Tre volte a Roma in meno di un anno: i Cigarettes After Sex sembrano essere diventati una delle migliori certezze per gli addetti ai lavori che organizzano concerti. Noi li avevamo visti lo scorso dicembre al Monk e ci erano piaciuti parecchio, racchiusi nel contesto di un live club raccolto.
Rivisti poi al Primavera Sound, erano stati considerati un po’ da tutti come la grande delusione del Festival catalano, penalizzati da volumi troppo bassi (che sovente utilizzano negli spazi chiusi per ricreare un’atmosfera da bedroom stories) e da una scaletta che parve in quella dimensione più soporifera del solito.
Non che con i Cigarettes si possa pensare di ballare o strillare slogan a squarciagola, il loro è un sound costruito per sottrazione, dolcissime ballad fumose che narrano vicissitudini amorose, che questa sera non soccombono nella (sempre benvenuta) saturazione concertistica capitolina, visto che in giro per la città ci sono anche Post Malone e la furba accoppiata Mogwai–Franz Ferdinand, tanto per confermare Roma fra le grandi capitali europee della musica live.
Con l'aggiunta che qui c’è anche l'emozionante scenario del Teatro Romano di Ostia Antica, uno dei siti archeologici più belli della nostra penisola, una location mozzafiato che da sola vale il prezzo del biglietto, compresa nel cartellone del Rock In Roma 2018. Il bianco e nero dei Cigarettes After Sex, i colori del tramonto alle spalle del palco, le vestigia dell’Antica Roma: se non è poesia questa qua!
Alle 21,30 in punto il concerto inizia, palco essenziale con il quartetto che suona di consueto in una situazione di penombra, tutti abbigliati in total black, con pochi faretti a illuminare la scena. La riverberatissima batteria occupa il lato sinistro, suonata come al solito in maniera essenziale, alla destra si muove il bassista, i synth sono posizionati al centro, alle spalle della figura di Greg Gonzalez, giubbottino di pelle, texano trasferitosi a New York con band al seguito, che sussurra i testi e ricama gli arpeggi ricchi di chorus per un light shoegaze fortemente notturno.
L’atmosfera è perfetta, fra innamorati che si abbracciano e le colonnine del Teatro alle spalle del gruppo che lasciano filtrare le ultime sfumature rosse di un tramonto ormai agli sgoccioli, che sta per soccombere al buio di una calda notte illuminata dalla luna.
Alle canzoni dell’omonimo album d’esordio (su tutte spicca “K”) e a qualche ripescaggio dall’Ep precedente, vengono alternate alcune nuove tracce, una delle quali annunciata espressamente da Gonzalez, in quanto è la prima volta assoluta che viene eseguita dal vivo. Il pubblico applaude come ringraziamento per il privilegio riservatogli, applausi che giungono sempre discreti, quasi a non voler disturbare la sacralità di un evento vissuto sempre sottovoce.
I volumi sono un pochino più alti rispetto agli standard consueti della band, e ciò consente di apprezzare meglio le sfumature sonore, che il quartetto ricrea tali e quali rispetto a quelle presenti sul disco. Unico appunto, anche in relazione alle nuove canzoni proposte, è l’eccessiva somiglianza con quelle già note, in un continuum stilistico che rischia di contraddistinguere la formazione americana per l’effetto ripetitività.
Tracce spazzolate ed elegantissime, minimali e avvolgenti, ricche di malinconia e sensualità, fragili ma al contempo compatte, slowcore senza mai diventare tediose, da assaporare con calma, già mature pur essendo quasi tutte parte di un’opera prima.
“Apocalypse” fa scoccare l’ora esatta di concerto, breve pausa, poi due bis per chiudere la serata, con il pubblico che abbandona gli spalti per riversarsi sotto il palco, fino a quel momento rimasto completamente vuoto. Concerto breve ma intenso, caratterizzato da quell’iper-romanticismo androgino che sta già facendo scuola, che tanto ci riporta alle evoluzioni di Mazzy Star e Beach House.