Roberto Vecchioni

Elisir

1976 (Philips)
songwriter

Roberto Vecchioni nasce nel 1943 a Carate Brianza, un piccolo comune della provincia di Monza. Laureatosi in Lettere antiche presso l'Università Cattolica di Milano nel 1968, diventerà presto assistente di Storia delle religioni, mentre gran parte dell'attività di insegnante lo vedrà impegnato nei licei classici della provincia milanese. La sua attività da musicista comincia, però, durante la seconda metà degli anni Sessanta, come autore per grandi interpreti quali Mina, Iva Zanicchi, Gigliola Cinquetti e Ornella Vanoni. Ma sarà solo più tardi, nel 1971, che Vecchioni esordirà con il suo primo e vero Lp intitolato "Parabola", immortalato dalla presenza di uno dei suoi grandi classici, ovvero "Luci a San Siro" (interpretata già nel 1968 da Rossano, col titolo "Ho perso il conto"). L'album nel complesso risulta ancora acerbo, con una produzione quasi amatoriale, ma si avvale della partecipazione di musicisti del calibro di Tullio de Piscopo e Franco Cerri.
Nel 1973 Vecchioni decide di partecipare per la prima volta al Festival di Sanremo, portando in gara la suggestiva e autobiografica "L'uomo che si gioca il cielo a dadi" (dedicata al padre e contenuta nel disco omonimo): durante la kermesse, il brano si posizionerà al settimo posto e aprirà la porta a una prima brezza di notorietà. È del 1973 "Il re non si diverte", l'album che segna l'inizio della collaborazione con il produttore Michelangelo Romano, al tempo già fidato regista di Alan Sorrenti.

Il primo tassello indispensabile nella discografia di Roberto Vecchioni sarà "Elisir", uscito nel 1976, un anno piuttosto "movimentato" anche politicamente. Il culmine si raggiunse durante le elezioni politiche del 20 giugno, quando il Pci fece un eccezionale quanto vano balzo in avanti, ma rimase fermo, ancora una volta, al palo. Il quadro definitivo della tornata elettorale evidenziò come i partiti legittimati a governare fossero troppo deboli per esprimere un esecutivo e, d'altro canto, anche come partiti non legittimati fossero così forti da poter esercitare un diritto di veto che di fatto rese inoperante il sistema.
In questo clima di costante incertezza politica, non è difficile rintracciare il senso e gli umori di "Elisir", uscito soltanto a settembre. Il disco si avvalse della collaborazione di Lucio Fabbri (violino e violoncello), di Alessandro Zanelli, bassista del gruppo progressive rock bergamasco Madrugada, ma anche di due componenti dei Nuovi Angeli, Paki Canzi (tastiere) e Mauro Paoluzzi (batteria e chitarre), collaboratori di Vecchioni sin dal 1972.

Elegia di un viaggio irrisolto, tanto drammatico quanto senza tempo, l'album raggiunse il numero 17 della classifica settimanale di Tv Sorrisi e Canzoni, segnando anche il primo ingresso in classifica del cantautore.
"Elisir" viene registrato e mixato presso gli studi Phonogram di Milano da Davide Marinone. La copertina dell'album, ad opera dell'illustratore Claudio Doveri, raffigura il tavoliere del gioco dell'oca, colta metafora della vita quotidiana, con le sue penalità e ripartenze improvvise. La creazione dei brani, invece, viene corroborata dalle influenze più care al cantautore brianzolo: Neil Young (la chitarra di "Velasquez" si ispira a quella di "Cortez The Killer"), Bob Dylan, specie quello di "Desire" [Nota 1], ma anche Claudio Lolli e Angelo Branduardi (i paralleli con quest'ultimo sono evidenti sia nell'utilizzo del violino, sia nell'approccio da filastrocca di alcune melodie).

