Tinariwen

Elwan

2017 (Coop-Wedge)
desert-blues, etno-rock

L'esplosione della Primavera Araba ha influenzato non poco le sorti dei Tuareg e il loro tradizionale nomadismo. Il disordine politico e sociale non risparmia nemmeno i Tinariwen, che assistono alla sanguinosa guerra civile che mette a fuoco e fiamme la loro terra d'origine (il Mali), restando in continuo eremitaggio tra l'Algeria, il Marocco, la Francia e la California.
"Elwan" è l'album della memoria (in lingua Tamasheq, "Elwan" significa "elefanti"), un progetto discografico sofferto e potente nel quale alla profondità delle tribolazioni politiche dei testi corrisponde un intenso vigore poetico. Le Fender Stratocaster sono i fucili del gruppo, attraverso i quali esso rivendica quella voglia di libertà sempre più minacciata dalla lotta armata - una realtà che il chitarrista Abdallah Ag Lamida ha vissuto in prima persona, essendo stato prigioniero dei fondamentalisti per alcuni mesi prima di essere rilasciato, per fortuna indenne.

"Elwan" non è comunque un album di musica militante: vera protagonista è la vita quotidiana, convertita in un manifesto politico e sociale ancor più forte e corrosivo.
Anche la musica è meno urgente e frenetica, anzi malinconica e spirituale, con qualche concessione a un mesto romanticismo.
Travagliata e complessa, la genesi di "Elwan" si avvale di collaborazioni eccellenti: Kurt Vile, Alain Johannes, Mark Lanegan e Matt Sweeney entrano in punta di piedi nel glorioso collettivo dei Tinariwen, lasciando un lieve segno e uscendone altresì arricchiti e scossi.
Tutto l'album è concepito su canzoni liricamente semplici. Le tonalità sono quasi sempre in chiave minore, con incastri di chitarre elettriche e acustiche che insieme a ritmi complessi e a una moltitudine di voci assemblano un tessuto sonoro corale.
Il tipico desert-blues della band si tinge di psichedelia alla Grateful Dead, reminescenze afro alla Fela Kuti e marcate influenze funky stile James Brown.

Album compatto e solido, "Elwan" è un puzzle ricco di elementi. Il suono cristallino dell'acustica in "Assàwt", il timbro tagliente dell'elettrica in "Ittus", il mood etno-folk di "Talyat", il potente arab-rock di "Sastanàqqàm" e il loop ritmico di "Hayati" sono tasselli di una delle più eccitanti performance del gruppo.
La musica dei Tinariwen non è mai stata così mesmerica e sinuosa, l'immensità del deserto arabo è quasi palpabile nelle loro canzoni. Come nella splendida "Nànnuflày", una ballad impreziosita dalla voce profonda di Mark Lanegan.
La denuncia politica e sociale dei Tinariwen si avvale anche dell'uso di metafore; ancora una volta l'elefante diventa simbolo della lotta per la sopravvivenza nell'intensa e nostalgica "Ténéré Tàqqàl (What Has Become of the Ténéré)", mentre la musica è battagliera e ricca d'energia, con chitarra e basso che si avviluppano al potente ritmo in loop.

Con "Elwan" i Tinariwen non solo consolidano il loro profilo artistico, ma confermano una vivacità creativa e poetica avulsa dalla routine che attanaglia la musica etnica. Il potente rock del deserto è ormai un patrimonio sonoro universale, un raro esempio di musica militante che incanta e seduce senza ricorrere alla seduzione ideologica.

17/03/2017

Tracklist

  1. Tiwàyyen
  2. Sastanàqqàm
  3. Nizzagh Ijbal
  4. Hayati
  5. Ittus
  6. Ténéré Tàqqàl
  7. Imidiwàn N-Àkall-In
  8. Talyat
  9. Assàwt
  10. Arhegh Ad Annàgh
  11. Nànnuflày
  12. Intro Flute Fog Edaghan
  13. Fog Edaghàn




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