Rain Machine è sia il monicker che il titolo scelti da Kyp Malone per il suo disco d'esordio. Il primo del tridente di punta dei Tv On The Radio a intraprendere compiutamente l'escursione in solitaria. Un'opera in cui il (secondo) cantante e chitarrista di quella che è in assoluto una delle band di maggior riferimento degli anni Zero può dare sfogo ai tratti più latenti (ma comunque intravedibili) della propria personalità artistica, pur mantenendo, in certi stilemi armonici e compositivi, il marchio di fabbrica della band d'origine.
Similitudini che ricorrono: l'uso intensivo e raffinato delle corali pop-soul (con una più marcata controparte femminile nel response), lo straniamento percussivo (qui miniaturizzato e rarefatto ma comunque presente) e un (dis)orientamento sonico visionario e psichedelico. Psichedelia che in "Rain Machine" è una sorta d'infuso cantautorale in cui disciogliere ingredienti prettamente roots (il country e il folk più acidi, progressivi e reminescenti dei 70's) mettendo la chitarra (elettrica ed acustica) di Kyp in primo piano e riducendo al minimo indispensabile le componenti electro.
Così se le ottime "Give Blood" (tiro quasi garage, percussioni tribali, base elettronica, trascinanti corali soul) e "Hold You Holy" (fibrillante, slanciata e ricca di pulsazioni ballabili, ai limiti della disco) mantengono un embrionale legame con la caratteristica soul-wave dei Tv On The Radio, in "Smiling Black Face" e "Driftwood" prende una decisa piega acid-folk, reiterato e minimale, nel primo caso, ricco di influenze indo-orientali e litanie raga nel secondo.
Ma è svoltata la prima parte dell'album che arrivano i veri pezzi forti: "Desperate Bitch", innanzitutto, con la sua apertura cantilenante e fischiettante, la ritmica punteggiata dalla sola cassa e dai piatti, il cantato dolente puntualmente doppiato dai cori femminili, che cresce ipnotica, dilatata sognante fino a un finale in cui voci e strie strumentali si fondono in un'emozionante dissolvenza free-form.
Poi una strepitosa doppietta in pieno stile art-folk alla Van Morrison: "Love Won't Save You" (straziante e intimista, per sola chitarra e voce) e la mastodontica, conclusiva "Winter Song" (in cui Malone fornisce una spregiudicata esibizione di tutta la sua gamma vocale su un accompagnamento che. partendo dal più classico picking anglo-americano, eccede per oltre dieci minuti in una sorta di rituale sciamanico e allucinogeno).
Con "Rain Machine", Kyp Malone realizza un'opera che, a chi avrà la pazienza e la sensibilità d'avventurarsi oltre (l'ingannevole) apparenza revisionista, rivelerà, ascolto dopo ascolto, una scrittura ispirata e variegata e un taglio artsy e sincretico assolutamente in linea con il personaggio. Libero di plasmare tutto il potenziale rimosso (ma solo per ragioni di spazio e di attinenza) dalla band nativa.
03/11/2009