Avendo ascoltato il disco, posso dire che ci avete messo molta tensione emotiva. Ho letto che trovavi molto difficile esibirti sul palco, specialmente quando hai iniziato come solista. Allora come ti senti ora, che tutto è aumentato di scala, sarai in tour a lungo, tante persone ascolteranno le canzoni (e il dolore che vi è contenuto)?
La mia esperienza è cambiata, ma non perché mi senta diversamente rispetto alle canzoni, o rispetto alla musica in generale, è solo che le circostanze sono state alterate e sto suonando in modo molto più costante. Sono venuta a patti con l’idea di sacrificarmi per l’arte, e con cosa significa, ed è rassicurante. È sempre stato naturale, per me, esprimere vulnerabilità, sensibilità – è ancora stimolante emotivamente, ma anche un modo per aumentare la fiducia in me stessa.
Alcuni dei problemi che tu (e i membri della band) avete affrontato in questo disco riguardano il “grande precipizio” della fine della scuola, dello scoprire finalmente quanto vali – un momento davvero importante, che avete espresso bene musicalmente e che mi investe molto. Ora stai iniziando una carriera musicale, dopo averne pianificata una come professoressa di incisione di stampe. Come ti senti riguardo a tutto questo, ora?
La stiamo prendendo un passo alla volta. Non ho idea di come saranno i prossimi due, dieci, vent’anni. Qualcosa di positivo che ho preso dall’essere in tour tutto il tempo è la capacità di adattarmi – devi essere pronto a tutto. Quando stai male e sei in giro, non ti è permesso di coccolarti, non c’è un posto in cui puoi davvero riposarti, devi solo fare del tuo meglio con quello che hai a disposizione. È una delle cose più difficili che abbia mai fatto, quindi in un certo senso mi sento meglio equipaggiata per affrontare tutto ciò che potrà capitarmi dopo il tour. Voglio comunque essere creatrice di qualcosa, voglio fare molte registrazioni in casa nel futuro. “Carriera musicale” è un’idea parecchio impegnativa da afferrare, non sono del tutto sicura di cosa voglia dire.
Parte del risultato, immagino, viene dalla qualità emotiva del processo di registrazione. Come guardi a quel periodo, ora? È un sollievo che sia finito, o ti mancano quei giorni?
Sono pronta a lavorare al prossimo disco. È stato un momento così importante per tutti noi, quando abbiamo fatto “When You Walk A Long Distance You Are Tired”, e penso che quell’aspetto dell’intera cosa sia opportunamente documentato da essa stessa. Non mi manca – avevo problemi, più del solito. Mi manca più che altro essere a casa, a costruire canzoni e arrangiamenti, e l’intero processo di essere a mio agio, creativa. Ultimamente è stato difficile scrivere, dato che siamo in giro dall’inizio dell’anno.
Leggo che le registrazioni iniziarono quando suonavate insieme da un solo mese. Vorresti che suonassero diversamente, ora? Le canzoni sono cambiate dopo un anno di esibizioni dal vivo?
Ne abbiamo parlato molto – siamo tutti d’accordo che siamo fortunati ad aver registrato tutto così com’è. Le canzoni dal disco sono cambiate molto, comunque, e a volte sono piuttosto improvvisate, così come le suoniamo adesso. È più stimolante in questo modo, mantiene alta l’attenzione e l’eccitazione. Il disco è d’improvvisazione in un senso largamente diverso, perché si è trattato di questo processo di dare coltellate nel buio, cercando di far evolvere la nostra identità di gruppo, in tempo reale di fronte ai microfoni. Così in questo modo penso che siamo stati capaci di catturare qualcosa che non è più lo stesso, e probabilmente non sarà più.
Mi piacciono in particolare gli arrangiamenti del disco, hanno molta classe e aiutano a trasfigurare l’impatto emotivo delle canzoni. Rendono più facile connettersi ai pezzi, in un certo senso, almeno da un punto di vista estetico “distaccato”. Puoi parlarci dei membri della tua band, come vi siete incontrati, come avete fatto a mettere insieme le canzoni in così poco tempo, e così via?
