Ripresentarsi dopo sei anni di silenzio (eccezion fatta per il live "All That Could Have Been" e le piccole gemme nascoste in "Still", bonus disc allegato al suddetto live) senza apportare sostanziali novità alla propria formula sonora può essere indiscutibilmente motivo di delusione per i fan e gli estimatori di Trent Reznor, e argomento forte nelle mani dei detrattori. In effetti, il genio di Mercer, Pennsylvania, c'aveva abituato finora talmente bene che questo nuovo album pare a un primo approccio essere un episodio minore della sua scarna, ma eccezionale discografia.
Delle innumerevoli strade esplorate in "Fragile", Reznor sceglie di approfondire quelle che già in quel disco diedero risultati memorabili in brani come "We're In This Together", "The Day The World Went Away" o "The Fragile". Sceglie di tuffarsi in strutture dirette e meno complesse, che diano risalto a voce, parole, melodie, ritornelli come forse mai aveva osato fare finora. Senza rinunciare ad alcuno dei marchi di fabbrica del Nine Inch Nails sound, Reznor confeziona finalmente ciò verso cui tendeva da sempre la sua arte: confeziona una raccolta di canzoni. E basta. Perché se qualcosa di "With Teeth" colpisce forte l'attenzione, è proprio il suo essere un disco fatto prima di tutto di melodie, di quelle melodie oblique eppure eccezionalmente accattivanti di cui Reznor è sempre stato maestro. Ed è un disco sconsolato e intimista, come e più di quanto lo fosse "The Fragile": Reznor sembra guardarsi attorno e vedere solo vuoto, distanza, solitudine: non serve più fare ricorso alla violenza ("The Downward Spiral"), se non in episodi isolati come "You Know What You Are" e, in misura minore, "Getting Smaller"; non servono più catartici flussi di coscienza e maniacale ricerca di nuovi punti di partenza ("The Fragile").
Quello che si agita tra le righe di "With Teeth" è un Reznor forse finalmente in pace con sé stesso, ma per nulla pacificato con il mondo che lo circonda. Ma non c'è più nemmeno rabbia: sembrano esserci solo un sottile e distaccato sconforto, ci sono rimpianti e riflessioni dolorose (su tutte la struggente "Right Where It Belongs"). È un Reznor che si guarda indietro, che guarda a un passato anche lontano ("Only" arriva dritta dagli anni Ottanta senza il minimo tentativo di "modernizzazione", ma è pure uno degli episodi meno convincenti del disco insieme al debole singolo "The Hand That Feeds", mentre l'operazione-nostalgia riesce meglio in "Sunspots"), alla ricerca di un rifugio sicuro nel quale essere semplicemente sé stesso. E Reznor è sempre stato prima di tutto un cantautore nel senso più classico del termine: questa sua anima esce finalmente allo scoperto e a nulla serve stavolta il solito, eccezionale, lavoro sui suoni: le alchimie produttive ordite da Reznor e dal suo fidato mago da studio Alan Moulder non possono più nascondere la natura "pop" delle canzoni dei NIN: ed ecco allora che l'iniziale "All The Love In The World", che parte in sordina con voce e melodia trincerate dietro un guardingo drum 'n bass, prende via via coraggio e si trasforma in un coro cadenzato che più pop non si può. Ed ecco soprattutto autentici gioielli come la trascinante "The Collector" e come, soprattutto, "Every Day Is Exactly The Same", che col suo immediatissimo ritornello e un crescendo emotivo come solo Reznor sa fare, rappresenta meglio di ogni altro pezzo il tono dell'album.
Se nella parte centrale Reznor tradisce preoccupanti vuoti di ispirazione, gli episodi conclusivi dell'album si collocano su livelli degni dei vecchi capolavori: "The Line Begins To Blur", strofa acida e pesante che si distende in un ritornello epico e sconsolato: da manuale; "Beside You In Time", un incantesimo: Reznor sussurra una ninna nanna, e il mixer la annega in un oceano di feedback deformati, reiterati, sfibranti, fino all'esplosione finale, ancora più ovattata e onirica. E dalle sue ceneri prende vita la già citata "Right Where It Belongs", intensa, disperata confessione degna erede della mitica "Hurt", con uno dei testi più belli mai scritti da Reznor.
Alla fine, con Reznor tornato a chiudersi nella sua "Home", eccoci qui storditi da sensazioni contrastanti: c'è, inutile negarlo, una punta di delusione, ma perché dopo tanti anni ormai troppo alte erano le aspettative, e perché in ogni caso l'ispirazione e la fantasia del nostro non sono più al 100 per cento. Reznor sembra intimorito, non vuole (non sa?) più osare soluzioni sorprendenti: si limita - si fa per dire - a giostrare, con innegabile onestà e passione, sulla sua classe e sui suoi inimitabili marchi di fabbrica. Così stanno le cose, molto semplicemente, con buona pace di sostenitori e detrattori. Tra le maglie imperfette e lo scorrevole fluire di questo album, i tesori non mancano, Reznor non ha mai cantato così bene e della qualità sonora, beh, è perfino superfluo parlare. Coi suoi pregi e difetti, "With Teeth" è nulla più che l'opera minore di un artista superiore.
1. All The Love In The World
2. You Know What You Are?
3. The Collector
4. The Hand That Feeds
5. Love Is Not Enough
6. Every Day Is Exactly The Same
7. With Teeth
8. Only
9. Getting Smaller
10. Sunspots
11. The Line Begins To Blur
12. Beside You In Time
13. Right Where It Belongs