L'incipit del disco è lasciato a "Un uomo navigato", in cui trionfano gli archi di Lucio Fabbri e i cori di Naimy Hackett (citata nei crediti con il solo nome di Naimis). Vecchioni nel testo affronta se stesso, indicando i tragitti e le scelte fatte nella propria vita, in particolare come artista.
Capolavoro del disco, "Velasquez" è il simbolo di "Elisir", nonché uno dei brani più significativi del cantautorato rock italiano. Uomo schierato politicamente a sinistra da sempre, Vecchioni si dichiara comunista sin dai primi concerti dell'Unità a cui partecipa. Ma il suo rapporto con la politica non aderisce quasi mai agli stilemi e al vessillo del partito, anzi, la sua "Velasquez" diventa pura autoanalisi camuffata da racconto storico, una metafora intensa quanto sofferta dell'uomo Vecchioni, sospeso tra intimità e travaglio politico-intellettuale. Nel brano, il cantautore presenta la figura di Diego Velázquez de Cuéllar, (1465-1524), conquistador spagnolo e governatore di Cuba, attraverso un intenso dialogo con il proprio marinaio. Il topos del viaggio comincia a prendere forma, attraverso una pittura d'ambiente pronunciata, in cui la tempesta - simbolo di sofferenza, tumulto interiore ed eros - evoca la tensione psichica, che può sopraffare ma anche rivitalizzare e purificare l'anima. Vecchioni si sdoppia e ritrova la propria nemesi in Velásquez, ma al tempo stesso prende le distanze dall'eroe, perché l'uomo Vecchioni è capace di farsi contraddizione, con un'accesa volontà di rivalsa sul mondo stesso. Il brano diventa così una confessione della propria incapacità nel credere fino in fondo ai propri ideali, la piena constatazione della politica come una cosa umana. Musicalmente, come si diceva, il brano si ispira al Neil Young di "Cortez The Killer", sebbene l'assolo strumentale che segna l'introduzione di "Velasquez" utilizzi un effetto fuzz molto pronunciato, specie nel sustain, e aggiunga un leggero effetto phaser, così da rendere il tono chitarristico meno sporco. Va inoltre sottolineato come la formazione dei musicisti che accompagnano Vecchioni sia legata al rock progressivo e alla musica folk italiana, e risulta pertanto molto distante dal suono dei Crazy Horse. La canzone termina con una coda di chitarra, basso e batteria lunga più di due minuti, in un andamento ritmico suggestivo e potente.

"A.R." è l'acronimo di Arthur Rimbaud, "un fantasioso, spaventoso e disastrato poeta" come ebbe a definirlo lo stesso Vecchioni durante un live alla Radio Televisione Svizzera del 1984. Come il lettore avrà compreso, è evidente la volontà di intrecciare l'esperienza autobiografica del cantautore e la vita dei grandi poeti. In particolare, tra le pieghe del testo, scorgiamo i nomi di Calvino, Baudelaire, Verlaine e Rimbaud. Un passaggio stilistico illumina la nostra comprensione testuale: nelle due strofe del brano viene enfatizzata la vita del poeta, con un breve racconto in terza persona, mentre nei due ritornelli, Vecchioni torna alla narrazione in prima persona, quasi come se volesse scindere la figura di Rimbaud dalla propria, in un gioco di incastri che evidenzia sì i tumulti esistenziali comuni a entrambi, ma anche la netta contrapposizione della persona quale luogo della coscienza, e dunque un ritorno esistenziale cauto, meno magmatico di quello del poeta di "Una stagione all'inferno" [Nota 2]. Ma la canzone vuole essere anche un monito contro la "vecchia, scassata borghesia", nel tempo di Rimbaud quella del Secondo Impero Francese, quella di Vecchioni la Prima Repubblica democristiana [Nota 3].

