Anna B Savage

Rinascita di una cantautrice

intervista di Michele Corrado

A pochissimi giorni dalla pubblicazione del suo secondo disco, abbiamo scambiato qualche chiacchiera con la giovane cantautrice londinese Anna B Savage. Con lei abbiamo parlato di quanto gli umori della sua musica siano cambiati, delle sue recenti e poliedriche collaborazioni, di cosa dobbiamo aspettarci dalla sua prossima data live di Bologna e di tanto altro.

 

Ciao Anna, come te la passi? Tutto bene?
Tutto bene, grazie per chiedermelo!

 

Allora, com’è andata con la pubblicazione di “in|FLUX”? La seconda volta è davvero più dura come si sente spesso dire?
Credo che quando le persone parlano della difficoltà nello scrivere il secondo album, in linea di massima abbiano ragione. Per me invece il mio debutto fu il mio personale Everest, mentre ho voluto che questo nuovo disco fosse più semplice e divertente e ho fatto in modo che andasse così. Ma se parliamo meramente e tecnicamente di pubblicazione, è stata ugualmente difficile. E’ anche vero che sono passati pochissimi giorni e sono dunque eccitatissima di scoprire cosa succederà.

 

La prima cosa che ho realizzato ascoltando questo tuo sophomore è stata quanto fosse differente da “A Common Turn”. Sono diversi in molteplici elementi, a partire dalle copertine. Nella vecchia cover ti copri gli occhi, come se ti stessi nascondendo, mentre in questa nuova ci guardi, sembri serena, sembra quasi che tu abbia voglia di giocare…
Beh, grazie mille. Si, penso che questo nuovo disco sia molto sicuro di sé in tantissimi modi. Persino nella copertina!

 

Anche se “in|FLUX”? inizia con una canzone intitolata “Ghost”, suona molto meno “infestato” del suo predecessore. È soltanto una mia impressione, o è effettivamente un lavoro meno tormentato?
Hai assolutamente ragione. Un sacco, ma proprio un sacco, di terapia è stata davvero d’aiuto per la mia sicurezza in me, e ora sono davvero felice che questa sicurezza faccia parte della mia vita di tutti i giorni, al contrario di quanto accadeva mentre scrivevo “ACT”.

 

Per questo nuovo disco hai cambiato produttore, passando da William Doyle a Mike Lindsay dei Tunng, due personalità molto differenti, ma con in comune un grande uso dell'elettronica. Come è stato lavorare con Mike?
Sono stata davvero fortunata a lavorare con due produttori del genere. È stata davvero una grande gioia collaborare con Mike. Ha una personalità molto positiva ed è un grande lavoratore, entrambe le cose ne fanno un partner eccezionale. Ci siamo divertiti tantissimo e mi sento molto fortunata per tutto ciò.

 

Questa volta hai anche decisamente arricchito le tue soluzioni in termini di arrangiamenti, in “in|FLUX” la chitarra e l’elettronica sono sempre al centro dell’impianto sonoro, ma possiamo ascoltare anche il pianoforte, il clarinetto, il sassofono… Come hai deciso di espandere così tanto il tuo sound?
Ecco, per iniziare va detto che questa volta non ho scritto le canzoni interamente con la chitarra, e questa è già un’importante distinzione per me. Avevo deciso di immettere nella produzione nuovi elementi prima che le canzoni fossero ultimate, così ho lasciato un po’ di spazio per gli altri strumenti. Avevo anche voglia di suonare di più e di mettermi alla prova, così ho spolverato il mio vecchio clarinetto e il mio vecchio sassofono, che non suonavo da 15 anni, e ho deciso di buttarli nella mischia.

 

Ultimamente e meritatamente sei stata molto richiesta per collaborazioni e duetti. Soltanto nelle ultime settimane abbiamo potuto ascoltare un tuo featuring con un giovane cantautore come Hamish Hawk e poi quello con gli Orbital, il leggendario duo techno. Tu davvero non conosci confini… com’è stato lavorare con loro?
Mi è sempre piaciuto tantissimo collaborare. Quando ero più giovane ho sempre pensato che avrei fatto parte di una band e in realtà mi ha reso triste constatare che invece avrei dovuto fare tutto da sola. E quindi il fatto che altre persone mi chiedano di collaborare con loro è per me una delle gioie più grandi. Io e Hamish siamo diventati amici dopo aver suonato insieme a un festival a Edimburgo, e la collaborazione è venuta fuori molto spontaneamente, senza troppa programmazione. Gli Orbital, invece, mi hanno contattato mediante etichetta e management. Ero terrorizzata in realtà, loro sono davvero un nome grosso. Paul (Hartnoll, ndr) è stato incredibilmente paziente con me e ha praticamente dovuto farmi da coach per gestire il nervosismo. Gli sono davvero grata per le sue enormi pazienza e gentilezza. Comunque sì, per fartela breve, adoro collaborare. Peraltro avevo deciso che la parola d’ordine del mio 2022 dovesse essere “creatività”, ci tenevo davvero a espandere le mie possibilità e quindi è stato fantastico che queste persone si mettessero in contatto con me.

