Si possono scrivere tantissime cose a riguardo degli Xiu Xiu, se si ascoltano con attenzione gli undici episodi contenuti nel loro debutto "Knife Play" non possono sfuggire i "nobili" riferimenti del quartetto di San Diego (poi un giorno si dovrà capire perché una città tanto assolata come San Diego sforni solo gruppo oscuri); il loro è un crossover che mai si sarebbe immaginato tra gli inquietanti synth dei Suicide e dei New Order, con un cantante figlio delle più cupe ossessioni di Mark Hollis e Ian Curtis, dove al posto delle chitarre (presenza quasi impalpabile) si fanno spazio sintetizzatori, fiati, harmonium, mandolino ecc.. Ma badate bene, qui non si parla di copia carbone dei gruppi appena citati, ma solo della completa devozione dell'attitudine di tali gruppi.
Le canzoni, partendo da una base perennemente oscura e tesa grazie ai glaciali giochi di synth, si armonizzano alla perfezione col cantato di Jamie Stewart che si cala perfettamente nella parte di dissociato e "diverso", con momenti che vanno dalla calma (apparente) di "Homonculus" sino a sfociare in agghiaccianti crolli nervosi degni dei Suicide (le urla di "I Broke Up" sembrano provenire direttamente da "Frankie Teardrop"), echi di quello che potevano essere i New Order con Ian Curtis alla voce ("Poe Poe") e dei Talk Talk virati electro ("Suha").
Se qualcuno definisce la loro proposta new wave non sbaglia di una virgola, ma in questa circostanza le definizioni passano in secondo piano, gli Xiu Xiu sono, come si dice in questi casi, "here to stay".
07/11/2006