Nati nel 2003 dall'incontro di Giacomo Faedi (basso), Filippo
Leopardi (chitarra e voce) e Giulio Casoni (batteria), i Pater Nembrot
s'inseriscono immediatamente nella folta schiera degli imitatori delle gesta
stoner-rock di Kyuss, Fu Manchu, e
compagnia bella, tornando fino alla fonte Black Sabbath e pellegrinando a caso tra
Soundgarden, Nirvana, Pink Floyd e Can (!). Insomma: il bagaglio delle
influenze è di quelli che fanno venire l'acquolina in bocca. Eppure, come
sovente accade dalle nostre parti, chi troppo s'adagia nel solco tracciato da
qualcun altro finisce con il pagarlo caro.
"Hombre Scarlatte" è disco
privo di personalità. Diciamolo senza troppi peli sulla lingua. Piacerà agli
aficionados terminali del genere, innamorati di certe sonorità torride e di
certe evoluzioni talmente "standardizzate" da far venire l'orticaria. C'è poco
da fare: un conto è suonare per il proprio orticello; un conto cercare di
guardare oltre. L'intro avvolgente-lisergica-cosmica di "E Ven Miseria" spiana
il terreno a "Criptotermiti", brano complessivamente intrigante. Con quel suo
febbrile comprimere i Chrome del
secondo periodo, con tanto di tastierucoline from outer-space, si lascia
ascoltare con vivo piacere, nonostante un cantato (in italiano) ancora da
smussare. L'esuberanza è giovane, si sa. La voglia di libertà e gli sfumacchi
cannabisici ("Elettrica Noia"), tutto normale, tutto giusto. Eppure? Colpo di
grazia: la love-ballad dozzinale, con finale à-la Motorhead di "Ti Sento Come Fossi
Un Brivido". Roba che c'entra poco con il resto dell'impalcatura.
Si
prova anche a strumentalizzare strampalati rituali ("Fastidi Danzanti"),
lavorando con ragnatele elettriche e percussioni essiccate. L'autobahn-stoner di
"Bonsai" si accende con vigore; rutila vertiginosa; scarica adrenalina e si
sofferma a lambire le stelle, con un vago anelito di deja-vu maledettamente
fisso nello specchietto retrovisore… E la psichedelia? Ah, certo! Quella non
manca mai. Psichedelia dal retrogusto "hard", come in "Magnuga", cavalcante e
disinibita, qualche buon dialogo strumentale, qualche discreto avamposto corale.
E, per finire, la complessità ragionata (dannatamente ragionata…) di "Se Un
Giorno E' Grigio Il Mondo": appeal lirico che è tutto dei Nirvana che furono
(nevrosi e chiamata alle armi), scrosci noise chitarra/basso e solennità
batteristica che incornicia grandi imprese.
La variazione "progressiva"
nel bel mezzo del cammino conduce in porto un'architettura sonora che lascia
trapelare sprazzi di buon talento e che, quindi, fa ben sperare per il futuro.
Per il momento, comunque, se capitano dalle vostre parti, non disdegnate di
farvi una birra mentre vi incendiano le orecchie...