My Bloody Valentine

My Bloody Valentine

Il tormento e l'estasi

Partendo dal dark-punk e dal noise-pop, gli irlandesi My Bloody Valentine sono approdati a una singolare commistione tra acid-rock psichedelico e atmosfere eteree, che passerà alla storia sotto il nome "shoegazing". Un macigno di suoni caotici, stratificati e sovrapposti, che non concede pause, che trascina in un viaggio che è insieme infernale e celestiale

di Claudio Fabretti, Mauro Roma

La stampa inglese, che più di tutto ama affibbiare etichette improbabili, se non totalmente strampalate, li chiamò gli "shoegazers", i "fissascarpe", per la loro abitudine, nemmeno poi così strana, a starsene a capo chino sugli strumenti durante i concerti, negandosi anche la minima forma di comunicazione con il pubblico. La spiegazione poteva cercarsi magari nel fatto che i cosiddetti "shoegazers" (vanno doverosamente citate band come Slowdive, Ride o Pale Saints) erano tutt'uno con la loro musica, o meglio con i loro inestricabili grumi sonori, con le loro chitarre sovraccaricate di feedback ed effetti stranianti e stordenti, con le voci e le melodie appena abbozzate, bisbigliate e sommerse da un oceano di rumore.

La strada fu aperta a metà anni 80 dagli scozzesi Jesus & Mary Chain, ma furono gli anglo-irlandesi My Bloody Valentine a elevare questo stile ai suoi livelli più eccelsi. La ricetta inventata dai Jesus & Mary Chain era di una semplicità estrema: innocue melodie pop nel più puro stile britannico venivano sistematicamente e brutalmente violentate da chitarre distorte ai limiti del noise. Ma laddove gli scozzesi erano ancora in qualche modo legati ai canoni della "canzone", i My Bloody Valentine, guidati dal chitarrista Kevin Shields, portarono questa ricerca sonora verso lidi totalmente inesplorati.

Dopo anni di Ep e cambiamenti di formazione la parabola dei "veri" My Bloody Valentine (cioè il quartetto formato da Kevin Shields e Bilinda Butcher, voci e chitarre; Debbie Googe, basso; Colm O'Ciosoig, batteria) durò praticamente lo spazio di due soli, straordinari album, Isn't Anything e Loveless. In questi due lavori è racchiusa tutta l'enorme portata innovativa della loro opera, una vera e propria rivoluzione che avrebbe segnato molto del rock a venire: quello realizzato da Shields e compagni è un ibrido pressoché inconcepibile, eppure grazie a loro diventato realtà, tra le armonie stravolte dal rumore dei Velvet Underground e quelle fragili e sognanti dei Cocteau Twins; i My Bloody Valentine erano garage-rock e acid-rock, erano la psichedelia più lisergica e il dark-punk più oscuro, erano una pop-band di stampo beatlesiano travestita da noise-band "radicale", e viceversa. Erano tutto e il contrario di tutto.

La storia dei My Bloody Valentine comincia nei primi anni 80 in Irlanda, in piena cultura batcave, all'insegna di lugubri scenari dark-punk. È a Dublino che Kevin Shileds e l'amico batterista Colm O'Ciosoig si mettono in luce con il nome di Complex. Quindi, i due si trasferiscono a Berlino dove, nel 1984, ingaggiano il cantante Dave Conway e la tastierista Tina, pubblicando per la tedesca Tycoon This Is Your Bloody Valentine, mini Lp col nuovo nome della band (ispirato da vecchio film horror). È un disco cupo e furioso, nello stile di Birthday Party e Stooges. Il loro retroterra "gotico" riecheggia in brani di rock'n'roll trascinante, in bilico tra Cramps e Doors, come "Homelovin' Guy" e "Love Gang".

Un anno dopo i My Bloody Valentine sono di nuovo a Londra con una nuova formazione (fuori Tina, dentro la bassista Debbie Googe) e un nuovo Ep, Geek (ancora influenzato dal gotico, con brani cupi alla Nick Cave come "No Place To Go" e "Love Machine"). È allora che Joe Foster della Kaleidoscope li ingaggia per una serie di mini-cd. Il primo, il 12 pollici The New Record By My Bloody Valentine, comincia a mettere a fuoco il progetto musicale di Shields e soci: un incrocio di umori psichedelici e chitarre fuzz che appare tuttavia ancora acerbo e approssimativo (la delicata e naif "Lovelee Sweet Darlene").

