Non è davvero semplice (o forse, paradossalmente, lo è fin troppo?) raccontare la storia dei Sundays. Le notizie sulla band inglese sono assai scarse, così come scarsi sono gli avvenimenti che hanno costellato la sua vicenda artistica, lunga (si fa per dire) soli sette anni e svoltasi quasi sempre lontano dalle luci abbaglianti del successo, dei riflettori e del divismo, tipiche dell'iconografia pop. Meno di una decade di attività, soltanto tre album incisi per un totale di poco più di due ore di musica suddivise in sole 34 (peraltro spesso bellissime) canzoni (alle quali andrebbe aggiunto, per dovere di cronaca, qualche inedito comparso su un paio di ormai rarissimi e irreperibili cd single): questo è l'essenziale curriculum di una band oggi ormai dimenticata dal grande pubblico ma che tuttavia, lo confessiamo, ci manca tantissimo. Ci manca la sua capacità di confezionare deliziose canzoni indie-pop, delicatamente venate di folk e ben inserite nel fecondo solco "C-86/Sarah Records", che tante gemme ha donato a ogni sensibile cultore della melodia più eterea e sognante. Per fortuna, a testimonianza di tanta grazia perduta, restano quei tre album, quella manciata di canzoni, qualche videoclip che sembra già appartenere a un'epoca lontana e immagini, spesso sgranate, di una ragazza graziosa e un po' paffuta, a volte sorridente, altre volte leggermente imbronciata.
La ragazza si chiama Harriet Wheeler, è nata nel 1963 e, a metà degli anni 80, studia letteratura all'università di Bristol, coltivando contemporaneamente un grande amore per la musica. Dopo una breve esperienza con una oscura e dimenticata band indie-pop chiamata Jim Jiminee, Harriet conosce il giovane chitarrista David Gavurin, per il classico incontro che ti cambia la vita: tra Harriet e David, infatti, nasce un sodalizio destinato a dare frutti estremamente significativi, sia dal lato artistico sia da quello umano. I due cominciano a scrivere canzoni e coinvolgono nell'avventura della creazione di una nuova band il bassista Paul Brindley e il batterista Patrick Hannan (fratello di Nick, uno dei membri dei Jim Jiminee). Con l'aggiunta della sezione ritmica nascono di fatto i Sundays che, nel 1988, cominciano a farsi le ossa esibendosi nei club londinesi e facendosi notare dalle etichette discografiche. La nuova band viene messa sotto contratto dalla Rough Trade per la quale, nei primi mesi del 1989, incide un singolo che ottiene un buon successo e che è il viatico per la pubblicazione di un album che vede la luce nel gennaio del 1990, dopo un anno circa di lavorazione.
Reading, Writing And Arithmetic, prodotto dalla band in collaborazione con Ray Shulman (già bassista dei Gentle Giant e successivamente apprezzato producer), è il disco d'esordio dei Sundays ed è anche il capolavoro della formazione inglese. Un album impressionante, nella sua concisione, che non è mancanza di idee ma ammirevole sobrietà e capacità di sintesi, che già s'intuisce dall'essenziale artwork, caratterizzato solo da un'immagine monocromatica dal sapore astratto e dall'atmosfera un po' inquietante (non si capisce bene se la foto ritragga spirali incise nella pietra oppure fossili). La musica dei Sundays è un indie-pop venato di folk, sognante e gentile, diremmo quasi autunnale nella sua delicata malinconia, spesso attenuata da sprazzi di humour tipicamente inglese, con la fresca e argentina voce di Harriet Wheeler a svettare su una mai invadente sezione ritmica e la chitarra di David Gavurin in bella evidenza a tessere trame sempre originali e mai banali. Le fonti d'ispirazione della band sembrano essere il guitar-pop degli Smiths e le atmosfere eteree e sospese dei Cocteau Twins.
