Veils

The Runaway Found

2004 (Rough Trade)
pop-rock

Il ricordo come momento catalizzatore di malinconia e poesia. Ecco il perno attorno a cui ruota questo primo album di una giovanissima band inglese guidata da Finn Andrews, figlio del primo tastierista degli XTC. Musica tutta albionica che si trascina però tra le pianure immense e desolate dell’America tanto cantata da poeti e musicisti, tra luoghi solitari e vuoti in cui può prendere corpo l’immagine non recisa dal tempo, la scintilla che illumina la nebbia che la circonda, la sensazione di una perdita tanto definitiva quanto baluginante. Una musica che, avvalendosi della dolcezza agrodolce come mezzo espressivo, genera un suono flebilmente prospettico, profondo, mai bidimensionale, metaforica espressione delle vastità evanescenti evocate dalla malinconia.

Il passato scorre come in un vecchio filmino, la sua stringente necessità, il sapore come del sale sulle labbra quando, di fronte al mare, nella sua immensità si rispecchiano i ricordi sbiaditi, opacizzati dal tempo. E proprio quest’ultimo innerva i dieci pezzi di questo splendido esordio, assumendo connotati spaziali, facendosi luogo sonoro in cui il passato diviene lontananza, la perdita un crepuscolo, la malinconia irraggiungibilità.

"The Runaway Found" colpisce dritto alla pancia, evoca sensazioni, è fatto di carne e vibrazioni, non è materia per il cervello. Supremo creatore di questo universo è un ragazzo appena ventenne, dall’aspetto efebico, lo sguardo cupo, un Oscar Wilde gettato nel contesto urbano contemporaneo, perfettamente a suo agio nei chiaroscuri della vita. Come lo Springsteen degli anni d’oro, ritroviamo in lui la stupefacente capacità (linguistica e sonora) di conferire poeticità al quotidiano, al gesto apparentemente più banale che schiude all’occhio meravigliosi oltre in bianco e nero. Episodi memorabili in tal senso sono il primo singolo dell’album ("Lavinia"), una meteora oscura che attraversa il cosmo gravida di un amore ancora sanguinante, "The Leavers Dance", impressionistico e delicato tratteggio di due animi danzanti nel dolore che sbiadisce ("And though my head my hands are growing colder/ we move in circles now") e la toccante "The Valleys of New Orleans", piano e voce che si dissolvono in vortici di sabbia. "The Nowhere Man" fa infine rivivere uno spazio dimenticato, quello riempito dal calore di un affetto antico che cavalca i docili arpeggi di chitarra e le morbide elasticità di archi e parole.

Pop d’autore di un figlio d’arte che non dimentica di citare i padri ("More Heat than Light" i Velvet Underground, "Guiding Light" i Television, "The Leavers Dance" Springsteen), ma che sa scalfire l’immortalità donata dall’arte con la sincerità e la profondità, doti tutt’altro che scontate nell’onnivoro mondo dell’industria musicale d’oggi.

12/12/2006

Tracklist

1. The Wild Son
2. Guiding Light
3. Lavinia
4. More Heat Than Light
5. The Tide That Left And Never Came Back
6. The Leavers Dance
7. Talk Down The Girl
8. The Valleys of New Orleans
9. Vicious Traditions
10. The Nowhere Man

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