Supersilent

8

2007 (Rune Grammofon)
avant-jazz, impro

E otto. Ci risiamo. Sono tornati. L’uscita di “8“, prima fatica in studio a marchio Supersilent da un lustro a questa parte, va detto, è stata continuamente rinviata da almeno un anno, tra voci di corridoio e addirittura “minacce” - da parte del sito semi-ufficiale - di paso doble, con pubblicazione simultanea del nono capitolo. Abbastanza per ritagliarsi un minimo di spazio nell’elenco degli eventi più attesi del duemilasette, anno in cui ricade, neanche a farlo apposta, il decennale della fondazione del quartetto norvegese.

Finora, sette-dischi-sette in altrettanti anni. Sette personalissime escursioni a certificazione ISO di qualità - in barba a certe cervellotiche teorie sul decadimento del talento e sulla dispersione dell’estro creativo - tra jazz, elettronica, noise, avanguardia, ambient e classica contemporanea. Niente cadute evidenti, né tantomeno doppioni, a partire dal triplo salto mortale con avvitamento degli esordi, fino a giungere alla prova videodocumentata dello splendido Dvd, uscito ormai un paio di anni fa. E adesso? Saranno riusciti, i nostri, nel gravoso tentativo di non ripetersi? Se ci fermiamo alla mera apparenza, no di certo.

Tatuati sulla copertina color pelle, i soliti, glacialmente candidi, caratteri “Akzidenz”, la consueta sfilza di numeri e le scarne informazioni su produzione, mixaggio (a cura di Helge Sten) e masterizzazione, questa volta curata dal guru americano Bob Katz, pare per salvaguardare un intervallo di frequenze estremamente dinamico.
Finalmente un riferimento agli artisti? Scordatevelo: “E' un lavoro collettivo, improvvisazione di gruppo, non una questione di successo individuale”, ci tiene a sottolineare la press release.
Un concept? Pazzi. Cosa vi aspettate, d’altronde, da gente che non prova mai, non è solita discutere di musica e si incontra solo ai concerti o in studio per registrare?

E la musica? Beh, la musica è decisamente un’altra storia. Fin dal primo tiratissimo pezzo, perfetta colonna sonora per incubi atomici postmoderni: una linea di basso carica di tensione, corde violentate (e già siamo in pieno clima novità), rintocchi sinistri, droni spettrali e drumming in controtempo si fondono in un lungo e minaccioso crescendo strumentale, pronto a deflagrare da un momento all’altro. Alzi la mano chi aveva sentito qualcosa del genere in un disco dei Supersilent.

Dal paesaggio di macerie radioattive e pozzanghere di brodo primordiale elettrificato che ne consegue, timidi segnali di vita sintetica precedono l’entrata in scena di una batteria che impara presto a muovere i primi passi (“8.2”), prima di deragliare, disturbata dagli audio virus di Deathprod, in un’aritmia totalmente irreversibile (“8.3”). Desolante, nell’accezione più letterale del termine.
La successiva “8.4”, episodio relativamente breve rispetto agli standard Supersilent, è melodicamente impeccabile, con Storløkken (tastiere) e Henriksen (tromba) finalmente in piena evidenza. Estasi eterea. Né più, né meno.

È la voce dello stesso trombettista, opportunamente filtrata dal vocoder, ad aprire “8.5” (la più lunga del lotto con i suoi dodici minuti), mentre echi Popol Vuh preparano la strada alla batteria di un Vespestad qui in perfetto travestimento da post-rocker. Ancora plettrate e ancora tromba a farla da padrona nella seconda metà, ma non ci si annoia neanche per sbaglio.
“8.6” è puro esercizio glitch - casomai ci fosse stato il bisogno di aggiungere altra carne al fuoco – con tanto di epilogo celestiale per voci bianche.

Il settimo pezzo, di contro, è quanto di più violento, rumoroso e malato mai inciso dall’ensemble scandinavo: attacco in piena distorsione, corde martoriate, urla rabbiose, batteria a briglie sciolte, synth fulminei e iperaffilati. Il delirio finale è free-speedcore incontrollabile, con la lancetta del contagiri schizzata fuori dal quadrante. Ma non erano solo quattro? Dalla Norvegia ci vengono incontro, ancora una volta: “Non c’è bisogno di dirlo, non c’è alcuna sovraincisione”. Proprio confortante.
In dissolvenza, l’ultimo brano ci regala la proverbiale bonaccia (ma anche una melodia in stile "Supersilent 6") dopo una copiosa grandinata di suoni.

Imperdibile per chi non stava nella pelle da almeno un anno, utilissimo per scoprire, a ritroso, l’urgenza espressiva dei Supersilent, risalendo gradualmente fino ai primi vagiti di una musica che sembra figlia di partiture complesse, ma, in realtà, è totalmente improvvisata.
Indicazioni per il futuro? Pare che i seguaci possano dormire sonni più che tranquilli: sarebbero state registrate, con profitto, ben cinque ore di musica, ora a disposizione del nutrito archivio dell’etichetta fondata da Rune Kristofferson. La sensazione – più che mai rafforzata da questo ascolto - è che abbiano ancora parecchio da dire.
Il voto? Per una volta, l’abito fa il monaco.

01/10/2007

Tracklist

  1. 8.1
  2. 8.2
  3. 8.3
  4. 8.4
  5. 8.5
  6. 8.6
  7. 8.7
  8. 8.8