Qualcuno si era già accorto di lei – prima nella natia Nevada City, poi nella vecchia Europa – ma adesso la giovane cantautrice Alela Diane Menig sembra avere tutte le carte in regola per attestarsi come una delle più valide e credibili tra le nuove interpreti del folk al femminile.
È la concittadina Joanna Newsom a incoraggiare per prima l’appena ventenne Alela Diane a suonare le sue canzoni dal vivo, introducendola nell’ambiente cantautorale e del “wyrd-folk” statunitense, nel quale tra il 2003 e il 2004 cominciano a circolare due suoi demo, frutto di una spartana autoproduzione casalinga. Il secondo, “The Pirate’s Gospel”, viene ripubblicato nel 2006 sotto forma di album vero e proprio, richiamando da subito una discreta attenzione sull’artista, curiosamente più in Europa (in particolare in Inghilterra) che in patria.
Arrivano così in breve tempo un contratto con la prestigiosa Rough Trade e adesso il secondo album ufficiale “To Be Still”, ma di fatto il primo ad essere concepito e realizzato in maniera organica.
Scritto negli ultimi due anni negli intervalli di una fervente attività dal vivo e registrato tra la sua abitazione di Portland e lo studio del padre-produttore Tom Menig a Nevada City, “To Be Still” è un lavoro denso di fascino, incentrato sulla pacatezza e sull’equilibrio umano della stabilità domestica, tema ricorrente nei suoi undici brani. Si tratta di una stabilità che non implica tuttavia stasi, ma è invece rivolta alla ricerca di un altrove musicale, al quale contribuisce l’ampia strumentazione di supporto e, soprattutto, la personalità di Alela, formatasi tra ascolti che vanno dai Fairport Convention ai Fleetwood Mac e tanto spiccata da rifuggire con agilità dai facili cliché di un folk passatista.
Innanzitutto, rispetto all’essenziale “The Pirate’s Gospel”, la voce dell’artista californiana è evidentemente migliorata ed è adesso capace di uno spettro interpretativo più ampio, che in più di un’occasione si attesta con decisione su toni alti, lasciandosi andare a una sorta di white gospel e ad accenni di uno yodelling misurato e per nulla stucchevole. Parallelamente, anche il suono è molto più curato e ricco, contemplando oltre alla basilare accoppiata voce-chitarra tutta una serie di strumenti, dal banjo al violoncello, dalle percussioni alla pedal steel.
Affiancata da collaboratori del calibro di Matt Bauer, Mariee Sioux e Michael Hurley, Alela Diane offre un’ampia rassegna delle sue doti cantautorali in ballate dal sapore antico, riviste secondo una sensibilità del tutto personale, espressa attraverso le suadenti modulazioni della sua voce e l’andamento, in prevalenza morbido e cullante, di canzoni che sfiorano diverse sfumature di un folk fuori dal tempo, ma mai ridondante né appiattito su un solo profilo della tradizione. Se infatti ballate dal sapore agrodolce come “White As Diamonds” e “Take Us Back” possono collocarsi nel più classico solco delle appalachian songs, lungo tutto il corso dell’album sono altresì riscontrabili assonanze col folk britannico e persino passaggi di sognante evocatività, quali quelli della sobria love song “Every Path”.
A ciò si aggiungano gli arrangiamenti sempre ariosi e in continuo divenire, gli acuti crescendo della title track o del mantra “My Brambles”, nonché la melodia ovattata del magnifico duetto con Michael Hurley in “Age Old Blue”, per completare i tanti tasselli di un lavoro di rara grazia, sospeso con gusto sopraffino tra antico e moderno.
Tradizionale nell’ispirazione e adeguatamente curato nella forma, “To Be Still” potrà compiacere tanto gli estimatori del folk al femminile quanto suscitare interesse tra le più vaste platee del cantautorato “indie”, grazie alle sue melodie cristalline, che entrano in circolo con lenta ma inesorabile discrezione.
Accanto alle autrici oramai affermate – da Lisa Germano a Cat Power alla più giovane Marissa Nadler – sta emergendo una nuova e validissima compagine di interpreti femminili; e si può scommettere che tra queste, a metà strada tra la tenebrosa tradizione di una Jes Lenee e la sinuosa eleganza di una Emily Jane White, la classe e l’espressività di Alela Diane sapranno ritagliarle lo spazio che merita.
01/03/2009