Dovendo stilare un'immaginaria classifica degli album più violenti di tutti i tempi, "Atomizer" si collocherebbe sicuramente tra le prime tre posizioni. Steve Albini, vero e proprio deus ex machina dell'underground americano, ci consegna un'opera cruda e iperrealista, un preciso affresco dei peggiori istinti umani aggiornato alle tematiche tipiche della generazione punk.
Partendo dalle pesanti cadenze dei Killing Joke, dalle bordate chitarristiche in stile Chrome e dalle atmosfere malate à la Joy Division, i Big Black approdano a una originalissima e geniale sintesi di musica industriale e noise, un suono abrasivo e ossessivo allo stesso tempo che influenzerà una moltitudine di artisti e capolavori a venire, basti citare Cop Shoot Cop e Jesus Lizard.
Una galleria di deviati, assassini e maniaci popola l'intero disco; le più brutali e animalesche pulsioni umane vengono rese perfettamente dai gesti sonori del gruppo. Nella prima traccia, "Jordan Minnesota" (il cui testo si basa su un fatto realmente accaduto), lo "sgradevole americano" ci illustra la sua personale visione del concetto di schizofrenia; la drum machine e il basso di Dave Riley martellano a più non posso, la continua distorsione delle chitarre di Albini e Santiago Durango (ex Naked Raygun) crea un effetto straniante. L'impianto sonoro è quadrato, calcolato in modo preciso, preveggente anticipazione del math-rock.
"Passing Complexion" annovera il più feroce effetto distorsivo di tutti i tempi, affilata come la lama di un coltello la chitarra ripete all'infinito lo stesso psicotico motivo; difficilmente riuscirete a trovare un qualcosa di più efferato. A ben vedere tutto il credo musicale Albiniano è rinchiuso nella eccessiva e feroce ossessività di questo feedback. "Kerosene" risulta invece più cervellotica; la recitazione e il basso thriller impregnano l'atmosfera di pathos, una sentore di catastrofe imminente accompagna l'ascolto. Le sciabolate di Albini giungono puntuali ed inevitabili, cancellando ogni speranza residua. L'omicidio non potrebbe avere colonna sonora migliore, questa è musica per serial killer. Le tematiche sono più reali e quotidiane che mai: la noia esistenziale come causa ("stare at each other and wait till we die"), l'aberrazione dell'atto criminale come effetto ("Kerosene around, she's something to do").
"Bad Houses" è un solenne e maestoso incubo in stile Suicide, battito alienanti, voce filtrata e chitarra che riempie completamente l'ambiente di dissonanti e sfumate distorsioni. "Fists Of Love" prosegue su questo canovaccio, Albini sfigura in modo preciso e calcolato la monotonia percussiva con effetti chitarristici da Grand Guignol. La dimensione maniacale, è resa sia rallentando la velocità della rhythm box, sia aumentando a dismisura la frequenza e la velocità dello strumento, come ad esempio in "Bazooka Joe" e "Stinking Drunk", dove il magistrale contrappunto fra gli strumenti crea un malefico monolite noise, o in "Strange Things", "semplice" esercizio di minimalismo chitarristico.
Tutte le tracce risultano snervanti, mettono a dura prova la psiche dell'ascoltatore; la sensazione di impotenza davanti all'inevitabile viene amplificata dalla sproporzionata e magniloquente ferocia strumentale. La parabola del rock della depravazione che inizia con i baccanali degli Stones e prosegue con l'heavy metal degli Stooges, trova nei Big Black i naturali prosecutori. La band di Albini sposta il livello di efferatezza musicale e morale a un livello più alto, rendendo l'atto criminale in sé e usando un linguaggio musicale freddo e calcolato, consapevole delle innovazioni apportate dall'avanguardia industriale ma che attinge a piene mani anche dall'hardcore più becero e primordiale.
27/10/2006