Yoriyos

Bury My Heart At Wounded Knee

2007 (Rarechord)
songwriter, country-rock

Strana evoluzione per il mestiere del giornalista musicale... Qualche tempo fa, ogni disco era un evento: dibattiti, opinioni si sprigionavano contemporaneamente in ogni parte del mondo realizzando in anticipo un fenomeno che ora definiamo "multimedialità". Oggi, siamo osservatori di un fenomeno (la musica) che ha perso la sua centralità, seguiamo un percorso sperando di incrociare il disco della nostra vita. Non sembri inutile l'introduzione: il progetto Yoriyos giustifica questa riflessione. Sono mesi che incrocia il mio ascolto senza mai lasciarmi un senso di incompiuto, credevo che il suo essere piacevole lo rendesse gradevole ma privo di sostanza, ho scavato nei solchi (oops) di questo disco ricavando sempre maggiori suggestioni e conferme... Anni fa un disco come questo avrebbe avuto il giusto rilievo, oggi rischia di sprofondare ingiustamente nell’anonimato.

Cantautore molto ispirato dai grandi del passato, realizza con "Bury My Heart At Wounded Knee" uno dei prodotti più raffinati del cantautorato attuale. Silvershadow è il nome scelto da Yoriyos per il suo studio di registrazione nato quattro anni fa, mentre Rarechord è il nome della sua etichetta, ma anche Yoriyos è una sua creazione per celare un‘identità che, se svelata, avrebbe forse dato maggiore risonanza al suo progetto. Ma per un musicista sensibile alla cultura degli indiani e alla loro distruzione culturale per mano dell’invasore americano tenere un profilo basso è propedeutico, sia culturalmente che musicalmente.

L’iniziale "Endoscopises" è una ballad epica sul senso della vita, sorretta da un ritmo incalzante e una splendida fisarmonica (dai tempi di The The nessuno l’aveva utilizzata così), il finale affidato alle tastiere introduce il successivo "Nomads Dream", che definisce subito il richiamo di Yoriyos a tutto il cantautorato americano anni 60, anche se il flavour malinconico è spesso tipicamente english: brano corposo, che sembra uscire da un disco di Tom Petty, è arricchito dalla bravura non solo dell’autore ma anche di Chaz Kkoshi, a cui è affidato l’inserimento di molteplici strumenti atipici come marimba, vibrafono, arpa, fiati.

Se durante l’ascolto vi verranno in mente alcuni nomi classici del passato (Donovan, Neil Young, Cat Stevens), non meravigliatevi, ma alla fine del disco, Yoriyos è l’unico nome che vi resterà in testa. Il suo è un talento superiore alla media, come dimostrano le undici tracce del disco. E non conta più essere il figlio di Yusuf, o meglio Cat Stevens (se poi il padre suona le tastiere in tutto il disco, poi, ben venga...).
Dopo i due splendidi brani iniziali, l’atmosfera si rilassa con due ballad più intimiste: "Kingdoms Fall" è caratterizzata da armonica e percussioni, "Hurricane John" si insinua nella mente con il suo tono Nashville, il contrappunto della voce di papà Yusuf e lo splendido malinconico arrangiamento.
Chiude la prima parte "Run Dry", che fa dell’apparente linearità la sua forza, un brano sembra uscire dai migliori sogni di Elliott Smith.

Si apre il secondo lato con "Querido Che", ispirata a un giovane Che Guevara: l’arpa descrive strani contorni alla poetica ballad resa più cupa da uno straziato basso, suonato dal solito Chaz; logica sequenza per "Another Revolution", una incisiva protest-song costruita su continui cambi di umori e ritmi, chitarre alla Woody Guthrie, melodie e ritmi epici alla Clash, fiati, trombe degne di un assalto a Fort Knox, con un crescendo che resta epico senza essere didascalico.

Nessun cedimento stilistico nel resto del disco, "I Fall Else Fails" si tinge di grazia mentre la filastrocca di "The Pied Piper" dimostra tutta la cultura folk di Muhammad Islam (vero nome di Yoriyos), con David Heathe al flauto. La riscrittura della "paterna" "In The End" dimostra tutto il suo talento: la canzone si trasforma in una ballata malata e maledetta, quasi un incrocio tra gli chansonnier francesi e il primo Momus, e il titolo diventa "The End".

Affidando la conclusione a "Wounded Knee", Yoriyos rimette la sua attenzione per la cultura indiana al centro della sua musica, il terribile massacro del 1890, ormai simbolo della violenza sui nativi americani, è stato forse lo spunto creativo per quest’album, che riporta in auge il termine country-rock senza sgomento. Se il rifiuto di utilizzare la credibilità del padre (molti recensori inglesi sono caduti nel tranello) oscurasse comunque la visibilità di questo disco, sarebbe un grave torto, e se il supporto di Peter Gabriel e Chris Blackwell non dovesse chiarire le qualità di Yoriyos, aggiungo il mio invito a visitare il suo splendido sito.

Certo, i songwriter oggi sono legati molto al low-fi, mentre "Bury My Heart At Wounded Knee" mostra una eccessiva cura dei particolari, con una maturità che rende eccellenti almeno tre episodi su tutti - "Hurricane John", "Nomads Dreams", "Run Dry". Un disco che merita attenzione e che potrete collocare in ordine alfabetico nella vostra collezione, senza vergogna, tra Yo La Tengo e Young Marble Giants.

07/10/2007

Tracklist

1. Endoscopies
2. Nomads Dream
3. Kingdoms Fall
4. Hurricane John
5. Run Dry
6. Querido Che
7. Another Revolution
8. If All Else Fails
9. The Pied Piper
10. The End
11. Wounded Knee

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