Reading, Writing And Arithmetic è il classico disco perfetto: meno di 40 minuti di musica e nemmeno un solo secondo superfluo o inutile. La raccolta si apre con la notevole "Skin & Bones", con la chitarra di David Gavurin a disegnare "jingle-jangle" di matrice vagamente folk e la voce di Harriet Wheeler che sale altissima a raccontare la raggiunta consapevolezza che, in fondo, tutti noi non siamo altro che "carne e sangue" ("There's something, just something I've found/ It's that we're just flesh and blood/ And we're nothing much more"). Il secondo brano dell'album, "Here's Where The Story Ends", scelto come singolo, riesce a conquistare posizioni alte nelle chart inglesi e garantisce un ottimo traino per l'intero disco. La canzone è senz'altro uno dei vertici della raccolta e, probabilmente, dell'intera produzione dei Sundays: orecchiabile ma non banale, è una deliziosa e scorrevole ballata dal testo amaro e disilluso che racconta delle tristi conseguenze di un anno terribile ("It's that little souvenir of a terrible year which makes my eyes feel sore./ Oh, I never should have said, the books that you read were all I loved you for").
La scaletta prosegue senza cedimenti e, passando dalla movimentata "Can't Be Sure", che intreccia mirabilmente la voce di Harriet con la chitarra di David Gavurin e la sezione ritmica di Brindley e Hannan, alla più introversa "I Won" ("I won the war in the sitting room, I won the war but it cost me/ I won the war and I feel proud, but God only knows why it's hard to get to sleep in my house"), si arriva alla ritmatissima e spiritosa "Hideous Towns" ("Hideous towns make me throw up"), uno dei capolavori dell'album assieme alla successiva, magnifica, "You're Not The Only One", sorta di bizzarra e ironica dichiarazione d'amore cantata con voce sognante da Harriet ("You're not the only one that I know and I'm far too proud to talk to you any day"). Ottima anche la vivace settima traccia intitolata "A Certain Someone", dal testo buffo e capriccioso ("Yeah, if I could have anything in the world for free, I wouldn't share it with anyone else but me/ except perhaps a certain someone"), nella quale, ancora una volta, il perfetto impasto tra la voce della Wheeler, la chitarra di Gavurin e la sezione ritmica di Brindley e Hannan disegna una trama sorprendente per eleganza, fascino e (cosa che non guasta affatto) orecchiabilità.
Gli accenti ironici tornano nel testo della breve ballata folk intitolata "I Kicked A Boy", che descrive una complicata storia d'amore ("When the weather's fine, when it's sunny outside, think about the time I kicked a boy 'til he cried/ Oh, I could've been wrong, but I don't think I was, he's such a child") e nella successiva "My Finest Hour"("The finest hour that I've ever known was finding a pound on the Underground/ We are who we are, what do the others know?/ But poetry is not for me, so show me the way to go home"), ennesima ballata "perfetta" di una raccolta sbalorditiva per l'altissimo livello di tutte le composizioni.
Reading, Writing And Arithmetic ottiene un buon successo di critica e di vendite, con il suo indie-pop semplice, sognante ed elegantissimo, in totale controtendenza rispetto a un anno che vede, nell'ambito rock, la consacrazione della psichedelia shoegaze e l'affermazione definitiva dei ritmi duri (ma sempre in qualche modo assolutamente romantici) del grunge di Seattle.
A questo punto, mentre la discografia si frega le mani in attesa della definitiva affermazione commerciale di una band che, grazie al singolo "Here's Where The Story Ends", si è affacciata in classifica e nelle rotazioni di Mtv, Harriet e soci hanno altri progetti, decisamente meno redditizi, che è possibile già intuire con il successivo album.
Blind, prodotto dalla band in collaborazione con Dave Anderson, arriva nei negozi nell'autunno del 1992, due anni e mezzo dopo l'uscita del disco d'esordio. I Sundays hanno dovuto cambiare etichetta, a causa del fallimento della Rough Trade, e passare così alla Parlophone. La loro musica, però, non è molto cambiata: Harriet e soci scelgono di riproporre il loro indie-pop chitarristico e sognante. Questa volta, però, manca l'ironia sparsa nelle tracce d'esordio, le atmosfere sono più cupe e introverse (come già è possibile evincere dalla tetra e inquietante immagine di copertina, una bambola nuda e senza braccia immersa nell'oscurità) e il folk del primo album viene apparentemente accantonato, in favore di una maggiore attenzione al dream-pop dei Cocteau Twins e alle chitarre elettriche del filone shoegaze che, proprio in quegli anni, con band come My Bloody Valentine, Slowdive, Catherine Wheel, Chapterhouse, Ride e Lush, sta offrendo il meglio di sé.
