Erykah Badu

New Amerykah Pt. 1: 4th World War

2008 (Universal Motown)
nu-soul, hip-hop, r'n'b
7.5

Sono passati ben cinque anni dall’ultima notizia discografica di Erykah Badu, una delle voci più importanti del panorama black attuale. Cinque anni dall’Ep (anche se in effetti della durata di quasi un’ora) “Worldwide Underground”; un buon disco, che iniziava però a mostrare delle crepe nell’enorme statua di ebano che è la musica di Erykah Badu. Cinque anni di voci di corridoio, di minacce di abbandono delle scene, di finti ritorni. Cinque anni per pesare il passato e pensare al futuro, per recuperare la vena creativa dorata che aveva partorito “Baduizm”. Due anni invece dall’addio a Jay Dee, il grande amico e il grande, indimenticabile produttore di “Mama’s Gun”, un lavoro complesso ma tremendamente diretto, ennesima prova di com’è fatto il grande cuore di un piccolo, grande uomo.

Il ritorno è questo “New Amerykah Pt.1: 4th World War”: titolo e sottotitolo sono una dichiarazione d’intenti. Erykah si mostra di nuovo alle nostre orecchie in forma smagliante, rigenerata e come nuova. La sua voce, calda e sensuale, non sembra essere stata intaccata dalla lunga pausa, anzi suona piena, eclettica e maledettamente soul. In contrasto con la melodia vocale, troviamo i beat e le basi che non sono mai state così hip-hop oriented e fisse. Sarà la nostalgia, saranno soprattutto le collaborazioni, ma pezzi come “The Healer” (Otis Jackson Jr. al mixer: sì, anche qui ci mette mano e anche qui è Re Mida) o “Master Teacher” (scritta assieme a Georgia Anne Muldrow, sempre in casa Stones Throw) sono ottimi esempi di hip-hop moderno e intelligente, venato dal soul e sostenuto da ritmiche efficaci e sciolte.
La matrice base dell’intero lavoro si trova infatti nel ripescaggio delle sonorità hip-hop che hanno segnato la carriera di Erykah: troviamo quindi beat che sembrano usciti direttamente dagli anni 80 (“Twinkle”), come richiami vocali alle regine della funk-disco anni 70. Ma il vanto maggiore di questo disco è la struttura delle canzoni: anche se parlando in questi termini si appiattisce il sentimento e la passione che trasuda l'intero lavoro, è doveroso far notare come la Badu abbia sfornato, con eccellenti aiuti, certo, canzoni lunghe ma snelle, che scorrono con facilità e divertono, quando non emozionano profondamente.

La prima traccia, “Amerykahn Promise”, è proprio un rinnovamento del funky settantino al femminile, che mette subito in luce la sua splendida voce. Gli altri punti forti del lavoro sono sicuramente “Soldier”, caratterizzata da un beat diretto, secco ed efficace che si abbatte su una linea di synth lontana, tra pause melodiche e riprese trascinanti. “My People”, per chi scrive la traccia migliore dell’intero disco, è un mantra estatico di classe, una bassline assassina e scurissima che muove i fili di un beat carico di contenuti mefistofelici; qui la voce è reiterata, stratificata su vari livelli che creano una sensazione di claustrofobico calore vagamente trip-hop. Altra perla del disco è la finale “Honey”, anche primo singolo del disco, dove la vena più pop della Badu prende il sopravvento, sfornando la degna risposta alle ragazzine che hanno tentato invano di sottrarle lo scettro di regina dell’r’n’b.

Tirando le somme, il ritorno di Erykah Badu è decisamente positivo, coinvolgente dalla prima all’ultima nota, mai scontato e fresco, pur muovendosi in territori (quelli dell’hip-hop più classico e dell’r’n’b) ad alto rischio di banalità. Punti deboli non ce ne sono, anzi, a livello di composizione il disco si rivela molto interessante, offrendo delle canzoni di otto minuti che riescono a mantenere tutto il loro fascino fino alla fine.

07/03/2008

Tracklist

  1. Amerykahn Promise
  2. The Healer
  3. Me
  4. My People
  5. Soldier
  6. The Cell
  7. Twinkle
  8. Master Teacher
  9. That Hump
  10. Telephone
  11. Honey