Negli ultimi tempi l'ombra sghemba ed eccentrica di Syd Barrett sembra essere tornata inaspettatamente alla ribalta: ma non è tanto la recente pubblicazione di un dvd antologico sulla carriera del "diamante pazzo" e dei Pink Floyd a rivelarlo, quanto piuttosto la rinnovata attenzione che circonda sempre più alcune figure follemente "devianti" del panorama musicale, che proprio nel genio di Cambridge trovano inevitabilmente il loro archetipo.
Basti pensare all'eco avuta dall'ultima controversa uscita di un personaggio come Daniel Johnston, i cui strambi e struggenti lamenti, grazie alla produzione di Mark Linkous degli Sparklehorse, hanno abbandonato il terreno dell'improvvisazione per abbracciare una più classica forma-canzone, rendendo "Fear Yourself" uno degli album più discussi della stagione.
E se Daniel Johnston rappresenta il lato più oscuro e tormentato dell'eredità barrettiana, Robyn Hitchcock può essere considerato senz'altro il legittimo depositario della sua parte più svagata e onirica.
La recente reunion dei suoi Soft Boys, indimenticabile gemma psichedelica degli anni Ottanta, ha fruttato l'anno scorso lo scintillante "Nextdoorland", ma l'umorale Robyn ha già dichiarato che anche quell'esperienza deve ritenersi conclusa, perché gli aveva creato attorno troppa pressione. Eppure la sua musa continua a essere tutt'altro che assopita se, dopo il ritorno al rock acido e fuori dal tempo della vecchia band, è già riuscita a regalarci i nuovi incanti solistici di questo "Luxor". Stavolta c'è spazio solo per gli accordi di una chitarra acustica, con qualche nota di piano, di tastiere, di armonica e di elettrica a rendere a tratti più prezioso l'ordito: ma lo spirito lisergico è sempre lo stesso, anche se rivestito di un intimismo che trova nel folk britannico e nel blues delle origini le proprie radici più autentiche.
A rendere memorabili tanto la vivacità di "One L", "Ant Corridor" e "Solpadeine" quanto la delicatezza di "You Remind Me Of You" o "Idonia" è però soprattutto la voce di Robyn Hitchcock, splendidamente arrochita dall'età e capace di sfiorare corde inconfondibilmente dylaniane, regalando sfumature piene di pathos alle proprie interpretazioni.
D'altra parte, non ci si potrebbe aspettare certo di meno da un artista che ha da pochi mesi sfornato un doppio cd di cover interamente dedicato proprio a Robert Zimmermann, nel quale è immortalato anche un concerto del 1996 (data non casuale...) in cui Robyn Hitchcock si diletta a ripercorrere fedelmente il leggendario bootleg "Royal Albert Hall" di Mr. Dylan (quello pubblicato su "Live 1966", per intendersi), compresa l'invettiva "Judas!" urlata dal pubblico.
In fondo è anche per imprese come questa che le bizzarrie dell'ex-"ragazzo soffice", a parte un paio di strumentali tutto sommato prescindibili e qualche divagazione meno riuscita, sono sempre qualcosa di cui è bello innamorarsi.
28/10/2006