
Mentre partono le note di "Pretty Vacant" la prima cosa evidente è quindi che, se ci si vuole godere il concerto, bisogna mettere da parte il bagaglio ideologico inerente la band. Si tratta infatti di ultracinquantenni che ripropongono i propri successi del passato in modo godibile e convincente: magari questo potrà non essere eccitante, ma è quanto si potrebbe dire di infiniti altri gruppi rock. Non è giusto condannare i Sex Pistols per l'aver perduto la pericolosità e il furore di un tempo, perché questo è il destino di quasi chiunque continui a suonare rock dopo i trent'anni.
L'altro problema è che, sarà il volume basso, sarà che Glen Matlock sa suonare il proprio strumento, sarà il minimalismo, ma la band suona in modo davvero troppo "pulito". L'importanza del mix tra volume e distorsione per una chitarra rock è rilevante, chiedete a Kevin Shields o J Mascis in caso di dubbi. Purtroppo, si tratta di una magia che ti viene d'istinto (e i Sex Pistols di "Never Mind The Bollocks" rientravano in questo caso), oppure devi ricrearla scientificamente.
Lo Steve Jones del 2008 non può fare nessuna delle due cose, quindi ci troviamo di fronte a un gruppo di rock'n' roll onesto, ma quasi "normale", il cui repertorio è costituito però da soli classici: "Liar", "No Feelings", "I Did You No Wrong"...
Sono canzoni radicate nell'adolescenza di chiunque sia nel pubblico, e in questa versione vengono godute in modo ludico, come delle filastrocche punk, cosa che in parte erano fin dall'inizio. Le migliori sono quelle che spiccavano anche sul disco: "Submission", "Holidays In The Sun", "Problems". Unico sussulto straniante è una "Belsen Was A Gas" trasformata in qualcosa che parla di Baghdad e della guerra in corso, con Johnny Rotten impegnato a salmodiare invocazioni ad Allah. Tralasciando la boutade politica, il brano serve più che altro a far rimpiangere l'altra band del cantante, i Pil, che qui sembrano evocati esplicitamente.
I momenti clou, invece, sono ovviamente due: una "Anarchy In The U.K." trasformata in karaoke collettivo e una "God Save The Queen" il cui refrain "no future for you", ormai passato da provocazione a laconica presa d'atto dello stato delle cose, unisce in modo tragicomico le nuove generazioni agli ex-teppisti e proletari assisi sul palco. Colpiscono soprattutto i tanti giovanissimi nel pubblico, gente che il '77 (e la sua retorica) non sa cosa sia, che vede i Sex Pistols come vedrebbe i Green Day (trovandoli forse meno eccitanti), per la quale il "futuro" è ancora soltanto una parola: alla fine del concerto, loro sembrano aver trovato una giusta dose di fun.