Lo stile di Fuschetto riesce a trovare un punto di congiunzione tra musica popolare e musica colta, tra musica etnica e avanguardia, tra Oriente e Occidente; è una musica capace di abbattere muri, siano essi geografici o di genere. Per raggiungere un obiettivo tanto ambizioso, è necessario l'utilizzo di una strumentazione tanto varia e complessa da far diventare l'autore una sorta di direttore d'orchestra di classica contemporanea, attraverso una strumentazione ricchissima: oboe, sax, chitarra, clarinetto, viola, violino, violoncello, flauto, piano, percussioni, corno, fagotto, trombone. In tutti i brani un elemento è sempre sorprendente: la complessità dei ritmi e delle soluzioni armoniche, unita alla nitidezza dei suoni e alla semplicità dell'ascolto, aspetti che è molto raro riuscire a conciliare.
Da sempre appassionato di popular music, con una particolare predilezione per i Beatles di cui apprezza la capacità di trovare facilmente soluzioni melodiche di grande impatto e innovazione al contempo, si diploma in oboe al conservatorio Nicola Sala di Benevento.
Gli anni Ottanta e Novanta lo vedono protagonista in varie collaborazioni che gli consentono la scoperta e l'esplorazione di svariati linguaggi musicali; dalla popular music al jazz, dall'avanguardia del Novecento (Bela Bartok, György Ligeti, Igor Stravinskij) alla musica africana subsahariana. Queste continue esperienze, che lo vedono suonare oboe, sax, percussioni e pianoforte, lo portano nel 2009 a pubblicare il primo album solista, intitolato proprio Popular Games, a testimoniare il legame di Fuschetto alla musica popolare che parte però da studi accademici.

Il primo brano "A Sud delle nuvole" dà proprio l'impressione di musica già presente nella nostra mente, basterebbe chiudere gli occhi per poterla ascoltare. Il morbido piano di "Yee Moon Ye Lo" è suonato dal maestro Girolamo De Simone (presente anche nella successiva "Bianco su Nero"), mentre "Yee Moon Ye Lo Reprise" appare come un breve scherzo gioioso e divertente. In "Valle Valle" e in "Portami con te" - entrambe cantate in lingua Arbëreshë - troviamo la splendida voce di Antonella Pelilli, mentre nella successiva "Frase Rem" l'inizio è affidato a un delicato pattern minimalista ripetuto su cui si fa spazio la voce di Daniela Polito; è impossibile non sentire i richiami di Terry Riley, il pioniere del musicista che coniuga avanguardia e spiritualità orientale.
"Saltarello" nasce da una danza tradizionale dell'Appennino e introduce ancora un pattern ripetitivo ma stavolta più ipnotico e inquieto; uno di quei brani che potrebbe durare all'infinito, ripetendosi senza stancare mai. Incontriamo poi la voce di Irvin Vairetti in "Harsh Voices", in cui stavolta sono le percussioni a creare un ipnotico substrato di sottofondo. Il finale "Bill's Mood" è un personale ricordo di Bill Evans, dove, seppur siano presenti chiari riferimenti jazz, non ci si discosta dalla musica senza confini - come direbbe De Simone - creata da Max Fuschetto.

Fuschetto compie la sua "missione" con dieci brani brevi che tutti insieme rappresentano l'essenza stessa del Sun Na, del sogno. L'atmosfera è a volte quasi religiosa, un approccio che non può che rimandare, perlomeno nelle intenzioni, da una parte a "Hosianna Mantra" dei Popol Vuh, sia per la voce di Antonella Pelilli che per la religiosità stessa del paesaggio musicale riprodotto, da un'altra ai Third Ear Band per il tentativo di coniugare tradizione popolare e musica colta. Basti ascoltare "In Preghiera", che in appena un minuto ricrea luoghi di culto di una religione che non vuole dividere ma unire culture differenti, proprio quello che Florian Fricke ha sempre avuto come obiettivo ultimo. E in effetti, come ci dice lo stesso Fuschetto, la preghiera è un gesto universale, presente in ogni tipo di cultura.