 

Se potessi davvero scegliere chiunque, con chi ti piacerebbe scrivere e realizzare un brano insieme?
Moses Sumney.

 

Se non vado errato tu vivi a Dublino, una città che è al centro di un grande hype grazie a band come Fontaines D.C. e Murder Capital. Com’è vivere lì? L’aria è davvero elettrica come ci viene da immaginare?
Eh no, sfortunatamente sono ritornata a Londra. Dopo Dublino mi sono spostata sulla costa occidentale dell’Irlanda, della quale mi sono innamorata, ma era davvero difficile trovare un posto dove vivere da quelle parti. Così, dopo un periodo passato a Belfast, sono tornata a Londra. È stato fantastico vivere a Dublino, anche durante il lockdown, che poi è proprio quando mi sono trovata lì. In effetti, sarebbe bello tornare a viverci ora che tutto sembra tornato alla normalità. Per adesso però posso dire di conoscere molto bene i parchi della città.

 

C’è qualcosa di interessante che stai ascoltando in questo periodo che ti piacerebbe raccomandare ai nostri lettori?
Certo, il nuovo disco di Madison Cunningham è l’unica cosa che sto ascoltando ultimamente, podcast a parte.

 

Quando hai pubblicato “A Common Turn” eravamo nel mezzo della pandemia e sei stata costretta a cancellare diverse date europee, incluse quelle italiane. Ad ogni modo, il prossimo maggio suonerai finalmente a Bologna. Fatta eccezione per un set acustico in solitaria all’Ypsigrock Festival, non hai mai suonato dalle nostre parti, non con una band. Cosa ti aspetti dal nostro pubblico?
Woohoo! Vero, non ho mai suonato in Italia con la mia band al completo! Io mi aspetto solo che il pubblico si accenda, il resto dipende da noi. Spero di convincere davvero tutti a divertirsi e, perché no, anche a ballare un po’!

 

Anna, con questo è quanto... Grazie davvero per il tuo tempo!
Tantissime grazie anche a voi!

 

(26/02/2023)

 
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La ribellione della musa

 

di Michele Corrado

 

Fresco di pubblicazione per City Slang “A Common Turn”, primo Lp della giovane cantautrice londinese Anna B Savage, è uno dei dischi più chiacchierati e giustamente incensati del momento, da critica e pubblico. Il disco affronta con profondità tematiche intime, oscure, dolorose, senza paura di mostrare ferite e debolezze, finendo con lo svelare la forza viscerale e inarrestabile della sua autrice.Grazie alla produzione di William Doyle (aka East India Youth), il folk scarno e oscuro e la voce profonda e duttile di Anna hanno trovato in “A Common Turn” nuove e imprevedibili soluzioni, che spaziano da tempestose chitarre elettriche a vibranti inserti elettronici. Abbiamo colto l’occasione per scambiare qualche chiacchiera con Anna, che abbiamo scoperto essere, oltre che talentuosa, generosa e loquace. Partendo ovviamente dal disco siamo poi finiti a parlare di lockdown, libri, bird watching, vibratori, Leonard Cohen e pizzate. Insomma: chi più ne ha più ne metta. Buona lettura.

Ciao Anna, come stai? Come stai trascorrendo questi tempi di lockdown?
Ciao! Tutto bene grazie, un po’ affaticata da tutti questi lockdown in verità, ma chi non lo è? Neozelandesi a parte...

Okay, iniziamo subito parlando del tuo primo Lp. “A Common Turn” è stato letteralmente un trionfo, la critica lo ha adorato e i fan altrettanto. Tu sei davvero molto attiva sui social network, tanto da farmi pensare che questa risposta da parte dei fan possa essere stata in qualche modo pesante. Come stai vivendo il momento?
Ah, questo è davvero carino. Credo che tu abbia ragione, le persone sono state davvero dolci, in effetti. E, sì, in effetti ultimamente sono molto attiva sui social network, sarà perché ora come ora mi sembra davvero l’unico modo per raggiungere le persone. Non credo che sia una cosa che mi faccia esattamente bene, ma penso che per il momento vada bene così. La domanda “come stai vivendo il momento?” è davvero interessante: non so nemmeno se mi sembra tutto vero, probabilmente proprio a causa dei succitati lockdown, ma sto cercando di ritagliarmi un attimo ogni giorno per pensare a quanto sono fortunata.

