Adem

Love And Other Planets

2006 (Domino)
songwriter

Meccanica celeste, musica delle sfere. Geometrie astrali che si intrecciano nell’equinozio di una nota, attraendo l’anima nell’orbita dell’amore e degli altri pianeti.
Le cronache della galassia di Adem Ilhan sono un’odissea nello spazio interiore. Il post-rocker che ha attraversato la fine degli anni Novanta suonando il basso nei Fridge accanto a Kieran Hebden, futuro Mr. Four Tet, è divenuto ora un navigatore delle stelle buckleyano, capace però di parlare la lingua dei terrestri. Alla sua seconda prova solistica, Adem solleva così gli occhi verso l’infinito in cerca del suo personale satellite dell’amore, scoprendo la misteriosa comunione tra intimità umana e rarefazione digitale.

Proprio come il precedente “Homesongs”, anche “Love And Other Planets” è quello che Adem definisce un concept-album accidentale: nessuna forzatura tematica, ma unicamente una consonanza ideale che percorre tutti i brani del disco. Dalle mura domestiche dell’esordio, il viaggio si sposta così alle distese dello spazio, metafora delle costellazioni del cuore. Perché l’ampiezza dei desideri dell’uomo ha la misura dell’universo.
Ecco allora che in “Warning Call” un arpeggio circolare alla maniera di Jim O’Rourke si interroga su quello che accadrebbe se ricevessimo da una civiltà aliena l’avvertimento che il nostro pianeta sta per essere distrutto. “If we received a warning call, would we change at all?”. Ma è la quotidiana consapevolezza della caducità dell’esistenza la vera questione in gioco. E l’epilogo riserva un ribaltamento di prospettiva degno di un racconto asimoviano: “Let’s not end our days like they did on Earth”, ammonisce Adem. Se i terrestri hanno già perso la loro occasione, esiste nell’universo un’intelligenza capace di sfuggire alla condanna, prendendo coscienza della propria natura?

In una via lattea di chitarre acustiche nitide e avvolgenti, la voce di Adem fa della vulnerabilità un’insostituibile risorsa emotiva, come un M. Ward appena meno polveroso. Ma rispetto ai sussurri folk di “Homesongs”, il secondo album del songwriter londinese rivela una nuova dimensione in cui armonie vocali dall’afflato spirituale convivono a tratti con una trama di percussioni fatte di tintinnii eelsiani e di frammentazioni di marca Califone.
Un’evoluzione rappresentata in maniera emblematica dall’incalzante handclapping di “Launch Yourself”, che racconta del ritrovarsi abbandonati su un pianeta sperduto, e dalla pulsante danza lunare di “You And Moon”, dove compare anche un pianoforte a pollice. A sorprendere, però, è soprattutto “X Is For Kisses”, in cui Adem utilizza come espediente ritmico gli echi della ripetizione delle lettere dell’alfabeto in rigorosa successione, ad eccezione della “X” del titolo, iniziando ogni verso con la lettera corrispondente. Un’idea che, invece di risolversi in uno sterile esercizio intellettuale, riesce a creare un tappeto di riverberi ipnotico come i segnali di un idioma alieno.

Dal galleggiamento in una nebulosa radioheadiana di “Last Transmission From The Lost Mission” al collasso gravitazionale della soffusa “Sea Of Tranquillity”, passando attraverso la pastorale “Crashlander”, Adem si inoltra in un emisfero celeste sospeso tra le ombre di “Amnesiac” e la leggerezza dei The Robot Ate Me di “Carousel Waltz”. Ma il fascino melodico e le essenziali tessiture strumentali a lume di candela di brani come “Something’s Going To Come”, “These Lights Are Meaningful” e della romantica “Spirals” non disdegnano di richiamare alla memoria le aperture pop di Damien Rice, complice anche l’esperienza di Adem nella touring band di Badly Drawn Boy.

L’accuratezza dei suoni di “Love And Other Planets”, fra tradizione e folktronica , affascina a maggior ragione al pensiero che un disturbo dell’udito concede ad Adem soltanto una percezione monoaurale dei suoni, cui ha sopperito in parte l’aiuto dell’amico Kieran Hebden in fase di mixaggio. Non a caso, se è nella solitudine e nel silenzio che è nata l’avventura solistica di Adem, ispirata dalle note casuali di un autoharp, è insieme a un pugno di compagni di viaggio che il suo percorso raggiunge oggi una nuova compiutezza, grazie all’apporto del drum-kit di Alex Thomas, della voce di Emma Macfarlane e del violino di Emma Smith.

Lungo tutta la durata di “Love And Other Planets” lo sguardo di Adem, moderno pastore errante, si perde nella contemplazione assorta del manto stellato del cielo. “On a clear night, if you look close enough/ You can just make out/ Love and other planets/ We are not alone”, mormora nella title track. Non è una dichiarazione ufologica, ma una rivelazione esistenziale: la solitudine non è la natura dell’essere. E guardando negli occhi dell’amata, suggerisce “Spirals”, si può scoprire una profondità sconfinata come la spirale galattica.
Se quelle luci remote che trafiggono l’oscurità sono davvero dense di significato, la speranza nasce da un imprevisto pronto ad accadere. “Don’t you look so sad/ ‘Cos something’s going to come/ I don’t know where’s from/ I don’t know when”. Solo con questa attesa si può guardare senza paura la fine dei tempi, evocata dalla magnetica atmosfera di harmonium e glockenspiel di “Human Beings Gather ‘Round”.
Dalla finestra illuminata di Adem, gli astri stanotte parlano di una trama misteriosa. È tempo di uscire a riveder le stelle.

19/05/2006

Tracklist

1. Warning Call
2. Something’s Going To Come
3. X Is For Kisses
4. Launch Yourself
5. Love And Other Planets
6. Crashlander
7. Sea Of Tranquillity
8. You And Moon
9. Last Transmission From The Lost Mission
10. These Lights Are Meaningful
11. Spirals
12. Human Beings Gather ‘Round

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