Come nella missione dei Popol Vuh, Fuschetto - nonostante le differenze evidenti - riesce a far comprendere quanto siano forti le analogie e i punti in comune tra culture e religioni ritenute totalmente diverse. Non cultura orientale (atmosfere mediorientali, lingua arbereshe), occidentale (sapiente dosaggio di elettronica e strumentazione acustica), africana (percussioni, musica etnica) o latina (ritmi bossanova) ma cultura "umana" nel senso più ampio possibile.
Il punto di contatto che Fuschetto trova è il "Sun Na", parola tratta dalla lingua Yoruba (dialetto derivante dal greco, parlato in alcune regioni dell'Africa quali zone della Nigeria, del Benin e del Togo). Sun Na vuol dire dormire, sognare, e in effetti - come ci consiglia lo stesso autore - provate a dirlo in un dialetto del sud e vedrete quanto il concetto di cultura "umana" sia vicino alla verità. Perché è assolutamente vero che il sogno, inteso come speranza, aspirazione magari illusoria, è un bisogno che esula da ogni razza, religione o cultura.
Il sogno continua nei modi più vari, dai rimandi alle opere per violoncello di Schubert (basta ascoltare la colonna sonora di "Barry Lindon" per comprendere il riferimento) di "Return To A", a cui si aggiungono viola, oboe, flauto, sax e corno, al ritmo di bossanova di "Paisagem Di Rio" che sfuma, nei pochi secondi finali, in brevi note di piano accompagnate da fiati in lontananza che da soli valgono l'acquisto del cd.
"Oniric States of Mind", onirico sin dal titolo, ribadisce il concetto di contaminazione con il suo testo in parte inglese, in parte arbereshe. La voce cristallina di Antonella Pelilli viene qui accompagnata da quella di Irvin Vairetti (figlio di Lino degli Osanna). Il brano si disperde in "Secret Shadows", breve strumentale di piano e chitarra elettrica con complesse soluzioni armoniche, dove la chitarra di Capobianco sembra quasi stare a metà tra l'ambient e la psichedelia.
"Vibrazioni Liquide", con il suo bordone iniziale, inserisce cenni di avanguardia, come anche la piccola perla strumentale "Samaher", continuazione di "In Preghiera" ma con spiccate sonorità arabe. Chi si entusiasma per le contaminazioni e preferisce non relegarsi in rigidi schemi di "genere" non potrà che apprezzare.
Nel 2018 Fuschetto cambia radicalmente strada con un nuovo lavoro molto diverso dai precedenti. Mother Moonlight - ideato per piano solo - è fondamentalmente un’opera di ferrea riduzione rispetto la ricchezza delle composizioni precedenti, una riduzione di tutta quella poetica complessità ricreata da oboe, sax, chitarra, clarinetto, archi, flauto e percussioni. Riduzione tanto marcata che Max Fuschetto limita la sua presenza alla composizione dei brani, lasciando l’esecuzione al pianista Enzo Oliva, mettendosi a sua totale disposizione. L’idea iniziale di un lavoro prettamente pianistico viene poi arricchita da minimi apporti di elettronica, archi, chitarra e dilruba (uno strumento indiano simile al sitar), in un continuo dialogo polifonico tra mano destra e sinistra in cui melodie e trame differenti si intrecciano in un perenne sovrapporsi che fa della riduzione la propria forza. Tra citazioni di Bela Bartok (le note di piano ribattute di “Ting Tang”) o di John Lennon (la “non” melodia beatlesiana di “Occhi di conchiglia”, con il suono del dilruba), il percorso di Fuschetto si snoda tra rimandi alla musica dell’Africa subsahariana e il costante tentativo di porsi in quello stretto spazio che si trova tra musica popular e musica colta, idea che generazioni di musicisti classici hanno perseguito.