Trascorrono pochi mesi e un altro Ep (Sunny Sundae Smile), prima del nuovo e definitivo cambio di formazione: fuori il cantante Dave Conway, destinato alla carriera di scrittore di fantascienza, e dentro l'affascinante chitarrista e vocalist Bilinda Butcher. Con questo assetto la band pubblica prima l'interlocutorio Strawberry Wine, quindi l'Ep della consacrazione: Ecstasy, uscito nel 1987 per la Lazy Records in tremila copie, tutte sparite in un paio di settimane. Il disco viene definito dalla critica "un incrocio tra i Velvet Underground e i Cocteau Twins". Ma il riferimento principale è il punk-pop sinistro e distorto dei Jesus And Mary Chain, mitigato da una vena psichedelica presa in prestito dall'acid-rock dei 60 e da uno spiccato gusto per l'etereo.

Preceduto dal deflagrante singolo "You Made Me Realise", alla fine del 1988 arriva Isn't Anything, primo vero album per la band di Shields. Giocando sulla resa ipnotica delle distorsioni e sulle "glide guitar" (un'esasperazione dell'effetto di tremolo), i My Bloody Valentine disegnano un intenso itinerario di stordimento, estasi e tormento, dolcezza e aggressività. Un travolgimento emotivo segnato dal contrasto fra l'impalpabile e sofferta voce di Bilinda e il muro di chitarre impastate di suono di Shields. Brani come "Soft As Snow" (riecheggiante i Beatles di Day In The Life) e "Cupid Come", nel solco dei Velvet Underground, sembrano ancora preda del passato. Ma "Feed Me With Your Kiss", "You're Still In A Dream", "You Never Should", "Lose My Breath" e "No More Sorry" delineano in modo piu' chiaro lo scopo del loro progetto musicale: raggiungere una sorta di "nirvana acido" attraverso sonorità sfumate, ronzii eterei, vortici di dissonanze. La cantilena lisergica di "Several Girls Galore" conferma l'approdo nel terreno della psichedelia. Grazie soprattutto a questo disco i My Bloody Valentine diventano un "caso internazionale", cominciando a esercitare una notevole influenza sulla scena indie-rock britannica e gettando le basi - parallelamente ai Cocteau Twins - per la nuova generazione "dream-pop".