I riferimenti alla musica dei Cocteau Twins si palesano chiaramente già nella prima traccia, "I Feel", con la chitarra elettrica e distorta di David Gavurin a donare inedite connotazioni acide e psichedeliche a una canzone molto bella ma dal testo triste e amareggiato ("I was dreaming and I'm tired of everyone, here's hoping that you'll go now, so long, leave me alone/ .../ I feel fine, don't wake me up yet cause I feel tired, don't be like that/ We don't need to work any more now, open that ground up and slip down"). Echi dei Cocteau Twins si colgono chiaramente anche nella sognante "Goodbye", uno dei brani migliori della raccolta, che, a dispetto di una melodia "aperta" e ariosa, non rinuncia nel testo a note decisamente melanconiche ("I vow that it's goodbye. I vow that it's goodbye and God bless/ .../ Oh, well, give me an easy life and a peaceful death, yeah").
La scaletta prosegue con tre brevi tracce: "Life & Soul" è poco più di un intermezzo tetro e ombroso, con palesi coloriture "gotiche"; atmosfere sempre malinconiche ma meno opprimenti per "More", con Harriet che descrive un bagno catartico nella pioggia ("And it rained down on me and it seemed to get into me/ it poured down over me, I'm wet through but I still want more"), mentre sulla successiva "On Earth" ancora una volta aleggia il "fantasma" di Elizabeth Fraser. Sempre Cocteau Twins (ma anche echi della psichedelia dei Mazzy Star di David Roback) si colgono nella chitarra acida di David Gavurin e nel canto sognante di Harriet Wheeler nella sesta traccia intitolata "God Made Me", sorta di amareggiata riflessione sull'esistenza di Dio e il libero arbitrio degli uomini ("God made me, that's what they told me before, who knows what they'll say today?/ Because God made me for his sins, imagine my eyes when I first saw we can do what we want").
"Love", il settimo brano della raccolta, è anche quello più immediato, orecchiabile e banale, che, non a caso, viene scelto come singolo, riuscendo a riscuotere un ottimo successo e a trainare l'album verso buoni risultati di vendite. Atmosfere rilassate con qualche increspatura vagamente shoegaze per "What Do You Think?", mentre i due brani successivi "24 Hours" e "Blood On My Hand" sono tra i più introversi, riflessivi e probabilmente sottotono della raccolta. Qualche guizzo in più lo riserva la bella "Medicine" che, nonostante le atmosfere ariose e distese, non rinuncia a un testo malinconico e disilluso ("Now I know it's hopeless and I realize it's nowhere, hell here on my own").
In definitiva, Blind è un disco cupo e introverso, con qualche coloritura gotica e persino shoegaze, che procede tra alti e bassi, prendendo strade diverse dalle melodie frizzanti e cristalline dell'album d'esordio. Un buon lavoro, sicuramente, ma un evidente passo indietro rispetto a un predecessore a dir poco folgorante. Il disco ottiene comunque un discreto successo e i Sundays partono per promuoverlo in un tour mondiale, prima di godersi un meritato periodo di pausa, durante il quale Harriet Wheeler e David Gavurin decidono di sposarsi. Dalla loro unione nasceranno due figli.
Il terzo e ultimo disco dei Sundays arriva solo nel settembre del 1997, ben cinque anni dopo il predecessore, e già questa lunga attesa chiarisce ulteriormente quanto Harriet e soci siano poco interessati alle logiche commerciali che dominano il lucrativo mondo del pop da classifica. Il nuovo lavoro della band, pubblicato ancora una volta per la Parlophone, s'intitola Static & Silence, è prodotto dalla coppia Wheeler-Gavurin e, già dalla bellissima copertina (una gigantesca luna immersa nella quiete del crepuscolo incombente), s'intuisce che le tetraggini di Blind sono state accantonate, così come le venature elettriche di stampo shoegaze che avevano caratterizzato quell'opera: i Sundays ritornano decisamente al folk e alle atmosfere rilassate del disco d'esordio. Questa volta, però, la strumentazione è più ricca e variegata, potendo contare sul contributo di diversi musicisti aggiunti, Dave Anderson e Kev Jamieson (già leader dei Jim Jiminee) al piano e all'organo Hammond, Martin Ditcham e Dave Pulfreman alle percussioni, Audrey Riley agli archi e Martin Green ai fiati.
