto mestiere, indubbiamente, ma la band insieme a Street impara dagli errori del passato e confeziona un disco asciutto, senza le lungaggini che hanno appesantito le loro prove meno brillanti e senza gli esperimenti maldestri che hanno macchiato le prove soliste di Dolores O'Riordan (che rincorreva i Lacuna Coil in "In The Garden").

Nel corso dell'ultimo tour la stessa band si è stupita di quanti giovani (che hanno ascoltato "Zombie" e "Linger" da piccoli, magari grazie ai dischi acquistati dai genitori, dai fratelli o dalle sorelle più grandi) ci fossero tra il pubblico, segno che l'appeal della loro proposta è ancora intatto nonostante l'apatia emersa dalle prove più recenti.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, nel più tragico blue monday del rock irlandese, arriva la notizia più devastante: il 15 gennaio 2018 Dolores O'Riordan è morta "improvvisamente", mentre si trovava a Londra con la band per registrare una session. La famiglia chiede la massima riservatezza, le cause non vengono rivelate. Si parla di una lunga malattia, ma niente lasciava presagire questo epilogo. I fan si riversano in Rete e si scopre così, oltre vent'anni dopo, che i Cranberries sono stati, a loro modo, una band generazionale.

Ma prima della fine della storia dei Cranberries, c'è spazio per un ultimo capitolo. Mike Hogan, Noel Hogan e Feargal Lawler ricevono le demo delle parti vocali registrate da Dolores O'Riordan per In The End il 15 gennaio 2018. Soltanto poche ore dopo, insieme al resto del mondo, avrebbero ricevuto la notizia che Dolores era stata trovata annegata in una stanza del London Hilton. Qualche mese dopo, i tre fecero sapere alla stampa che avevano ultimato il disco e, che una volta uscito, i Cranberries non sarebbero più esistiti. Eppure, l'ottavo disco della band irlandese è il loro migliore da una ventina d'anni a questa parte.
Certo, tutti i retroscena da ultima volta aiutano la cosiddetta lacrimina a fare capolino, come quando nella voluttuosa "Lost" la voce fatata della O'Riordan si concede i proverbiali svolazzi volteggiando sempre più in alto. O quando il giro di basso della più forzuta "Wake Me When It's Over" ammicca a quello di "Zombie". Nulla che la band non abbia già percorso, insomma, ma proposto sempre con gran efficacia.
"Catch Me If You Can" fornisce invece vesti inedite al suono dei Cranberries. Prima un pianoforte dal guizzante incedere neoclassico, poi un rinforzo di archi drammatici a trainare le strofe, facendone un brano molto elegante e, senza però rinunciare a un pelo di accessibilità, sofisticato.
In un album in cui la maggior parte dei titoli sembrano sinistre profezie di quello che sarebbe accaduto, lo strumming acustico molto solare di "Summer Song" rappresenta un bel break. I toni tornano invece soavemente drammatici nel commiato affidato alla title track, che chiude disco e avventura con un dolce abbraccio di archi melanconici e cantato celtico.

Sono tanti gli argomenti utilizzati tra i critici più spocchiosi per sminuire i Cranberries, alcuni dei quali anche condivisibili. Potremmo senz'altro concordare con chi li definisce una band incapace di reggere un intero disco, ma sarebbe improbo negare la bellezza di così tante splendide pop song declinate in una miscela unica e malinconica di dream-pop, alternative rock 90's e spolverate celtiche. Un blend unico e dolciastro, come quello dei migliori whiskey irlandesi. Non fa eccezione In The End, che ha i suoi momenti meno incisivi (comunque canticchiabili), ma chiude degnamente e commossamente un'epopea indimenticabile.

Contributi di Alessandro Liccardo ("Roses"), Michele Corrado ("In The End")

Cranberries

Discografia

THE CRANBERRIES

Everybody Else Is Doing It Why Can't We? (Island, 1993)

7,5

No Need To Argue (Island, 1994)

8

To The Faithful Departed (Island, 1996)

6

Bury The Hatchet (Island, 1999)

5

Wake Up And Smell The Coffee (MCA, 2001)

4

Stars: The Best Of 1992 - 2002 (antologia, Island, 2002)

6,5

Gold (doppio CD, antologia, Island, 2008)

7,5

Bualadh Bos - The Cranberries Live (Island, 2009)

5

Roses (Cooking Vinyl, 2012)

6,5

In The End (Bmg, 2019)

7


DOLORES O'RIORDAN

Are You Listening? (Sanctuary, 2007)

5

No Baggage (Cooking Vinyl, 2009)

5

Pietra miliare
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