21-06-2024

Air

Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, Roma


È una notte di luna piena e non potrebbe essere diversamente. Si celebrano infatti i 25 anni di “Moon Safari”, il disco che ha fatto decollare l'astronave degli Air nell'iperspazio musicale. Mentre qualche timido refolo di vento tenta di attenuare l’afa caliginosa di una delle giornate più torride di questo giugno romano, raggiungiamo una Cavea gremita (anche se non esaurita) in attesa della festa, che non può non essere l’ennesimo lounge-party alieno della premiata ditta Godin-Dunckel. Colpisce subito il palco, trasformato in un parallelepipedo rettangolare, che si illuminerà e cambierà colori, facendo da schermo per le proiezioni: una sorta di “cubo magico” in grado di trasformarsi in navicella spaziale o macchina del tempo, a seconda delle varie atmosfere del nostro safari lunare.

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Hallo, Spaceboys: alle 21,15 Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel, interamente biancovestiti, salgono sul palco, preceduti dal batterista Louis Delorme. Dopo la piccola ovazione di rito, ecco che parte l’esecuzione integrale del capolavoro del 1998. L’atmosfera soffusa (ma subdolamente psichedelica) dell’ouverture “La Femme d’Argent” fa da prologo all’esplosione di “Sexy Boy”, che infiamma la Cavea con i suoi beat scoppiettanti, al pari dell’altra hit “Kelly Watch The Stars”, che in un vortice rapinoso di tastiere e vocoder riporta alla mente videogame d’antan e la più celebre partita di ping-pong della storia della musica in tv.
I due corrieri cosmici di Versailles non si scompongono: eleganti e misurati, si limitano a dire che “sono felici di suonare qui a Roma”, e procedono spediti con l’esecuzione integrale di “Moon Safari”, che occuperà circa 50 minuti di set.

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Se “Talisman” e “Remember” effondono tutte le loro magiche essenze seventies impregnate di lounge aliena e cantilene al vocoder, la doppietta immortalata su disco dall’ugola sensuale di Beth Hirsch (“All I Need”, “You Make It Easy”) perde indubbiamente qualcosa in assenza della stessa, rimpiazzata nel primo caso dall’eco della sua voce campionata su nuove parti di synth, nel secondo da un discutibile vocoder a cura di Godin, che compromette il calore languido dell’originale. Resta però la straordinaria bellezza di queste partiture elettroniche retrofuturiste, che continuano a incantare anche a 25 anni di distanza, anche quando la loro grandeur orchestrale viene asciugata in versione live, come nel caso di una “Le Voyage de Pénélope” in cui il piano di Dunckel si sostituisce al Moog della versione in studio.

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Sarebbe fin qui una diligente esecuzione dal vivo di un disco la cui magia è praticamente irripetibile sul palco. Scivolata via con maestria, ma anche un pizzico di freddezza. Sennonché gli Air ci tengono a rivendicare la loro natura di Electronic Performers, che hanno ritrovato per di più la voglia di suonare assieme, dopo dischi – diciamocelo – non certo memorabili, come gli ultimi “Love 2” e “Le Voyage dans la Lune”, che non a caso negli ultimi 10 anni hanno ceduto il passo ai loro progetti solisti e collaborazioni sparse. E così, quando si ripresentano sul palco per una inaspettatamente lunga sezione best of, Dunckel e Godin non fanno prigionieri. Con una celebrazione sontuosa - e anche spigolosa, a tratti – della loro elettronica “totale”. Ecco allora il fascino soffuso di “Radian”, con le sue eteree arpe sintetizzate, direttamente dalle frequenze di “10.000 Hz Legend” (2001), dal quale sarà ripescata anche la psichedelia floydiana di “Don't Be Light”. Quindi, la tripletta dal sottovalutato (anche dal sottoscritto, all’epoca) “Talkie Walkie” targato Nigel Godrich, con la fatata "Venus", avvolta in un tappeto di synth e circondata da piano, clap e una tastierina soft, con l’irresistibile singolo "Cherry Blossom Girl", caramella dream-pop che continua ad appiccicarsi addosso inesorabilmente, grazie a quel ritornello yé-yé tra arpeggi trasognati di chitarra, tastiere al cognac e coretti leziosi alla Stereolab, e con le vibrazioni liquide di “Run” ad assecondare la sovrapposizione vocale, che cita i 10cc della storica "I'm Not In Love". Impossibile, però, chiudere senza almeno una incursione nel magico Giardino delle Vergini Suicide, cui provvede una impeccabile “Highschool Lover”, interamente strumentale.
Nel doppio encore, infine, la quiete rarefatta di “Alone In Kyoto” - immortalata da “Lost In Translation” di Sofia Coppola – precede l’apoteosi finale di "Electronic Performers", l’epica traccia-manifesto con cui si apre “10 000 Hz Legend”: un fiero manifesto programmatico del duo francese, con i suoi arpeggi vertiginosi di chitarra a graffiare su una solida base ritmica.

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Dopo oltre un’ora e trenta di concerto, Dunckel e Godin salutano soddisfatti: il pubblico riserva loro una lunga standing ovation che coinvolge anche il felicissimo batterista. Mentre la luna piena fa capolino dalle gradinate della Cavea, restiamo immersi nell’incanto di questa elettronica senza tempo, nostalgica e proiettata al futuro al tempo stesso. Non è stata solo la celebrazione di un quarto di secolo di “Moon Safari”. È stata la conferma che gli Air erano e restano una galassia a sé: da preservare da ogni scoria e meteorite che il tempo porterà.

(Foto di Claudio Fabretti e di Pasqualini-MUSA/ Auditorium)