I Fontaines D.C. tornano, a distanza di un anno, a scuotere l’estate romana, nei grandi spazi dell’Ippodromo delle Capannelle. L’anno scorso li avevamo seguiti alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica con un live che coincideva con la pubblicazione del loro atteso "Romance". Un cambio di contesto che non è solo geografico ma anche simbolico, spostandosi dai margini quasi teatrali di una cavea alla vastità aperta e dispersiva di un’arena all’aperto, con tutte le sfide e le suggestioni che ne conseguono. In un curioso gioco di incastri, saranno invece i Cccp a muoversi in direzione opposta, portando a breve il loro rito collettivo nella più intima cornice della Cavea.
Ad accompagnare sul palco i dublinesi in apertura sono gli Shame, ormai tutt’altro che una band emergente. La presenza scenica di Charlie Steen e le incendiarie rime di "Food For Worms" unite all’energia brutale della performance pongono subito l’asticella alta per i Fontaines, che però iniziano con un passo più trattenuto. Non che manchi il calore del pubblico, esploso fin dalle prime battute con l’insolita scelta di aprire con "Here’s The Thing", seguita dai brani simbolo come "Jackie Down The Line", "Televised Mind" e l’immancabile "Roman Holiday", accolta con entusiasmo particolare dalla platea romana. Ma è la postura della band a tradire inizialmente una certa rigidità: Grian Chatten, frontman e catalizzatore emotivo del gruppo, sembra per la prima parte dello show meno invasivo del solito, come se lasciasse respirare lo spazio scenico invece di dominarlo con il suo consueto incedere febbrile.
Eppure, man mano che la scaletta prosegue, la band si distende, ritrovando quella miscela di tensione e coesione che ha reso i Fontaines D.C, una delle poche rock band contemporanee capaci di raccogliere un consenso ampio senza perdere un grammo della loro carica alternativa.
Statici ma solidi come un blocco granitico, i musicisti rimangono concentrati sulle rispettive linee strumentali, lasciando a Chatten il compito di animare il palco. Lo fa con la sua classica andatura stralunata, che ricorda un Mark E. Smith sbilenco e l’atteggiamento sfrontato à-la Liam Gallagher, soprattutto quando si piazza al centro del palco con le braccia conserte dietro la schiena. Ma, per fortuna, a differenza del frontman degli Oasis, Chatten non rimane immobile: interagisce, incalza, si diverte a gigioneggiare con il pubblico, portando avanti il concerto con quella sua teatralità dinoccolata e controllata che è ormai cifra stilistica riconoscibile.
"Romance" viene eseguito quasi nella sua interezza: tutte le undici tracce che lo compongono, affiancate da una decina di brani pescati dal repertorio precedente, con "Skinty Fia" a occupare un ruolo centrale nella scaletta. La scenografia è essenziale ma funzionale alla vastità del palco: al centro campeggia il grande cuore tratto dalla copertina dell’ultimo album, mentre i megaschermi restituiscono primi piani nitidi della band. Chatten, dal canto suo, si avvicina spesso al pubblico, ma non si dilunga molto fra una canzone e l’altra lasciando piuttosto spazio alla musica.
Con la fulminea poetica urbana di “Big” e il rock malinconico di “Favourite” si chiude la parte principale del concerto. Ma è nei bis che i Fontaines D.C. rilanciano con forza, inanellando cinque brani che spingono lo show verso un finale in crescendo.
Si ricomincia con l’intricata trama di synth di "Romance", si passa per le aperture cinematografiche e screziate di "Desire" e si approda alla dimensione corale e anthemica di "In A Modern World". Il gran finale arriva con "I Love You" e "Starburster", doppietta incendiaria che infiamma definitivamente l’arena. Qui prende forma anche il momento più apertamente politico della serata: se l’anno scorso a dominare erano le bandiere irlandesi, stavolta l’attenzione si sposta su Gaza. Chatten prende la parola per invocare una Palestina libera mentre dagli schermi si esorta il pubblico a usare la propria voce contro il genocidio in corso. Un gesto che conferma l’indole civile della band, mai piegata all’intrattenimento fine a sé stesso.
Il finale, arroventato e trascinante, lascia il pubblico ancora carico, quasi riluttante ad abbandonare quell’energia collettiva. Un leggero venticello, finalmente, smorza l’afa persistente della serata, e per un attimo sembra quasi che tutto possa continuare ancora. Ma le luci si riaccendono, e non resta che attendere la prossima volta, magari con nuove canzoni a farci compagnia.
Here's the Thing
Jackie Down the Line
Boys in the Better Land
Televised Mind
Roman Holiday
Big Shot
Death Kink
Before You I Just Forget
Hurricane Laughter
It's Amazing to Be Young
Bug
Horseness Is the Whatness
Nabokov
A Hero's Death
Big
Favourite
Encore:
Romance
Desire
In the Modern World
I Love You
Starburster