Il mitico Iggy, col suo fisico da adolescente rinsecchito, le rughe profonde come crepacci alpini, l’occhio sempre spiritato e una tinta di capelli multicolore da far invidia al Mickey Rourke di “The Wrestler”, assomiglia ogni giorno di più a un attore affermato che a fine carriera si diverte a interpretare ruoli bizzarri o comunque lontani dalla concezione che il pubblico ha delle sue credenziali artistiche. Per un esibizionistico vezzo senile o per il bisogno di esorcizzare l’angoscia del tempo che passa rifugiandosi in sempre nuove idee di sé, come fanno i bambini quando mutano le trame e i personaggi dei loro giochi con studiata disinvoltura. Così a sei anni dall’ultimo solista “Skull Ring” (in cui cercava un gemellaggio impossibile con i nipotini punk degli anni Zero, a rischio di sembrare uno di quegli attori intrappolati in un corpo giovanile che a cinquant’anni ancora interpretano dei college-movies) e a due dalla reunion degli Stooges per l’esecrabile “The Weirdness”, pubblica questo “Preliminaires”, produzione di prestigio che lo vede nei panni di una figura misteriosa un po’ cantastorie letterario, un po’ “chansonnier d’Amerique”, un po’ crooner d’antan.
Nato come trasposizione sonora del romanzo di Michel Houellebecq “Le Possibilità Di Un Isola” per un documentario ideato da Marjane Satrapi (nominata all’Oscar con “Persepolis”), del cui contributo è rimasto soltanto il bel quadro in copertina, la trama del disco si sgrana progressivamente dagli intenti iniziali del concept finendo così per assecondare le velleità vocali di un Iggy che gioca a fare l’interprete misurato e maturo, disperdendosi ben presto nei rivoli del suo eclettismo. Più che un’iguana, un camaleonte. Che può permettersi di riesumare un classico della canzone confidenziale francese come “Les Feuilles Mortes” di Kosma/Prevert e di riproporla ben due volte, in apertura e chiusura, in una cover sostanzialmente fedele, con qualche allusione al cool-jazz e qualche timida intrusione electro. Trovata che replica anche nella doppia versione di “Je Sais Que Tu Sais/ She’s A Business”, duetto masculin/feminin vicina a certe cose di Mark Lanegan per l’uso dell’accompagnamento elettronico su un tratto essenziale di tagliente rock classico.
Un Iggy posato e a proprio agio nei suoi cangianti abiti di scena, come confermano l’ottima prova vocale di “I Want To Go To The Beach”, crooning anni 50 per piano, contrabbasso, strie di chitarra elettrica e finiture elettroniche, in cui l’unica nota stonata sono le liriche che il nostro scrive ancora con quella disarmante naiveté adolescenziale che incantava Lester Bangs (che dire di “You can convince the world/ that you’re some kind of superstar/ when an asshole is what you are/ but that’all right”?), o la languida armonia orchestrale di “Spanish Coast”, che sembra quasi un omaggio allo Scott Walker di fine Sessanta.
Poi, spazio a un rilassato remake in chiave downtempo di Antonio Carlos Jobim in “How Insesitive”, ai toni garage più accesi e urlati di “Nice To Be Dead”, al New Orleans Jazz dal vago sentore waitsiano “King Of The Dogs”, a “Party Time”, quasi un'autocitazione fuori tempo massimo del suo “periodo berlinese”, allo stomp-blues scarno, sporco e in bassa fedeltà di “He’s Dead/ She’s Alive” e al suggestivo spoken-western letterale dalle pagine di Houellebecq in “A Machine For Loving”, che completano in modo più che dignitoso un divertissement che è anche uno dei copioni più riusciti fra quelli interpretati dall’ultimo Iggy.
E se questi sono solo i “preliminari”, chissà cosa avrà in serbo per dopo.
02/06/2009