The Atomica Project

Greyscale

2008 (Positron! Records)
down-tempo, trip-hop

Brutta storia quella del trip-hop. Nell’anno in cui chi l’aveva fatto nascere è tornato a farsi vivo (Portishead, Tricky), sorge spontaneo dare risalto a chi quel genere ancora lo apprezza e tenta in tutti i modi di forgiarne amabili sembianze alternative. Negli anni (circa 15, preso come milestone-year l’anno di pubblicazione di "Dummy") un nugolo di temibili e assatanati compositori s’è cimentato in elucubrazioni più o meno riuscite sul tema, creando un ambiente di veri appassionati, capaci di cesellare autentici piccoli capolavori. A scapito di questi ultimi, a beneficiarne in termini di visibilità, sospinti da una stampa sovente molto generalista, sono stati sempre e solo i tre dell’Ave Maria: Portishead-Tricky-Massive Attack. Niente di male in questo: obiezioni di ogni tipo sarebbero ingiustificate, vista la caratura degli artisti presi in esame. Rimane però spietato il modo con cui certi epigoni sono stati relegati in un oblio senza speranza.

Non essendo questa la sede per sviscerare anni e anni di esperienze gratificanti, cerchiamo di cogliere un piccolo sassolino da un oceano di ciottoli lucenti. Americani e pieni di belle speranze, gli Atomica, ora conosciuti come The Atomica Project, hanno iniziato da poco il loro percorso artistico. Di base a New York, danno sfogo alla loro irrefrenabile passione per i ritmi down-tempo con il loro esordio intitolato “Metropolitan”, licenziato nel 2005 dalla stessa Positron! Records di “Greyscale”. Splendido compendio umorale e colmo di soluzioni sorprendenti (tanto per citare la più bella: “Delorian”), il disco metteva in risalto già allora potenzialità di grande levatura: beat elettronici sempre centrati e ottenebranti, voce femminile proveniente dalle stelle (Lauren Cheatman), arrangiamenti orchestrali di pregio assoluto. Un crescendo di canzoni che tinteggiano una parvenza d’ignoto, costruite su ritmi che si sfaldano e si rigenerano nel volgere di un attimo, capaci di raffigurare la tremula luce della passione.

Ora, a tre anni dall'opera prima, il gruppo torna sulle scene dando alle stampe “Greyscale”. Tratteggiando notturni scenari metropolitani, i cui contorni paiono tanto indefiniti e aerei quanto quadrati, le dodici tracce dell’opera assumono forma e sostanza piuttosto differenti da quelle dell’esordio. Volgendo l’attenzione verso suoni decisamente meno solari ed elidendo parzialmente i campionamenti orchestrali, “Greyscale” esplora territori nuovi, musicalmente più cupi, ma rasserenati dalla sinuosa voce di Lauren. “When I Was Just A Young Girl”, traccia d’apertura che funge da vero e proprio trait d’union con “Metropolitan”, ondeggia tra violini che paiono lamine affilate e tipico gusto trip-hop.
Ciò che colpisce maggiormente nelle sinfonie del trio è la capacità di creare atmosfere ovattate e cinematiche, dilaganti a macchia d’olio, fino a coprire ogni angolo del suono. Manifesto programmatico delle qualità del complesso è certamente “Forecast”, brano che procede ripiegandosi continuamente su se stesso, una continua risacca di un mare nero petrolio. I bozzetti che si insinuano sotto la cute sono limpidi nella loro essenza, sporcati solo da una sottilissima coltre nebbiosa, che trasmette all’ascoltatore un lieve senso di disagio e inquietudine. Esemplare la stupenda “Gravity”, il cui beat tenace si alterna a momenti di stasi emotiva che non risultano affatto tediosi né semplici riempitivi, ma fungono da attimi di riflessione. A conferma di come la band sappia anche regalare frangenti di apertura orchestrali, palpiti che paiono ridestare l’ascolto da uno stato di asfissia, si staglia “Afraid”, vero e proprio ossigeno rigenerante.

Il lato più austero del trio inizia invece a emergere nella seconda parte dell'album: se “I Woke Up In This World” procede in maniera fredda e ossessiva, ricordando i Portishead meno malinconici, il canto analogico, leggermente spogliato della sua purezza, di “All The Lonliness In The World” rappresenta uno degli episodi interlocutori e leggermente azzardati, accanto al piatto incedere senza sussulti di “Evaporate”.
Vista la vicinanza dei due passaggi a vuoto, parrebbe di attraversare una fase calante del disco, invece tra essi si staglia “Into The Arms Of Strangers”, brano adagiato su un incipit a bassa fedeltà (lo sfrigolio in sottofondo riproduce il rumore del vinile), la cui struttura si sviluppa con naturalezza sorprendente. I bassi attraversano tumulti altisonanti, le tastiere sono fragorose e dilatate, la voce ha saliscendi vorticosi, fino a raggiungere picchi di spaventosa intensità emotiva. La frase del ritornello suggella i suoni con parole di rassegnazione:”I try so hard to be someone, as I try hard to explain, if we can do someone together, then we’ll try do it again”.

Il tocco psichedelico della bellissima “The War Is Over”, dall'andamento ondeggiante, in bilico tra gusto classico e azzardi elettronici, riporta alla memoria i migliori episodi del trip-hop, dimostrando come l’album sappia variare con grande omogeneità complessiva. La title track dispensa oltre tre minuti completamente strumentali di pura profondità prospettica, un tunnel lungo e buio oltre il quale non c’è luce ad attendere l’ascoltatore. Luce che viene parzialmente ritrovata nel mix conclusivo di “Gravity”, sottraendo respiro onirico ed estremizzando il lato movimentato del tappeto ritmico, con un risultato a metà fra house vocale e techno-pop.

L’essenza del trio di Chicago non muta, a mutare semmai è la forma. Gli Atomica Project, aggiornando il marchio trip-hop in maniera a tratti audace e personalissima, confezionano un viaggio tra mondi oscuri e spazi angusti, al limite fra gusto classicheggiante e trovate degne dell’olimpo bristoliano. No, il trip-hop non è morto.

07/09/2008

Tracklist

1. When I Was Just A Young Girl
2. Forecast
3. Afraid
4. Gravity
5. Storm
6. I Woke Up In This World
7. Losing Sleep
8. All The Lonliness In The World
9. Into The Arms Of Strangers
10. Evaporate
11. The War Is Over
12. Grayscale
13. Gravity (Iris Remix)

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