Ti aspettavi tutto questo successo?
Ci sono state un sacco di lacrime. No, non me lo aspettavo. In realtà ero preoccupata che si trattasse di un album che richiede troppo alle persone: ascolti molto attenti, troppi output e forse anche input emozionali. È davvero incredibile e adorabile constatare che le persone stiano offrendo al disco il tempo e le cure che richiede. Sono davvero grata di tutto questo.

Le canzoni del disco sono molto spesso davvero intime, personali, delle volte tra i testi si percepisce vero e intenso dolore. C’è molta vita privata nel disco, ci sono i tuoi sentimenti. Come ci si sente ad aprirsi in questa maniera al mondo? Com’è cantare queste canzoni su un palco mentre la gente ti guarda fisso negli occhi?
Si, in effetti in queste canzoni c'è un sacco di “me”. Credo sia molto bello che alle persone stia piacendo; del resto l’avrei presa sul personale se, invece, le persone mi avessero detto che lo odiavano! Non so se mi sia davvero aperta al mondo, forse da questo punto di vista c’è un po’ di innocenza da parte mia, ma finora non ho rimorsi riguardo quello che ho tirato fuori. Sai, l’unica cosa della quale mi sento davvero qualificata a parlare sono le mie emozioni e le mie reazioni alle cose. E non credo che nessuno possa mettere in discussione quello che provo, i miei dubbi. Credo che questo modo di pensare sia una sorta di leggera auto-protezione.

Nella bellissima “Chelsea Hotel N. 3” canti “mi prenderò cura di me stessa (se sai cosa intendo)”. Se posso domandare: cosa intendi davvero?
Ahah, in questa canzone con quella frase intendo prendere pieno controllo della mia autonomia sessuale: in senso metaforico e in senso strettamente fisico.

La canzone è connessa, come sembra, a quella di Leonard Cohen (“Chelsea Hotel N.2”, ndr)?
Sì, è sicuramente, ma vagamente connessa alla canzone di Cohen, che ho usato come rampa di lancio per la mia. Ero davvero affascinata dall’idea che la sua musa fosse stata Janis Joplin. Per poi scoprirmi però più interessata alle dinamiche di genere dietro a quello che convenzionalmente viene inteso come rapporto musa-artista. Storicamente, tantissime muse sono state figure femminili passive, le cui storie non sono state raccontate. Così ci ho visto delle analogie con il percorso di comprensione ed esplorazione della della mia sessualità: per tutta la mia vita sono stata in attesa di qualcuno che parlasse o agisse per me.

Come è iniziata la fortunata collaborazione con William Doyle (East India Youth)?
Ahah, non credo si sia trattato di fortuna. Semplicemente l'ho "accostato", ahah... Abbiamo un amico in comune, così quando l’ho approcciato per vedere se gli interessasse produrmi qualcosa, c’è stato un intermediario a garantire per me. Per fortuna William ha accettato. Dopo qualche e-mail e qualche prova insieme, tutto è andato così liscio che abbiamo deciso di lavorare insieme sull’intero album.

Il tuo disco è principalmente un lavoro di folk cantautorale dalle sfumature oscure, è però colmo di improvvise e sorprendenti variazioni. A volte con tempestose chitarre elettriche, altre con inserti elettronici. Come avete lavorato tu e William? Dimmi qualcosa riguardo il processo creativo dietro a “A Common Turn”.
Io e William abbiamo deciso di lavorare su ogni canzone soltanto per un giorno, di passare dunque alla prossima il giorno dopo. Abbiamo lavorato soltanto uno o due giorni alla settimana, è stato fortissimo. In pratica succedeva che, dopo averci lavorato su, non riascoltassimo una canzone anche per un mese. Per molte delle canzoni invero non siamo andati oltre il primo giorno di lavorazione. E’ stato davvero divertente lavorare così velocemente e con questa libertà. E’ stata tutta un’idea di Will.

Potremmo dire che tu sia stata scoperta e lanciata da Father John Misty e Jenny Hval, che dopo averti ascoltata ti hanno fortemente voluta in tour con loro. Come è stato dividere date e palchi con due personalità del genere? Vi sentite ancora?
E’ stato fantastico. Sfortunatamente non sono stata a lungo in tour con Jenny, ma è stato molto divertente. Sono una grande fan delle sue tendenze polimatiche, adoro i suoi dischi e anche il suo libro “Paradise Rot”! Sono stata in tour con Father John Misty e il suo staff, invece, per oltre un mese. È stato assolutamente fantastico, mi hanno fatto sentire davvero benvenuta e insieme abbiamo riso tanto. Con loro peraltro mi è sembrato finalmente di vivere l’esperienza che avevo sempre sognato, quindi tutto è stato ancora più bello. Per giunta io sono una grande fan di FJM, ho adorato il primo disco e adoro i suoi lavori come J. Tillman, quindi andare in giro con lui per tutto quel tempo è stata una ficata. Ogni volta che sono venuti a suonare in Uk, ho risposto presente alla loro data di Londra (o a Bath, quando non c’è stato uno show a Londra). E’ incredibile incontrarli, sono la più adorabile delle comitive.

