1971. Sul palco dell'Olympia di Parigi sale un cast d'eccezione, a dimostrare che il vento del folk elettrico, che da qualche anno ha intrecciato di là dalla Manica le sorti del rock e della musica tradizionale, spira forte anche in terra francese. Gabriel Yacoub, mastermind di quei Malicorne che col live "En Public" segneranno l'apice del folk-rock di stampo Fairport Convention; Dan Ar Braz, che proprio dei Fairport sarà chitarrista per un breve periodo; Alan Cochevelou ovvero Alan Stivell, le barde, il musicista che l'anno prima ha portato la musica bretone all'attenzione di mezza Europa con "La renaissance de l'harpe celtique".
1. Fuga nella tradizione
Sono passati quasi quarant'anni da allora, nel corso dei quali la new age ha gettato una patina di dozzinale spiritualità su qualsiasi sonorità celtica, l'estetica indie ha messo al bando ogni orpello e ogni sentore di fiabesco. Risultato: quella che allora era musica rivoluzionaria, vitale, oggi rischia di simboleggiare l'essenza stessa del vecchio, lo spirito di un'epoca quasi fastidiosa nella sua illusione di poter migliorare le cose anziché semplicemente distruggerle o disinteressarsene.
Eppure, la maturazione del progressive e del folk elettrico già nascondeva una rinuncia. Passando all'età adulta, il rock smetteva di essere arma di cambiamento sociale: coi suoi concept, i suoi mondi immaginari, il ritorno al passato tradizionale, accettava implicitamente il fallimento del progetto hippie, del Sessantotto, della gioventù come motore di cambiamento.
La fuga nel mito, nella fiaba, nella magia è stata un ritorno all'innocenza dopo il "gioco di Prometeo" degli ultimi anni Sessanta. E proprio l'innocenza è uno dei concetti che il "celtic folk" evoca in maniera più forte: riabilitando strutture narrative circolari, spesso prive di ritornelli, rievoca l'infanzia contadina dell'uomo industriale, quella successione di pomeriggi e stagioni che sembrava non dovesse finire mai.
Il naturale contraltare di questo sogno è la malinconia, che nasce dovendone constatare l'impossibilità. È attorno a questo dualismo che ruota l'atmosfera di "À l'Olympia".
2. Blown in the wind of Keltia
Alan Stivell canta in inglese, in francese, in gaelico. Suona il flauto, le cornamuse. E l'arpa: cristallina, sfavillante, è lei più di ogni altra cosa a proiettare fuori dal tempo queste dodici composizioni.
Il resto lo fanno le parole, il rifiuto della contrapposizione strofa/ritornello e il suo corrispondente musicale: quello della dicotomia maggiore/minore. Come molta musica tradizionale europea, quella di area celtica è basata sugli antichi modi, uno per ogni nota della scala.
"An Dro" alterna re eolico (l'usuale "minore") e sol dorico, creando all'orecchio di oggi una sensazione di spaesamento e sospensione che rende difficile individuare il centro armonico. Dalla sospensione armonica al "rapimento" temporale il passo è breve.
Un simile effetto provoca la pentatonica di "The Trees They Grow High", imboccata dalla seconda nota della scala maggiore anziché dalla prima, o dalla quinta come nel blues. La canzone, già resa celebre dai Pentangle (con "Sweet Child"), è nota in Italia in una traduzione di Branduardi
The trees they grow high, the leaves
they do grow green
Many is the time my true love I've seen
Many the hours I have watched him all alone
He's young, but he's daily growing
Father, dear father, you've done me great wrong
You have married me to a boy who is too young
I'm twice twelve and he is but fourteen
He's young, but he's daily growing
Daughter, dear daughter, I've done you no wrong
I have married you to a rich man's son
He'll be a lord for you when I am dead and gone
He's young, but he's daily growing
At the age of sixteen, he was a married man
At the age of seventeen, the father of a son
At the age of eighteen, the grass grew over him
Cruel death put an end to his growing.
The trees they grow high, the leaves
they do grow green
Many is the time my true love I've seen
Many the hours I have watched him all alone
He's young, but he's daily growing
Gli alberi sono alti, le foglie crescon verdi
Da quanto tempo non vedevi il tuo amore,
da tanto, ed oggi è tornato tutto solo:
è giovane ma crescerà.
Padre, o padre, mi hai fatto un grave torto
mi hai dato in moglie a chi è
poco più di un bimbo,
ha quindici anni ed io già quasi venti:
è giovane ma crescerà.
Figlia, o figlia, non ti ho mai fatto torto,
ti ho dato in moglie al figlio di un Signore,
il tuo bambino sarà ricco e rispettato:
è giovane ma crescerà.
Padre, o padre, domani sarò sola,
lo manderanno lontano un anno ancora,
e al suo ritorno avrà un figlio a lui straniero:
è giovane ma crescerà.
Ieri al mattino seduta al tuo balcone
spiavi i ragazzi giocare per la strada,
il tuo vero amore di loro era il più bello:
è giovane ma crescerà.
