L'ormai annuale appuntamento con un nuovo album di ROME si porta dietro molte conferme e qualche novità: la prima, il passaggio dalla nobile nicchia oscura della Cold Meat Industry alla più accessibile "dark-major" tedesca Trisol, con conseguente ulteriore ampliamento del potenziale commerciale, da sempre vera marcia in più del marziale incedere di ROME nella moderna scena neofolk.
Seconda e principale novità è l'ufficiale ampliamento della line-up di quello che iniziò come progetto solista del solo Jerome Reuter e ora è un assortito trio che oltre al songwriter include il multi-strumentista Patrick Damiani e il violinista Nikos Mavridis. Forte di una dimensione a tutti gli effetti più ampia, ROME realizza il suo personale "Brown Book", lavoro di intenso e desolato intimismo che sceglie come metaforico scenario la guerra civile spagnola, concentrandosi su diari, memorie, desideri di coloro che dal conflitto vengono costretti all'esilio, fotografati durante le loro marittime perenigrazioni in cerca di una vita nuova in terra straniera. E come da filosofia-guida del progetto, il travestimento old-style nasconde in realtà rassegnate riflessioni d'attualità.
Pure se lirico ed epico come di costume ("Legacy Of Unrest"), ROME fa delle sue anime folk e pop fondamenta indistruttibili su cui edificare canzoni che eliminano quasi del tutto le spigolosità industriali e certa marziale pomposità dei lavori precedenti, che potevano rendere pesante l'ascolto ai non seguaci della grey-area. Di contro "Flowers From Exile" è l'album più cantautorale di Reuter, tutto poesia e melodia, dichiaratamente ispirato all'arte di Leonard Cohen (sentire per credere la title track) più ancora che a Death In June.
E nel dovuto debito ai numi tutelari, è l'arte di ROME a farsi sempre più riconoscibile. La voce calda e carismatica di Jerome, gli arrangiamenti accattivanti, il vivido rimpianto di melodie che portano via al primo ascolto, nella dolcezza disarmante di "Odessa" e "Who Fell In Love With The Sea", nell'abbrivio di "The Accidents Of Gesture", che più si allontana dalla terraferma più prende slancio e confidenza, permettendosi addirittura l'inserimento di folate shoegaze.
Ma non sono certo sperimentazione e innovazione ciò di cui ROME ha bisogno; al di là delle inedite chitarre flamenco di "Secret Sons Of Europe", danze raffinate come il singolo "To Die Among Strangers" o il maestoso refrain che esalta "Swords To Rust.." sono altrettante impeccabili autocitazioni. "Flowers.." rimarca una scelta stilistica ben definita, distaccandosi rispetto a un album come il precedente "Masse Mensch Material" che tentava molte e controverse direzioni. "Flowers.." invece fila via, diritto e spedito, tenendosi costante sulla sua nostalgica rotta. Agile, asciutto, rigoroso, "Flowers From Exile" è l'ennesima riconferma di una proposta capace come poche di abbinare quantità e qualità.
19/07/2009