"Il suonatore stanco" è un brano apparentemente ironico, ma che porta in nuce una forte critica rivolta agli imbonitori delle case discografiche, i bersagli di questa canzone. Il testo allude alla possibilità di dover giocare duro contro l'omologazione, ma evoca anche immagini mentali significative dell'epica di Vecchioni: è, infatti, eloquente il verso iniziale "Il suonatore stanco/ Ritaglia foto di Dylan con grande maestria/ E poi le appiccica badando alla simmetria/ Era tempo fa/ Era la realtà".
La nostalgia di "Canzone per Francesco" è la cartina al tornasole di una stagione musicale e culturale feconda. La canzone è un ritratto di Francesco Guccini, conosciuto durante la prima metà degli anni Settanta. Il brano - come spiegato più tardi da Vecchioni - è un atto consolatorio, un tentativo di risollevare il cantautore modenese da un periodo personale molto complicato, culminato nella morte di un amico basco e in quella di un amato gatto (trasformato in un cane, per ragioni metriche). Il brano, inoltre, è colmo di citazioni legate in maniera indissolubile a quel preciso periodo storico: gli studenti del Sessantotto nel verso "loro han soltanto meno dubbi e meno anni", mentre il passo successivo riecheggia "Il castello dei destini incrociati" di Italo Calvino. Ma scorgiamo soprattutto una sequenza di immagini riprese dal canzoniere di Guccini, tra cui ricordiamo "Auschwitz" ("Susanna è andata su per il camino"), "La locomotiva", "L'isola non trovata" e infine "Le osterie di fuori porta", i luoghi ideali per perdersi nell'ebbrezza del vino.

Dopo aver scandagliato in lungo e in largo il racconto dell'inautentico, saltellando fra citazioni colte, poeti maledetti e santini di Bob Dylan, è tempo di porgere la mano sul volto di Francesca (chiamata così in onore di Francesco Guccini), in una delle canzoni più celebri del disco: "Figlia" è una dedica d'amore tanto credibile quanto struggente sul senso di essere genitori, ma ancora una volta proietta le vicissitudini del cantautore e il senso di essere un artista "contro". "Figlia" è però anche una fotografia transgenerazionale sui ragazzi di ieri e di oggi, coloro che vivono tra sofferenze più o meno inguaribili. Musicalmente, il brano è tenuto in piedi da pochi accordi di chitarra e da un curioso scacciapensieri che leviga l'atmosfera generale, rendendola più tenue, mentre, in contrapposizione, l'entrata del violino di Lucio Fabbri ha forse l'intento di drammatizzare il contenuto, in un crescendo ritmico e testuale che ha il pregio di non sfociare nel paternalismo.

Per Roberto Vecchioni il grande successo arriverà soltanto un anno dopo, col successivo "Samarcanda", che scalò la classifica fino al secondo posto. A tal proposito, bisogna evidenziare come il cantautore, nel corso della sua carriera, non abbia mai raggiunto il numero 1 nella classifica degli album, piazzando però ventuno dischi in top 10 e quattro al secondo posto. La sensazione, almeno per chi vi scrive, è che Roberto Vecchioni rimanga un artista sì di primo livello, ma costantemente frainteso, capace, però, di plasmare sino in fondo l'anima della canzone italiana e, ancora prima, quella di una città, la sua Milano, sempre bisognosa di luci e di attenzioni.

[Nota 1] Si tiene a precisare che questi paralleli vengono formulati anche nella scheda di "Elisir" su Wikipedia, ma d'altro canto si tratta di rimandi inevitabili, essendo stati ammessi dallo stesso Vecchioni in più occasioni.

[Nota 2] Lo spunto analitico è ripreso dal testo "Canzoni. Con il commento di Massimo Germini e Paolo Jachia di Roberto Vecchioni" (edito da Bompiani).

[Nota 3] L'osservazione viene proposta all'interno del testo "Roberto Vecchioni da San Siro all'infinito" di Paolo Jachia (edito da Ancora Editrice).

21/05/2023

Tracklist

  1. Un uomo navigato
  2. Velasquez
  3. Effetto notte
  4. Le belle compagnie
  5. A.R
  6. Il suonatore stanco
  7. Canzone per Francesco
  8. Pani e pesci
  9. Figlia
  10. Pagando s'intende (canzone degli effetti sbagliati)




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