Un anno dopo aveva preso moglie,
il tempo passa ed è padre di un bambino,
il tempo corre ed il tuo fior sulla sua tomba:
è giovane ma crescerà
I temi che descrivono la condizione umana - passare delle stagioni, perdita della giovinezza, differenze di classe, età, generazione, contrastano con l'impassibilità della natura: mentre gli uomini muoiono, il ciclo delle foglie e degli alberi, alti, superiori, si ripete e rinasce sempre uguale. Si tratta di un topos ricorrente nella musica pre-industriale, che si manifesta prima di tutto sul piano strutturale con la ripetizione di un modulo rigido, specie nel verso finale di ogni strofa.
Lo stesso schema si ritrova a livello musicale, ed è più evidente nei pezzi strumentali orientati alla danza. Ogni brano è basato sulla ripetizione di un paio di moduli ritmico-melodici, con leggere e progressive variazioni dettate dall'inserimento di un numero sempre crescente di strumenti. Gli abbellimenti introdotti sulle figure-base appartengono a un lessico ben consolidato: come sul piano lirico, anche su quello musicale le musiche di area celtica sono fortemente grammaticali e traducono un sistema sociale basato su relazioni inderogabili.
È facile distinguere - non solo dai titoli - le gavotte e i branle di origine bretone ("An Dro", "An Alarch's", "Pop Plinn", "Kost Ar Ch'hoad", "Tri Martolod", "Suite sudarmoricaine") dalle hornpipes e le ballate anglosassoni ("The King Of Fairies", "The Foggy Dew", "The Trees They Grow High").
I pezzi francesi hanno una dimensione più "corale", sono più cadenzati e costruiti su una maggior varietà di frasi secche e asimmetriche. Conservano in questa struttura l'eco dei balli a inchino che accompagnavano e a questo è dovuto il loro suonare particolarmente "medievaleggianti".
3. Faces of granite and faces of angels
Fin qui han fatto tutto i brani da sé: poco s'è detto riguardo all'interpretazione di Alan Stivell e soci. Il loro è stato prima di tutto un lavoro di ricostruzione, volendo perfino di contraffazione. L'"arpa celtica" prima di Stivell in Bretagna non esisteva, né era mai esistita. Ecco gli elementi di arrangiamento dell'introduttiva "The Wind Of Keltia": soffio di hammond chiesastico, erratico tin whistle, arpeggi a cascata, voce delicata e sospesa, chitarra che sfrutta il blues alla maniera di David Gilmour. Tutti convergono, titolo compreso, a creare l'atmosfera incantata della rievocazione - o meglio reinvenzione! - di un mito e un'epoca (curiosamente, con piglio molto più energico faceva lo stesso l'incipit di "Liege & Lief").
Si possono riconoscere due modalità di intervento sui brani: una è quella già esaminata, che punta alla suggestione e opera specialmente sui brani cantati e lenti; l'altra gioca invece sulla rivitalizzazione e sfrutta appieno l'armamentario rock presente sul palco. "Pop Plinn", "Tha Mi Sgith" e "Kost Ar C'hoad" incorporano nel tipico andamento a jam della mustica celtica da ballo stilemi del nascente hard-rock (chitarra blues distorta, eruzioni di organo a base di vibrato) e del progressive-rock di marca Elp. (batteria marziale alternata a venature jazz, ricco interplay ed enfasi solistica).
L'incedere è reso così non solo serrato, trascinante, ma anche fortemente dinamico nel suo avvicendamento di momenti evocativi ed episodi più muscolari.
Gli approcci si combinano in due dei brani-simbolo di Stivell: "Tri Martolod" e "Suite sudarmoricaine". La prima (il titolo significa "Tre marinai") è vivace fin dalla struttura ABAB, e i controcanti della band la fanno espressione di un sentimento corale che finisce per coinvolgere anche il pubblico. "Suite sudarmoricaine", non a caso scelta come bis, fa leva su una struttura particolarmente ripetitiva e quella che è forse la melodia più spigliata del disco (con tanto di "la la la" alla fine di ciascuna strofa), punti di partenza per un crescendo rock in cui l'uno dopo l'altro si inseriscono tutti gli strumenti.
4. Buone notizie per i bretoni/ e maledizione alla Francia! ("An Alarc'h")
Nel live "À l'Olympia", niente è lasciato al caso. Eppure, per quanto "di ripiego" possa essere la foga che anima il revival tradizionalista, la musica di Alan Stivell suona profondamente sentita. Questo anche perché Stivell è fin dagli anni Sessanta il primo alfiere dell'allora nascente movimento autonomista/indipendentista bretone, e per lui riscoprire la propria cultura locale non significa affatto rinunciare alla lotta e ai grandi ideali.
Proprio grazie alla forte connotazione politica, la performance di "À l'Olympia" brilla di una luce che non può essere ricondotta a una semplice somma di parti. Non ricade in quell'intellettualismo che sembrerebbe conseguenza inevitabile di un'operazione di restaurazione tanto artificiosa (lingua, stili musicali, perfino strumenti). Evita anche il machismo kitsch'n'roll che pure è di casa nel più energico rock contaminato di quegli anni.
E soprattutto, a distanza di decenni, conserva intatta la sua carica, la sua vitalità, la limpida eleganza delle sue metafore secolari e del sogno che vogliono evocare.
27/04/2008