È ormai difficile negare che i frontman delle maggiori band di punta dell'ondata indie-rock degli ultimi anni abbiano iniziato un processo di smarcamento dalle proprie band di appartenenza, ora che il futuro non pare più così roseo. Con tutta la buona volontà che si può chiamare all'appello, la sensazione di abbandono della nave che affonda è soverchiante, tanto nell'uscita - ed è solo un esempio - di Brandon Flowers che in questo "Margins" di Paul Smith, cantante dei Maximo Park.
Non che l'unità del gruppo sia in discussione, anzi la band sta già lavorando alla prossima uscita, ma la fortuna particolarmente scarsa dell'ultimo disco della band inglese ha forse contribuito ad aumentare la voglia di Smith di provare e provarsi in quello che, magari, considera un investimento nel futuro.
La domanda che in genere si accompagna a questo genere di imprese personali è: si tratta sul serio di qualcosa di nuovo, o siamo sempre dalle parti di quanto il soggetto in questione ha espresso nella carriera della propria band? Nel caso di Paul Smith non si può certo dire che il Nostro si sia limitato a riproporre gli stilemi dei Maximo Park. Certo, chi ha sentito solo il singolo "North Atlantic Drift", la sua estetica revivalista di riff appuntiti, di ritmica rotonda ma incalzante, in cui Smith sfoggia i suoi vocalizzi pieni di tepida emotività, la penserà diversamente. Al massimo si azzarderà ad ammettere un timido passo in avanti (e, allo stesso tempo, all'indietro), come nella peraltro scontata "The Crush And The Shatter" o nelle pulsioni Hold Steady di "Dare Not Dive".
Anche una posizione del genere pare però ingenerosa. Semmai Smith ha tentato troppe strade, ma nessuna con la necessaria convinzione e senza particolare ispirazione. Nel cambio di registro di una "This Heat" o di una "Improvement/Denouement" la sua espressività vocale suona vagamente impacciata, a disagio prima coi territori più spaziosi di un divagare acustico di tradizione a stelle e strisce, poi con un crooning vagamente hannoniano. Salvo poi contraddirsi e dimostrare capacità intimistiche nella più sentita "While You're In The Bath", delicata dichiarazione hinsoniana: "Margins" ha decisamente dei momenti schizofrenici. Un altro esempio è l'interessante ballata shoegaze "I Drew You Sleeping", dalla quale risalta la caratteristica vena melodica di Smith, pregna di un certo romanticismo melodrammatico ma innegabilmente ben cucita addosso.
"Margins" è quindi un disco dalle diverse suggestioni: alcune di queste, però, assomigliano più a un vezzo che a una convincente scelta stilistica, come gli arpeggi risonanti di abissi del cuore di "Alone, I Would've Dropped" (sotto l'aura di misticismo notturno, pezzo dalla composizione pretenziosamente acerba) e "I Wonder If", per la quale valgono pressapoco le stesse osservazioni. Non è una novità che la poetica di Smith abbia da sempre un lato "adolescenziale", nel senso deteriore, narcisistico del termine, ma il rischio di portare questa attitudine alle estreme conseguenze, in una ipotetica carriera solista, è tangibile.
Smith è però ancora in tempo per decidere da che parte stare e, semmai, smussare le proprie cattive abitudini. "Margins" sembra fatto apposta, in effetti, perché gli sia concesso il beneficio del dubbio.
01/11/2010