Ian Brown

My Way

2009 (Polydor)
pop

Più passano gli anni, più Ian Brown somiglia al suo idolo Bruce Lee. Lo conferma in maniera inequivocabile anche la copertina della sua ultimissima fatica, “My Way” (nel senso di Sid Vicious, più che di Sinatra), sesto (settimo, se si conteggia anche la raccolta di remix del 2002) album solista di una brillante (per quanto appartata) carriera che proprio quest’anno soffia sulla sua undicesima candelina. Prodotto dal fidatissimo Dave McCracken e dichiaratamente inspirato da “Thriller” di Michael Jackson, “My Way” è per più aspetti uno dei lavori più coesi e persuasivi firmati da Brown da parecchi anni a questa parte (forse addirittura dal primo album del 1998), un contenitore perfettamente calibrato in cui l’artista di Manchester è riuscito a riversare con gusto e buon equilibrio formale tutto il proprio amore incondizionato ed enciclopedico per il pop, il funk, la psichedelia , certo r’n’b, la house, il dub, l’hip hop, come già in parte emerso durante la gloriosa militanza nelle file degli Stone Roses.

Costruito per lo più su un tratto asciutto e minimale di synth e su groove dall’aritmetica mirabilmente levigata ed essenziale, “My Way” funziona sia quando si assottiglia nel lirismo in punta di pennino soul della bella “For The Glory”, sia quando ispessisce il suono in un dance-pop più spocchioso e sgambettante (con tocco piacevolmente glam-coatto alla Timbaland), come si può godere in “Crowding Of The Poor”, “Just Like You”, “Marathon Man” o anche “Own Brain”. E se vent’anni fa la voce del nostro, spesso sbeffeggiata per quel suo peculiare biascichìo nasale e sussurrante, poteva essere un punto di imperdonabile vulnerabilità, oggi è senz’altro una delle armi più affilate e caratterizzanti delle canzoni, esaltando alla perfezione l’eleganza di tessiture melodiche e ritornelli solidissimi, edificati su un poco (apparente) che è sempre sinonimo di superiore agilità concettuale e notevolissimo rigore plastico.

Effettivamente il singolo “Stellify” era troppo bello per lasciarlo nelle mani di Rihanna (cui era originariamente destinato), ma uno dei momenti migliori è senz’altro costituito dalla doppietta “In The Year 2525”/ “Always Remember Me”, laddove il primo è una cover (con bellissime sporcature pyscho-mariachi) della omonima hit di Zager & Evans (superiore sia all’originale che alla cover - comunque notevole! - di Caterina Caselli del 1970), mentre il secondo è in qualche modo un congedo struggente al decennio che si appresta all’imminente conclusione e, più sottilmente, a tutta la rabbia che è stata.

Non erano in molti a puntare su Ian Brown, con quei suoi modi burberi da macaco ergastolano malato di megalomania formato Adidas sport (non dimentichiamo che Brown è uno dei pochi musicisti sulla piazza a indossare t-shirt di sé stesso), all’indomani dello scioglimento degli Stone Roses, eppure l’impressione è che il buon vecchio “King Monkey” finirà col portare fiori sulle tombe di tutti i suoi più scettici detrattori con un bel ghigno soddisfatto stampato in faccia. Vecchia volpe.

23/12/2009

Tracklist

  1. Stellify
  2. Crowning of the poor
  3. Just like you
  4. In the year 2525
  5. Always remember me
  6. Vanity kills
  7. For the glory
  8. Marathon Man
  9. Own brain
  10. Laugh now
  11. By all means necessary
  12. So high

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