Aleph, ovvero l'Origine, Dio e la sua creatura Adam. Aleph è simbolo della creazione stessa, che in esso ha inizio ed è riassunta e racchiusa. Cos'è dunque l'ascolto del nuovo album della Corrente 93 se non un nuovo percorso di iniziazione, ascesa su una montagna impervia dove lui, il più celebrato santone del rock, David Michael Bunting, meglio noto come David Tibet, si è ritirato più che mai imbevuto di dottrine eretiche e ansioso di dare una nuova e decisa svolta al percorso musicale del suo progetto.
Raggiungiamolo dunque, e raccolti attorno a lui come sempre pendiamo dalle sue labbra e dal fiume in piena delle sue spiritate parole. Un suo sguardo, un suo gesto ed ecco che il cielo si tinge di rosso, mentre la storia di Aleph ha inizio, e nella gnosi di David Tibet la creazione porta già in sé stessa la perdizione: "Almost in the beginning was the murderer". La maledizione grava sul mondo sin dalla sua origine. E allora, che la storia che ne nasce si tinga di doom, quella storia che evocata dallo spoken word ininterrotto del santone si materializza ai nostri occhi intimiditi, in quel cielo rosso sangue.
Opera che corona il percorso che negli ultimi anni ha visto Tibet avvicinarsi al mondo di artisti come Om e Stephen O'Malley, "Aleph" introduce elettricità in quantità mai viste e immaginate nel repertorio dei Current. Certo, già la title track del precedente album, e il violento Ep "Birth Canal Blues" erano esperimenti in questa direzione. Con "Aleph", però, David sceglie una via profumata di 70s, la via per lui inedita, eppure a ben pensarci perfettamente coerente, della jam di impronta stoner/psichedelica.
Una formazione ringiovanita e agguerrita segue obbediente le evoluzioni della visionaria narrazione del santone; con i chitarroni infuocati di Keith Wood e Matt Sweeney, la batteria downtempo di Alex Neilson, "Aleph" trionfa nelle lunghe e involute visioni di "Invocation Of Almost" e "On A Docetic Mountain". Splendida e sabbathiana fino al midollo "26 April 2007", quanto di più rock David Tibet abbia mai concepito, e "Aleph Is Butterfly Net" ne rappresenta l'ancor più rallentata appendice.
E per tutto il tempo non un fiato esce dagli attoniti astanti, ipnotizzati mentre il reverendo Tibet si infervora nel doom metal puro di "Not Because The Fox Barks", e la storia di Aleph giunge alla sua sconsolata conclusione, nel puntuale ritorno delle vecchie (?) sonorità acustiche, docili arabeschi nelle mani fatate di James Blackshaw.
Sceso nuovamente il silenzio, il santone ci guarda con il suo sorriso ambiguo. Nel cielo notturno è tornata la luce familiare della luna e delle stelle. Se rivelazione doveva essere ci è sfuggita, storditi da parole in libertà e sonorità inattese. Opera sperimentale per come piega stili teoricamente superati all'immaginario allucinato del suo creatore, "Aleph" sorprende e affascina. Eppure ci si risveglia dal sogno e dal tumulto con l'impressione che manchi qualcosa per rendere realmente definitiva e realizzata l'esperienza. "Aleph" sorprende e incanta, ma è forse solo un passo non ancora concluso in una direzione che già qui si intuisce foriera di meraviglie.
20/05/2009