All the people that you're gonna meet
Don't you throw it all away
Because you can't love yourself
("All The People")
Certamente non proprio gli interpreti più originali della nuova ondata
post-punk, anzi forse il suo nome grosso più calligrafico nel riprendere i dettami di Mark E. Smith (con i suoi
Fall vero e proprio nume tutelare dell'intera scena contemporanea), gli
Shame tornano con un terzo disco che si smarca programmaticamente da quanto prodotto finora. I nuovi paesaggi surreali esplorati dal quintetto di South London si riflettono nelle copertine dei singoli e dell'album, realizzate appositamente per l'occasione da Marcel Dzama, artista noto per il suo stile fiabesco e al contempo misterioso, mentre al timone della produzione spicca la figura di Mark Ellis
aka Flood (
Nine Inch Nails,
Depeche Mode,
PJ Harvey,
Smashing Pumpkins).
Tutto sommato godibile e brutale nei suoi assalti chitarristici all'arma bianca, il
sophomore e primo tentativo di reinvenzione "
Drunk Tank Pink" (2021) aveva mostrato la corda di una formula non esattamente esaltante e imprevedibile, che proprio non riusciva a replicare il miracolo di immediatezza di "One Rizla", formidabile singolo (da "
Songs Of Praise") che aveva lanciato la band nel 2018.
La nuova opera del gruppo guidato da Charlie Steen riesce a compiere un passo concreto in direzione dell'agognata maturità, attraverso un gioco di specchi e contrasti che coinvolgono sia il
sound sia le liriche. La modalità di registrazione delle tracce dal vivo pone l'accento sulle imperfezioni, inglobando influenze
slacker-rock à-la "(Strange Songs) In The Dark" dei
Merchandise, in contrapposizione a una maggiore sensibilità tra indie-rock e pop tipica di
Pavement e Blumfeld, e osando in qualche caso in direzione
Prefab Sprout. Il cambio di prospettiva nella scrittura sfrutta uno sguardo non più rivolto verso di sé, ma verso il mondo circostante, per trattare temi sentiti e personali.
Nonostante il titolo poco romantico e invero piuttosto nichilista, "Food For Worms" è infatti il disco che apre il ruggente mondo degli Shame alla melodia e ai sentimenti, in particolare quello d'amicizia. Non mancano certo le batoste soniche, come il garage devoto alla
Fat White Family delle chitarre di "Six-Pack" e il post-punk esagitato di "The Fall Of Paul", ma a dominare nel terzo capitolo discografico della band di Londra sono le sgolate aperture melodiche.
La direzione, chiara sin dal lancio del singolo "Fingers Of Steel", viene ribadita poi dalla melanconia semi-acustica dell'emozionante "Orchid", ma soprattutto dal contagioso ritornello di "Adderall" (sì, se ve lo steste chiedendo, la band ha davvero dedicato una canzone al celebre stimolatore cognitivo, sebbene negli intenti nasconda molto di più), a cui ha prestato la voce anche
Phoebe Bridgers, compagna di etichetta del gruppo.
"Yankees" e i nervi a fior di pelle del
drumming di "Alibis" si riavvicinano ai territori sonori già battuti in "Drunk Tank Pink", mentre la riflessiva "Burning By Design" e i repentini cambi di velocità di "Different Person" si dilungano eccessivamente. Lo spirito di fratellanza tra persone, il bisogno di chiedere aiuto e di darne, nonostante ciò possa essere causa di sofferenza, emergono a chiare lettere ancora una volta nella chiosa finale a firma di Sean Coyle-Smith, con il crescendo della corale e agrodolce "All The People", caratterizzata da una lunga
intro acustica che ingrana in un'armonica ballata elettrica.
Certo, non tutti i brani sono riuscitissimi, specie verso la chiusura del disco, ma è innegabile che il rinnovamento stilistico intrapreso da Charlie Steen e soci abbia portato freschezza in un canzoniere che rischiava di marcire anzitempo.
12/02/2023