I tuoi parenti sono cantanti lirici. La cosa ha influenzato la tua formazione?
Certamente, sì. Io sono stata circondata di musica, da quando ho memoria. Pensa che il mio primo ricordo è di uscire dal bagno lavandomi le mani canticchiando l’aria "La regina della notte” da “Il flauto magico” di Mozart.

Una domanda sciocca: l’edizione speciale del disco, sia in cd che in vinile, offre in regalo un gadget davvero speciale (un vibratore con il logo di Anna B Savage, ndr). Perché questa scelta così divertente e particolare?
Non è assolutamente una domanda sciocca! Da quando mi interesso di sex toy mi sarebbe anche piaciuto produrne alcuni. Mi è stato detto che avrei dovuto rendere questa edizione del disco un po’ più speciale, e così mi sono messa a pensare a come avrei potuto farlo ottimizzando i costi. Inoltre, se un vibratore finisce nelle mani di qualcuno che altrimenti non ne avrebbe comprato uno, la mia missione potrà dirsi compiuta!

Scavando tra le tue canzoni, è possibile scovare tantissime influenze, che vanno dal Rocky Horror Picture Show alle Spice Girls, da Edwyn Collins a Nick Drake. Quella che viene fuori è una chiara panoramica sul tuo versatile e profondo background. C’è qualche altra influenza sulla tua arte che ti andrebbe di menzionare? Magari qualche film o qualche libro.
Ah, grazie. Amo definirmi come una gazza ladra, e credo sia vero: se mi piace qualcosa la prendo e ne faccio tesoro. Sono una grande lettrice, lo sono sempre stata, sia di poesia che di fiction, ultimamente stanno anche aumentando le mie letture di saggistica e attualità. Tutte quelle cose che rendono più semplice conoscere e imparare, ad essere onesti. “Corncrakes” è nata leggendo due libri quasi spalla a spalla: “The Outrun” di Amy Liptrot e “The Summer Book” di Tove Jansson. Mentre scrivevo i testi del disco, avevo però con me anche un libro di poesie di Seamus Heaney e anche “The North Ship” di Philip Larkin. Trovo poi che “I Love Dick” di Chris Kraus sia stato davvero importante per farmi sentire pronta a scrivere il disco; così una volta che l’ho pubblicato, le ho mandato una copia per ringraziarla.

Nel disco parli finanche di bird watching! Lo pratichi davvero? È divertente?
Lo faccio davvero! Tutto quello che mi aiuta a rallentare, a rilassarmi, a osservare il mondo intorno e portare un pizzico di gioia è benvenuto "nella mia storia". Non ho fatto ancora grandi pellegrinaggi per osservare gli uccelli, ma spero di poter rimediare una volta che il lockdown sarà terminato.

C’è qualcosa di interessante che stai ascoltando in questo periodo? Qualche band o artista nuovo che ti piacerebbe segnalare ai nostri lettori?
Ho preparato una playlist che aggiorno ogni mese con dentro tutto quello che mi piace e ascolto. Vi lascio il link.

Ti manca suonare dal vivo?
Sì, mi manca, anche se non è che lo abbia fatto poi tanto. Ad ogni modo, non posso aspettare di ricominciare.

Qual è il concerto che hai vissuto dalla parte del pubblico e che ti ha cambiato la vita? Ovviamente se ce ne è uno.
Ce ne sono molti, ma quello che mi viene in mente ora è quello di Owen Pallett alla Union Chapel di Londra. Al pubblico piacque così tanto che Owen ha dovuto fare ben tre encore, altrimenti non ce ne andavamo!

Hai mai suonato in Italia? In caso affermativo, conservi qualche ricordo in particolare?
Sì, poco in verità, ma mi è capitato. Una volta davvero speciale è stata quella al “Half Die Festival”. Era su un tetto a Roma, c’erano dei viadotti dietro di noi. Dopo lo show, in circa una ventina di persone, siamo andati in una pizzeria a mangiare. E’ stato davvero speciale, mi sono sentita protetta e come a casa.

E con questo è tutto Anna, grazie mille per il tuo tempo. Buona giornata!
Grazie a te!

 

(20/02/2021)