Harrisons

No Fighting In The War Room

2008 (Melodic)
britpop

Arrivano al disco d’esordio anche gli attesissimi Harrisons, ultimi cuccioli della nidiata neomod venuta alla ribalta dalle periferie di Sheffield e dintorni sulla scia del dilagante fenomeno Arctic Monkeys. Le coordinate musicali di questo giovanissimo quartetto rimangono fondamentalmente le medesime di altri protagonisti della scena cittadina saliti agli onori delle cronache negli ultimi mesi (si pensi a gruppi come Little Man Tate, Milburn, Bromheads Jacket, Reverend And The Makers e, più defilati, Long Blondes). Il suono risulta nel complesso  pesantemente influenzato dal suono classicamente punk dei primi Clash e Jam (in alcuni passaggi si affacciano marginalmente anche gli Specials) e si pone sull’asse di altri gruppi dell’ultima generazione dall’alterna fortuna commerciale e artistica come Ordinary Boys, Razorlight, Others, Paddingtons , Dead 60’S e Rifles (autori del pregevolissimo “No Love Lost”, che si raccomanda caldamente di recuperare).

Il disco si configura come una ben nutrita cartucciera di potenziali singoli pronti a mitragliare il proprio contenuto esplosivo contro un pubblico che di questi tempi sembra non aspettare altro. La formula compositiva del gruppo appare ben rodata nei suoi meccanismi e riesce a regalare almeno tre o quattro episodi da ricordare: “Take It To The Mattress” è costruita su un giro di chitarra molto orecchiabile e si apre in un ritornello euforico e schiamazzante che pare rubato dalla pagine più luminose dei primissimi Stereophonics, “Wishing Well” è un buon esercizio di sintesi punk dall’andamento più spezzato, con notevoli crescendo corali e accelerazioni ben calibrate; in “Little Boy Lost” si ritrova invece un gusto tipicamente britannico per arrangiamenti e soluzioni melodiche che lascia intuire un debito più che cospicuo con il britpop ed esperienze affini. Buona anche “Simmer Away” che tende a smorzare i toni in una ballata dai contorni più circospetti e allusivi.

Tutti i pezzi tendono comunque a viaggiare a una velocità piuttosto sostenuta, adagiandosi su trame ritmiche vivacissime che conferiscono alle strutture melodiche un umore spensierato e fischiettante e anche una certa, trasversale, ballabilità (si ascoltino ad esempio le iniziali “Drae Constable” e “Man Of The Hour” oppure “Monday’s Arms”, la più vicina forse ai deprecabili stilemi del cosiddetto “nu-rave”, con i suoi bassi fiottanti e rigonfi come vene imbottite di pessimi steroidi).

Trova spazio anche l’immancabile parentesi acustica di “Listen”, in bilico tra il Paul Weller di “Wild Wood” e i melodismi del Noel Gallagher più intimo e monologante di “The Masterplan”, ma la dimensione che più appartiene a questo gruppo (e a tantissimi altri con esso) è forse quella dell’inno di strada, in cui le abrasioni di una frustrazione irriducibilmente metropolitana riescono a sublimarsi in pezzi brevi e veloci che trovano nella coralità e nello slancio liberatorio dei ritornelli il proprio baricentro, a metà strada tra l’esaltazione del coro da stadio e il canzoniere alticcio di un gruppo di amici al pub. Ritornelli che promettono tra l’altro di liberare tutto il proprio potenziale distruttivo nel luogo per il quale sono stati progettati, ovvero il palco, dove il rituale collettivo di riconoscimento e partecipazione di questi giovani gruppi con il proprio pubblico di coetanei raggiungerà il suo più reale e completo compimento, come già visto con i vari Arctic Monkeyes e Kaiser Chiefs.

Per ora resta un esordio (sufficiente) che non sposta gli equilibri dell’attuale scena britannica ma mostra un gruppo con discrete prospettive di sfondamento.

01/02/2008

Tracklist

1. Dear Constable
2. Man Of The Hour
3. Wishing Well
4. Little Boy Lost
5. Simmer Away
6. Take It To The Mattress
7. Listen
8. Monday's Arms
9. Medication Time
10. Sweet Crystal
11. Blue Note
12. Come For Me

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