Il manifesto del nuovo corso è senz'altro la bella e vivace "Summertime", che viene scelta come singolo ottenendo un buon successo. La melodia è aperta e piacevole, con i fiati di Martin Green a renderla ulteriormente fresca e ariosa e con un testo romantico e scanzonato, decisamente lontano dalle cupezze di Blind ("And it's you and me in the summertime, we'll be hand in hand down in the park/ With a squeeze and a sigh and that twinkle in your eye and all the sunshine banishes the dark"). Romantico è anche il tema della delicatissima "Homeward", che sembra raccontare le pene di un amore perduto ("You've stolen my heart and it hurts me to remember now where'll I go to living alone?/ And a butterfly in the wind is drifting like I do"), mentre il brano successivo, intitolato significativamente "Folk Song", nella sua pacata lentezza, sembra quasi citare la Joni Mitchell di "Blue". Gli archi di Audrey Riley e atmosfere decisamente più elettriche impreziosiscono la ritmata "She", che sembra a sprazzi evocare l'alt-country dei canadesi Cowboy Junkies, così come l'eterea e sognante "When I'm Thinking Of You", dal bellissimo testo "impressionista", che nasconde l'ennesima romantica dichiarazione d'amore ("Over the rooftops, a plane in the sky, beat of a bass drum, cars passing me by/ Under a bridge dark then back into light, a river of raincoats and a forest of faces/ Still for a moment then red into green, slow shuffling shoes whisper sight unseen/ Row upon row of houses return an empty stare, let me daydream for a little while longer/ Ah, hope I'll never wake when I'm thinking about you"). Ancora i fiati di Martin Green in bella evidenza per la breve "I Can't Wait", mentre la chitarra elettrica di David Gavurin aggiunge nerbo e sostanza ad "Another Flavour".
Dopo le atmosfere pensose e sofferte di "Leave This City" ("Drive wherever the roads will take you to, down beside a river, frozen brown/ January days and their scarecrow trees, so cold, feel your ears burn/ See you walking, see you talking/ Feel the city inside you, ooh, leave this city behind you") e le riflessioni piacevolmente malinconiche delle gradevoli e pacate "In Your Eyes" e "Cry", il disco (e anche la storia dei Sundays) si conclude con "Monochrome", suadente ballata che, di nuovo, sembra citare l'elegante folk di Joni Mitchell e che, nel testo, contiene riferimenti al titolo dell'album e alla luna ritratta in copertina ("They're bringing the moon right down to our sitting room, static and silence and a monochrome vision").
Un buon disco, Static & Silence, dalle atmosfere raffinate e rilassate. Pur non rinunciando talvolta a testi malinconici e riflessivi, i Sundays riescono a far dimenticare il mood oscuro che aveva forse appesantito Blind, pur non riuscendo nemmeno lontanamente a rinnovare i fasti dell'inarrivabile esordio Reading, Writing And Arithmetic.
A questo punto, con la stessa semplicità riversata nei solchi dei loro dischi, dimostrando ancora una volta di essere lontani anni luce dallo scintillante divismo pop, Harriet Wheeler e David Gavurin scelgono di abbandonare il mondo della musica e di dedicarsi alla loro famigliola. E così la storia dei Sundays si chiude definitivamente: della band inglese ci restano tre elegantissimi album, una manciata di splendide canzoni che proprio non riusciamo a dimenticare e qualche immagine, lievemente sgranata, di una ragazza graziosa e a volte un po' imbronciata che, ancora oggi, ci piace pensarlo, ovunque ella sia indaffarata nelle piccole grandi cose che riempiono d'immenso la nostra quotidianità, ripensa a quei giorni ormai lontani nei quali ha seriamente rischiato (ma mai veramente creduto) di diventare una stella del pop. E, forse, al pensiero, un sorriso gentile le illumina il viso.
Reading Writing And Arithmetic (Rough Trade, 1990) | 8 | |
Blind (Parlophone, 1992) | 6,5 | |
Static & Silence (Geffen, 1997) | 7 |
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