Fino a qualche tempo fa, era facile immaginare i Belle And Sebastian come un gruppo di timidi amici scozzesi riuniti nella loro cameretta ad ascoltare qualche vecchio vinile... I ragazzi di Glasgow, infatti, erano talmente schivi rispetto alla routine di servizi fotografici, interviste e tour da sembrare miracolosamente immuni alle leggi dello showbiz.
Così, quando nella primavera dell'anno scorso i Belle And Sebastian sono sbarcati per la prima volta sui lidi italici, in molti sono rimasti un po' spiazzati dalla colorata euforia di una band insospettabilmente "glamourosa", ben lontana dall'immagine di introversa malinconia su cui si era tanto fantasticato: il leader Stuart Murdoch in giacca e cravatta stile dandy, la violoncellista e vocalist Isobel Campbell con un clamoroso abitino con gigantografia del Dylan elettrico, il chitarrista Stevie Jackson impegnato a scherzare senza sosta con il pubblico... sull'onda del famigerato fenomeno NAM, i Belle And Sebastian si sono rivelati come un estroso caleidoscopio di beat Sixties, piuttosto che come i custodi delle armonie più intimiste e sussurrate.
La formula della band, così suadente e così ingenua al tempo stesso, è sempre stata basata su un fragile equilibrio di sensibilità pop: apparsa con fragrante semplicità nel 1996 con il prezioso esordio "Tigermilk", già con il secondo album si è consolidata in uno stile assolutamente peculiare, conferendo la magia del capolavoro a "If You're Feeling Sinister". Le variazioni sul tema dei successivi "The Boy With The Arab Strap" e "Fold Your Hands Child, You Walk Like A Peasant" (oltre alle gemme disseminate nei vari Ep), pur senza introdurre grandi sorprese, non hanno fatto altro che rinnovare l'incantesimo di una musica sognante come una favola per bambini.
Nel frattempo, le cose hanno cominciato a cambiare per Stuart Murdoch e soci: la notorietà crescente e soprattutto l'abbandono prima di Stuart David e poi di Isobel Campbell (il primo per dedicarsi ai Looper e alla sua carriera di scrittore, la seconda per concentrarsi sui Gentle Waves e su un futuro progetto solista) hanno contribuito a privare la band di alcune di quelle sfumature che rendevano più variegate le tinte pastello dei propri quadretti acustici.
Dopo un episodio decisamente prescindibile come la colonna sonora del film di Todd Solondz "Storytelling", il nuovo "Dear Catastrophe Waitress", che segna il debutto con la mitica etichetta Rough Trade di Geoff Travis, si presenta così come il lavoro più carico di attese della storia del gruppo, da tempo sospeso tra un seguito di culto e l'aspirazione alle (improbabili) luci della ribalta del pop. E l'impressione è che, quando cercano di prendere la via più facile, i Belle And Sebastian finiscano con il perdere per strada quella grazia e quel senso della misura che hanno segnato i loro episodi migliori.
A cominciare dal singolo "Step Into My Office, Baby", accompagnato da un video trash che sembra avere ben poco a che vedere con l'elegante ironia a cui la band ci ha abituato, sembra proprio che certe stucchevoli suggestioni vagamente easy listening, per quanto molto trendy, manchino di quel gusto senza cui è fin troppo facile cadere nella leziosità.
La temuta produzione di Trevor Horn, già sodale di gente come Frankie Goes To Hollywood e ultimamente mentore del fenomeno T.A.T.U., non ha snaturato il suono della band, che al massimo appare un po' più "ripulito" del solito: certo, però, che la scivolata verso il synth-pop di "Stay Loose" (niente a che vedere con il sapore vintage e naïf della vecchia "Electronic Renaissance") non è sicuramente la migliore chiusura che ci si potesse aspettare per un disco del genere...
Nonostante le cadute di tono, comunque, non mancano i brani destinati a inserirsi a pieno titolo tra i classici della band (che stavolta compare sullo sfondo della foto di copertina, in una specie di ristorante italiano da cartolina...), come "If She Wants Me", con i suoi irresistibili falsetti funky, le briose "I'm A Cuckoo" e "If You Find Yourself Caught In Love", l'attacco byrdseggiante di "Wrapped Up In Books" o la più morbida e ariosa "Lord Anthony".
L'ispirazione letteraria di Stuart Murdoch regala ancora versi degni del songwriting di Morrissey ("I wrote a letter in a nothing day / I asked somebody 'Could you send my letter away?'/ 'You are too young to put all your hopes in just one envelope'"), mentre gli arrangiamenti orchestrali e il clima solare del disco sono la naturale prosecuzione di quanto mostrato dai Belle And Sebastian nel precedente album, anche se la lista degli "additional musicians" cresce sempre più, a testimonianza di un suono sempre più ricercato e a tratti sovrabbondante, ma pur sempre capace di inanellare melodie beatlesiane che si appiccicano inevitabilmente alla memoria.
"Dear Catastrophe Waitress", insomma, trascorre in maniera gradevole ma fin troppo stilosa, ricalcando gli standard della band senza riuscire sempre a emozionare, come quando le citazioni dei Love di "Forever Changes" o dei Simon & Garfunkel più zuccherosi si fanno scoperte o quando in "Asleep On A Sunbeam" compare il fantasma della voce infantile di Isobel Campbell: ma niente paura, non si tratta di un inquietante fenomeno di clonazione, stavolta (e a onor del vero non è la prima) a cantare è la violinista Sarah Martin...
Alla fine, il consiglio che nasce più spontaneo per i nostalgici delle atmosfere di "If You're Feeling Sinister" è quello di provare ad ascoltare il nuovo "A Minor Revival" degli australiani Sodastream: "Blinky" è la migliore canzone dei Belle And Sebastian che Stuart Murdoch non ha mai scritto.
26/10/2006