Gli impressionismi d'autore e i racconti sussurrati in camerette dalle tinte pastello attecchiscono anche in Italia e, quasi per contrasto con i vividi colori mediterranei, le loro migliori rappresentazioni provengono dal profondo sud. Se due anni fa a segnalarsi era stata la Napoli di Giovanni Vicinanza (The Softone), oggi è la Sicilia di Paolo Tedesco da Mazara del Vallo, non nuovo a esperienze musicali, finora tuttavia confinate quasi solo a una cover band dei Beatles, e oggi al debutto con il suo progetto Clouds In A Pocket grazie all'acuta passione della milanese Canebagnato Records.
Ospitato in una curatissima confezione cartonata dal gusto piacevolmente retrò, "Ten Blown Feathers" è un concentrato di sensibilità umana e melodica, improntato a un evidente understatement di fondo, eppure capace di offrire, nel corso delle sue dodici tracce, un'ampia rassegna di modalità espressive, non circoscritte alle ovattate ballate di voce e chitarra, che pure costituiscono la base primaria per le canzoni di Tedesco.
Non si pensi, tuttavia, che si tratti di orpelli o sovrastrutture: niente affatto, poiché non solo gli arrangiamenti che conformano i brani a ricche policrome sono sempre estremamente misurati e opportuni, ma poiché è sufficiente avere riguardo all'incipit e alla chiusura del disco per comprendere l'ampiezza dello spetto espressivo dell'artista siciliano. L'iniziale "So Sorry (Still Bleeding)" è infatti una cadenzata ballad pianistica, un'elegia magnetica, i cui sentori nordici attraversano ovattate sospensioni temporali, mentre il conclusivo binomio "Coconut Skins / Blown Feathers" sfocia in un'ipnosi di oltre dodici minuti di eleganti torsioni psichedeliche.
Nel mezzo, si succedono ampie prove di una scrittura delicata, ottimamente coronata da un timbro vocale che pennella storie minime di assenza e istantanee dai contorni di proposito indefiniti, che spaziano dal poetico afflato bucolico dei Mojave 3 a vellutate narcolessie che fanno balenare i ricordi indelebili di Mazzy Star o Galaxie 500. Ma si tratta soltanto di un attimo, di nubi di passaggio il cui fascino fugace risiede proprio nell'impossibilità di essere catturate, poiché il cuore di "Ten Blown Feathers" si rivela riposto in un folk tenue e personalissimo, che flirta con la tradizione americana soltanto quando porta in primo piano il mandolino ("Bruises"), prediligendo invece di norma soffuse dilatazioni barziniane ("Hannibal Lecter", "Cry + Cry", "Tunafish Can For Lunch") e accenti pop la cui freschezza nostalgica attesta un inevitabile omaggio beatlesiano ("John Winston Lennon", "Oh, Elizabette!").
Il tutto è condito da arrangiamenti ben calibrati, alla cui riuscita un contributo fondamentale è offerto dai valenti musicisti che trasformano, di fatto, l'individualità del progetto Clouds In A Pocket in collettivo coeso e sfaccettato; tra questi, meritano una citazione almeno Christian Alati (chitarra elettrica, pianoforte e manipolazioni rumoriste), il violinista Ivan Di Dia (responsabile di due deliziosi cammei in "So Sorry (Still Bleeding)" e "Run Milan Run") e il produttore Fabio Genco, responsabile del missaggio e della produzione di questo piccolo gioiello di intimismo cantautorale, scritto e realizzato con gusto compositivo e spiccata sensibilità di scrittura.
Lieve e volatile come le piume del suo titolo, "Ten Blown Feathers" è un'opera da afferrare al volo e assaporare con calma: solo in questo modo potrà restituire il tepore nostalgico di un notturno siciliano, magari soltanto sognato, con tanto di luna e stelle cadenti, dopo essersi lasciati cullare da una dolcissima "Lullaby".
30/08/2010