Suonavamo tutti ad Athens. È una piccola città, così tutti sapevamo della band dell’altro, andavamo ai concerti dell’altro etc. ancora prima di essere amici. Era ovvio che condividevamo questo rispetto reciproco, che prendevamo noi stessi e i nostri progetti sul serio, che volevamo fare qualcosa di speciale. Tutti i membri sono ancora a capo di diversi progetti – Matt dei Group Stretching, Drew dei New Wives, Patrick de The Viking Progress e dei Bronze Brain.
Quasi tutte le canzoni di “When You Walk” le avevo scritte prima dell’incarnazione in full band dei Mothers e le avevo suonate dal vivo per un bel po’ da solista. Quindi lo scheletro del disco era già al suo posto – ci rimase solo da costruire, con molta cura, il giusto spazio per quelle canzoni in cui esistere.
Penso che ciò che rende questo disco eccezionale rispetto ad altri giovani cantautori e cantautrici “emozionali” è la ricchezza di stili, il dinamismo delle canzoni. Posso chiederti delle tue maggiori influenze musicali?
Di tutto un po’. Ho iniziato con band come Neutral Milk Hotel, Bright Eyes, Microphones, Sufjan Stevens. Mi sono interessata alle texture degli Animal Collective. Mi fecero conoscere i Don Caballero e gli Hella quando ho iniziato il college, e ho iniziato ad ascoltare musica strumentale. Mi sono poi interessata a cose più abrasive, Lightning Bolt, Arab On Radar, Daughters, Ex-Models. Adoro compositori ripetitivi come Philip Glass e Michael Nyman. Una delle mie band preferite di sempre sono gli sBACH.
Avete iniziato a registrare finanziandovi da soli, ma poi un’etichetta (Grand Jury, o Wichita) si interessò a voi e sta ora pubblicando il disco. Come è successo?
Pare che il catalizzatore sia stato il CMJ Festival di New York, sia per Grand Jury che per Wichita. È stato il nostro primo festival, era solo la seconda volta che suonavamo a NYC. All’inizio avevamo cinque concerti in cinque giorni. Prima della fine della settimana, avevamo suonato undici volte in cinque giorni. Fu così brutale. Entrambe le etichette erano a tutti i nostri concerti, e credo che abbiano probabilmente pensato che, se eravamo ancora coerenti e divertiti l’ultimo giorno, valeva la pena di approfondire. Le persone di quelle etichette diventarono nostri amici prima che le cose si evolvessero. Fu molto personale e umano – proprio ciò che stavamo cercando.
Leggo che il numero delle persone che definiscono la propria occupazione come “artista” (o “musicista”, o “cantautore”) sta aumentando, almeno negli Stati Uniti. È qualcosa che mi fa pensare, se lo paragono ai profitti in picchiata dalle vendite fisiche e in generale dalla decrescita delle risorse spese nell’orbita del mondo della musica. Dal tuo punto di vista di artista giovane ma emergente, pensi che puoi guardare alla tua carriera musicale come “day job” in modo realistico, oggi?
Non ne ho idea. Dopo il college, lavoravo in un ristorante, fino a che siamo andati in tour, poco fa quest’anno. Probabilmente tornerò a lavorare quando sono a casa, quando ho tempo. Detto questo, ce la stiamo cavando, qui in tour. Facciamo tutti meno soldi che quanti ne facevamo a casa, con altri lavori, ma vale la pena di fare qualcosa che amiamo in modo più o meno sostenibile. Non ci siamo dentro da abbastanza tempo da sapere come sarà nel lungo termine. Non mi interessa avere una “carriera musicale” – mi interessa stare abbastanza in salute e avere i mezzi per creare arte da qualsiasi cosa su cui possa mettere le mani.
When You Walk A Long Distance You Are Tired (Wichita/Grand Jury, 2016) | 7,5 |