Seguono altri due Ep (il languido Glider e il più manieristico Tremolo), che precedono l'uscita di quel Loveless destinato a essere ricordato come il capolavoro della band di Shields. Un macigno di suoni caotici, stratificati e sovrapposti, che non concede pause, che trascina in un viaggio che è insieme infernale e celestiale. Il tutto orchestrato dal luminoso e folle genio di Kevin Shields, che ha scritto, arrangiato e prodotto l'album: ed è sempre lui che, facendo largo uso di campionamenti e manipolazioni di ogni genere, è riuscito a deformare la musica fino a renderla un unico, compatto, muro di suoni stranianti e martellanti, toccando spesso e volentieri la pura avanguardia.
L'iniziale "Only Shallow", con quel suo impasto di strati e strati di chitarre instabili e tremolanti, quel ritornello squarciato dall'elettronica, la voce della Butcher dolce e distante come quella di un angelo (o di un diavolo tentatore?), il tutto condotto a ritmi trascinanti, è subito rappresentativa delle intenzioni di Shields. A contare non sono più le canzoni o le melodie in sé (che pure sono bellissime nella loro semplicità), ma i vortici di suoni amalgamati tra di loro fino a formare un unico insieme che potrebbe continuare a fluttuare così, senza peso e senza forma, per minuti e minuti (non a caso dal vivo le canzoni venivano dilatate a dismisura). "Loomer" è un brano che in altre mani sarebbe terrorizzante, un potenziale hardcore di potenza tellurica, ma con i My Bloody Valentine, grazie al contrasto con la voce sempre più eterea e impalpabile, anche il rumore più aggressivo diventa estasi paradisiaca.
Il capolavoro nel capolavoro, un brano più unico che raro, che dimostra l'autentico genio musicale di Kevin Shields è "To Here Knows When", ovvero un tentativo inedito e probabilmente ineguagliabile di noise "da camera": la melodia c'è ed è dolcissima, lontana, quasi subliminale, sepolta sotto tonnellate di rumore, mentre la distorsione estrema ed informe della chitarra è qui accoppiata ad un quartetto d'archi "artificiale", ma nessuno di questi elementi è in contrasto con l'altro, tutto si fonde alla perfezione, con una naturalezza sconcertante.
I brani centrali sono più regolari, veloci e potenti come si conviene a una vera rock-song, salvo essere qua e là solcati e resi "estranei" da strambi motivetti elettronici: ma poi si ascolta una canzone come "Come In Alone" e come per magia siamo tornati nei Sixties ad assistere a un immaginario duetto tra i Beatles e i Velvet Underground, ennesima dimostrazione di come il genio dei My Bloody Valentine sia tutto nella loro abilità davvero unica a rendere omogeneo ciò che apparentemente sembra inaccostabile.
"Sometimes", introduce anche la chitarra acustica ad accompagnare il sussurro malinconico di Shields, ma il sottofondo noise è sempre lì, incombente e tumultuoso, pronto in ogni istante ad impadronirsi della canzone. Ma ancora una volta nessuno degli elementi in contrasto prende il sopravvento sull'altro: tutto è immobile, come in contemplazione: è l'equilibrio perfetto tra melodia e rumore, dolcezza e violenza, in definitiva tra ordine e caos. Inattesa e bellissima, come un improvviso squarcio di luce che trapela da nubi temporalesche, arriva "Blown A Wish", un coro di voci e suoni che sembrano volteggiare in un'atmosfera onirica, irreale, e in questo caso sembra davvero di vedere i magici Cocteau Twins alle prese con le alchimie di John Cale. Ancora un veloce garage-rock "What You Want", conduce al brano di chiusura, la lunga "Soon", ovvero quando il rock ‘n roll flirta con la tecnologia e la house-music, un'idea che sarà approfondita quasi contemporaneamente dai Primal Scream di Bobbie Gillespie (non a caso sarà proprio con i Primal Scream, che Shields avvierà una proficua e duratura collaborazione).

Dato alle stampe questo capolavoro, i My Bloody Valentine si perderanno in una fase di indecisioni e dissapori, che provocherà le defezioni prima di Googe (che andrà a formare gli Snowpony) e poi di O'Ciosoig, fino al definitivo scioglimento della band. Kevin Shields collaborerà poi con Experimental Audio Research e Primal Scream. Con Bilinda Butcher, finita chissà dove, manterrà una fragile amicizia, dopo una tormentata relazione sentimentale conclusa nel 1994.
Insieme a loro giungerà alla fine anche il grande sogno degli "shoegazer": una rivoluzione incompiuta, la loro, che si risolverà nel giro di pochi anni nella "restaurazione" parziale del britpop, con gruppi come gli Oasis, i quali non faranno che banalizzare e rendere totalmente anonimo quel connubio tra chitarre distorte e melodie di impronta sixties che, con quest'album soprattutto, ma anche con le altre loro opere, e con quelle dei loro compagni d'avventura, i My Bloody Valentine e gli "shoegazer" avevano portato a livelli extraterrestri.

Dopo numerose voci, tutt'oggi mai confermate e risalenti al 2008, che vorrebbero la band impegnata in studio nelle registrazioni di un nuovo album, nel 2012 la Sony Music decide di riunire in un'unica raccolta gli ultimi tre Ep precedenti Loveless (You Made Me Realise, Glider e Tremolo), assieme ad una manciata di rarità e tre inediti. Uscita con il titolo di EPs 1988-1991 su doppio cd, l'operazione non è troppo dissimile da quella attuata per i Cocteau Twins in "Lullabies To Violaine", né per tipologia né per importanza. Se il valore storico dei due album in studio è infatti innegabile, per lo sviluppo, la diffusione e la trattazione dello shoegaze, le tracce "relegate" negli Ep di quello stesso periodo riescono per la gran parte a raggiungere un livello quasi eguale, risentendo di notorietà minore solo per via del formato di pubblicazione. Il vero cuore della raccolta sta quindi, molto più che nelle (non)-sorprese degli inediti, nella riproposizione di brani di caratura sopraffina, che non avrebbero sfigurato in nessuno dei due album della band ma che furono pubblicati invece in un formato non in grado, forse, di donare loro la visibilità che avrebbero meritato. EPs 1988-1991 mette in risalto, a distanza di due decadi, una collezione di piccoli tesori nascosti dall'enorme ombra dei due fratelli maggiori, figurandosi come una vera e propria guida all'ascolto, un'enciclopedia sonora in grado di descrivere al meglio il breve percorso di una delle band più importanti degli anni 90, colmando un vuoto discografico legato al nome perdurante ormai da più di vent'anni e che pare allontanarsi sempre di più da una possibile ricomparsa sulle scene.

