04/02/2023

Diaframma

Locomotiv Club, Bologna


La vita a volte è una gran bastarda, e a giocare tiri mancini a suon di illusioni (e non solo) ci va letteralmente a nozze. Come quando un sabato pomeriggio di inizio febbraio si presenta tiepido in maniera beffarda e un po' troppo estrema, per poi lasciare improvvisamente il posto a un vento gelido e pungente che prende a schiaffi il viso, amplificato mille volte dall'illusoria primavera di pochissime ore prima. L'anticamera di un'influenza annunciata. In barba al freddo tagliente, alle otto di sera sono già diversi i fan dei Diaframma che attendono di entrare al Locomotiv per godersi il loro ritorno a Bologna. Il quartetto fiorentino guidato da Federico Fiumani, e attualmente completato da Edoardo Daidone alla chitarra, Luca Cantasano al basso, e la new entry Tancredi Lo Cigno alla batteria, porta sul palco, insieme ai pezzi storici, quelli dell'ultima valida fatica “Ora”.

 

Il sipario si apre sui carichi guitar riff dell'inconfondibile “See No Evil”, in tributo al compianto Tom Verlaine, una delle principali figure di riferimento per Fiumani. L’impressione che si ha fin da subito è quella di essere di fronte a un gruppo coeso e affiatato, formato da quattro ragazzi scatenati che sprigionano un'energia contagiosa e invidiabile, che non tarda a essere percepita e incamerata dal pubblico all’ascolto, pronto a rispondere con crescente entusiasmo. La bassline solida dell’urgente “Coperte tumorali” e l’ancor più grintosa nella sua versione live “I giorni belli” fungono da apripista allo sfogo liberatorio della sfrontata “Gennaio” (con battuta scontatissima dalla platea, dove qualcuno se n'è uscito con “febbraio”).
C'è anche tanta passione, come sempre, che scatena i sing-along sulle note dell’ossessione in minigonna nera “Diamante grezzo”, di un amore passato in “L'odore delle rose”, e sui giri di chitarra di “Elena”, fino alla poetica e più solenne “Siberia”.

In tutto ciò vi è un’unica pecca degna di nota: se gli strumenti si sentono benissimo, è il volume del microfono a non esser in linea con la potenza degli stessi, lasciando che le parole di Federico scivolino via e si perdano un po' nella nuvola di suono. Fiumani scherza con il pubblico e fa il pazzo con il trittico in crescendo dominato dalle premesse poste in campo in “Mite sarò”, con quel riff nel ritornello soffiato a “Helter Skelter”, “Il sesso è nella testa”, e le note della scalmanatissima e sfrenata “Adoro guardarti”, sulle cui vertigini di chitarra scappa anche qualche pogo più concitato. A sferrare l’immancabile coltellata al cuore è il momento della struggente “Labbra blu”, dove partono canti a squarciagola e risulta letteralmente impossibile non sciogliersi, lasciando che il pensiero voli dritto alla persona di cui eravamo innamorati tanto da far male, cercandola nei volti della gente intorno a sé (e in qualche caso, forse, trovandola).

 

Accelerano i ritmi le trascinanti “I giorni dell'ira” e “Leggerezza”, fino al mezzo fuori programma di “Amsterdam”, dove la chitarra di Federico passa nelle mani di una ragazza in prima fila, occasione che si ripeterà poco più tardi per un’altra spettatrice. Altri due pezzi nuovi, la corale e amara “Ora” e la sarcastica e (solo) apparentemente leggera “Volenteroso”, cedono il passo a una monumentale tripletta che non fa sconti con i suoi passaggi strumentali da brivido. Dalla granitica accoppiata basso-batteria che solleva le chitarre ipnotiche di “Neogrigio”, e la drammatica “3 volte lacrime”, al potente e sempre attuale inno “Colpisci il passato al cuore/ Le illusioni di sempre/ Abbatti il futuro/ Se non ti appartiene/ Abbatti il futuro/ Se non ti appartiene/ Distruggi il futuro…” sulla corsa a perdifiato di “Libra”. Dopo una breve pausa, la band torna sul palco per l’encore e conclude la performance con i desideri espressi in “La mia vita con una dea” e l’irriverenza della spassosa “Mi sento un mostro”.

 

La sensazione percepita una volta usciti dal Locomotiv è quella di sentirsi alleggeriti da tutte quelle inquietudini che si cercano perennemente di combattere e nascondere nel quotidiano, anche solo per una sera, pronti al tutto e per tutto e a sfrecciare via nel buio delle strade di Bologna in sella a una bici, con il freddo che taglia la faccia mitigato dal cuore che brucia.