Senza i fratelli Cavalera, i Sepultura sono, per dirla con Enrico Brizzi, inutili e tristi come la birra senz’alcool.
Due anni fa ci avevano provato con la Divina Commedia di Dante, ma i risultati non erano stati dei migliori. Oggi, la scelta letteraria ricade, invece, su “Arancia Meccanica” di Anthony Burgess da cui il maestro Kubrick ricavò uno dei film più straordinari della sua straordinaria carriera.
Il pretesto letterario sarebbe anche carino, non fosse altro perché la violenza della band brasiliana potrebbe sviscerare a dovere i temi forti del suddetto libro. Ma il condizionale è d’obbligo. Mi ero accostato al nuovo lavoro con un certo scetticismo e, purtroppo, la sensazione era giusta: schiavi del loro passato, i Sepultura sono oggi davvero incapaci di aprirsi uno squarcio verso il futuro.
Potente ma sbiadito: così appare oggi il loro sound. Lì dove una volta c’era freschezza compositiva e furia debordante, oggi c’è, invece, stanchezza e monotonia. I bei tempi che furono emergono, al massimo, nel thrash a rotta di collo, con fulminei assoli à-la Slayer, di “Moloko Mesto”, nella granitica “Forceful Behaviour”, nelle ombre Ministry di “Filthy Rot” e in quelle rivisitazioni, più o meno, riuscite del techno-thrash dei Fear Factory che sono “Sadistic Values” ed “Enough Said”.
Il resto è solo scontatissimo artigianato (“We’ve Lost You”, “What I Do”, “Strike” etc.), finendo per diventare ridicola messinscena quando cercano di coinvolgere il sommo Beethoven nella loro caduta libera, o, quando, naturalmente, tirano in ballo anche le rivisitazioni “sintetiche” di Walter/Wendy Carlos.
Sarebbe ora di appendere gli strumenti al chiodo e godersi un po’ la vita…
06/01/2009