Dopo anni di annunci e smentite, finalmente la mattina di domenica 3 febbraio 2013 vengono diffuse via web le nove tracce del grande ritorno della band: MBV.
Il disco è suddivisibile idealmente in tre parti. La prima racchiude le canzoni che più si avvicinano allo stile di Loveless. Fra le prime tre tracce spicca per personalità “Only Tomorrow”, posta subito dopo l’iniziale soffusa “She Found Now”. Ed è subito un diluvio di elettricità, una pioggia di synth, le voci che restano sommerse dal magma musicale, insomma tutto ciò che costituisce il marchio di fabbrica della band.
La seconda parte dell’album, che va dalla traccia 4 alla traccia 6, è la meno rimarchevole, ma serba comunque significati profondi. All’interno ci si trovano profumi tanto di Stereolab quanto di certo French Touch: “Is This And Yes” (ma anche la successiva “If I Am”) ha nel dna germi di Air, come se Shields avesse preso qualcosa dagli allievi transalpini, che più volte hanno citato i Valentine come una delle proprie massime ispirazioni. “New You” chiude questa non proprio memorabile fase centrale, vestendo i panni del brano meno caratterizzante e più canonicamente pop del disco: oggettivamente il pezzo più debole, quello dove le sperimentazioni restano un attimino nell’angolo. E in bocca resta la sensazione latente di un ritorno che non sia ancora decollato sul serio.
Tutto ciò viene spazzato via dalla sequenza finale: dalla traccia 7 alla traccia 9 troviamo l’highlight del disco, la zona miracolosa, la più ardita, quella nella quale la band si mette di buona lena a tracciare vaghe ipotesi di nuove vie, disegnando canzoni finalmente con una marcia in più. “In Another Way” ci sbatte in faccia una ritmica poderosa, architetture sonore stratificate, voci che non si capisce se procedano normalmente o al contrario, in cinque minuti e spicci densi di tanta roba, che già da soli giustificano tutta l’attenzione del mondo su questo lavoro. La strumentale “Nothing Is” amplifica tutto all’ennesima potenza: un loop senza fine dove meravigliosamente non accade quasi nulla, un wall of sound che ci rispedisce in certe lisergiche atmosfere da 90’s rave party. Va ancora meglio nella conclusiva “Wonder 2” i minuti più esaltanti, folli e senza redini dell’intero disco, quelli che ci convincono definitivamente a promuoverlo a pieni voti.

Contributi di Matteo Meda ("EPs 1988-1991"), Claudio Lancia ("MBV")

My Bloody Valentine

Discografia

This Is Your Bloody Valentine (mini-Lp, Tycoon, 1985)

Man You Love To Hate (tape, live, Schuldige Scheiter, 1985)

Geek! (Ep, Fever, 1985)

The New Record By My Bloody Valentine (Ep, Kaleidoscope Sound, 1986)

Sunny Sundae Smile (Ep, Lazy, 1987)

Strawberry Wine (Ep, Lazy, 1987)

Ecstasy (mini-Lp, Lazy, 1987)

You Made Me Realise (Ep, Creation, 1988)

Isn't Anything (Creation, 1988)

8

Ecstasy And Wine (antologia, Lazy, 1989)

Glider (Ep, Creation, 1990)

Tremolo (Ep, Creation, 1991)

Loveless (Creation, 1991)

9

EPs 1988-1991 (doppio cd, antologia, Sony, 2012)

8

MBV (autoprodotto, 2013)

7

Pietra miliare
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